Nel mezzo delle lodi per il successo al botteghino dell’ultimo film di Checco Zalone, “Quo vado?”, un critico francese ha messo il dito su una piaga del cinema italiano degli ultimi decenni: il cinema deve solo divertire oppure deve darci qualcosa di più?
In una recente intervista su la Repubblica, il regista francese Jean-Paul Salomé ha detto: “Ho letto che il vostro Checco Zalone con ‘Quo vado?’ ha battuto ‘Star Wars’. Ma in Francia non penso lo vedremo. Purtroppo le vostre commedie non sono esportabili”. 
Sarebbe facile fare le solite ironie sul francese snob che disprezza il cinema italiano. Però, dobbiamo ricordare (e riconoscere) che una volta non era così e i nostri film, comici o seri che fossero, hanno avuto successo in tutto il mondo. Basta vedere la stima per Nanni Moretti a Cannes, per capire che il disprezzo non è generale. 
 
Negli ultimi decenni molti dei nostri produttori cinematografici hanno deciso di non rischiare i loro investimenti e di produrre film facilmente digeribili per le stagioni delle feste. In parte il successo dei film panettoni e di alcuni comici, come Zalone, hanno ripagato i produttori nel mercato nazionale. Però il prezzo pagato delle vendite all’estero è stato altissimo perché questi film sono così particolari, così “italiani”, che difficilmente sono esportabili proprio come dice Salomé.
 
Il cinema di tutto il mondo ha prodotto film sciocchi e facili, ma ci sono film in tutte le lingue che sono riusciti ad avere successo perché i loro messaggi erano universali. Sembra banale scrivere che il cinema italiano ha investito tanto in una stagione memorabile con personaggi come Totò e De Sica, Fellini e Tognazzi, Mastroianni e Scola, Gassman e Monicelli e tanti altri personaggi che hanno scritto interi capitoli della Storia del cinema mondiale. Hanno avuto successo in tutti i continenti, con film capaci di farci ridere, piangere e pensare nello spazio di pochi minuti. Ed è altrettanto facile dire ora che il cinema italiano non riesce a farlo  più perché non pensa al futuro del cinema ma a quello di attori e registi e produttori. 
 
Un esempio. Oggi molti hanno scordato “Pane e cioccolata” con Nino Manfredi che ha avuto un successo internazionale e che racconta le esperienze di un nostro connazionale in Svizzera che cerca di ottenere un permesso di lavoro in quel Paese. Manfredi spesso fa ridere, ma i temi sono tutt’altro che banali e leggeri. Possiamo dire la stessa cosa riguardo altri film film dove noi italiani abbiamo dimostrato sullo schermo di saper superare prove difficili e di trovare soluzioni mentre ancora si piangeva sulla tragedia. E’ stato un film che ha venduto all’estero perché il pubblico internazionale si è riconosciuto in qualche aspetto del film. 
 
Per fortuna non abbiamo perso del tutto questa capacità ma abbiamo la tendenza a non apprezzare in pieno il talento dei nostri registi. Giuseppe Tornatore con “La migliore offerta” o Matteo Garrone con “Il racconto dei racconti”, hanno dimostrato benissimo che siamo ancora in grado di fornire film provocativi e divertenti, film capaci di ottenere successi e lodi all’estero. Perciò, bisogna chiederci perché la loro bravura non si trasforma in biglietti al botteghino nazionale.
 
 In gran parte dobbiamo considerare che molti di noi cercano soltanto divertimento passeggero. Però, il successo di serie televisive complicate e provocanti come “Trono di spade” e “Breaking Bad” sono la prova che esiste un pubblico italiano per film sofisticati. Purtroppo, i nostri imprenditori non vogliono correre il rischio di provare strade nuove e, per loro, inesplorate.
 
Non siamo l’unico Paese dove il cinema ha perso strada. 
L’industria cinematografica statunitense si trova nella stessa situazione e si capisce benissimo dall’uscita regolare di film colossal di supereroi e di puntate continue di serie senza fine come “Fast and Furious”, “I Mercenari”, ecc.
Se torniamo al cinema francese, vediamo che ancora vendono bene a livello internazionale perché i loro film sono aperti al pubblico internazionale. Il successo di “Quasi amici” ne è la prova. Il cinema in Asia, particolarmente in India, Cina, Corea e Giappone produce una serie impressionante di film nuovi di tutti i generi: comici, drammatici, film storici e horror.
 
Questa è una sfida per il nostro Paese e, se volessimo, avremmo le armi per affrontarla e vincerla. Purtroppo, abbiamo una domanda fondamentale da fare: i nostri produttori hanno la voglia e il coraggio di produrre questo genere di cinema?
 Se guardiamo l’elenco dei 10 attori più pagati del mondo, tre sono indiani, compreso Amitabh Bachchan, il soggetto della prima domanda di “The Millionaire”. Questo dimostra cosa può succedere se un’industria cinematografica nazionale si mette insieme per produrre film popolari, ma anche di alta qualità, come fanno ormai da almeno vent’anni.
 
 Sarebbe opportuno guardare a questi Paesi e imparare le loro lezioni, vedere cosa hanno fatto per far crescere il loro cinema. Abbiamo insegnato il cinema al mondo, ma i maestri davvero bravi sono quelli che capiscono che non si deve smettere mai di imparare. 
Peraltro la lezione dei buoni maestri può avere una doppia valenza per noi. In Italia è stato proprio il cinema a funzionare da carburante per le industrie turistiche del Belpaese. Una volta il cinema era il nostro miglior ambasciatore nel mondo. Nulla vieta che possa tornare ad essere così. Ma perchè succeda, come Paese dobbiamo capire che non possiamo più limitare i nostri talenti, ma dobbiamo dare loro un palcoscenico, una ribalta internazionale. È davvero una sfida che dobbiamo combattere, ma soprattutto vincere.

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