Pizza fritta was created out of necessity, after the end of the Second World War. Photo: Roberto Binetti/Dreamstime

My love for pizza fritta (fried pizza) dates back to the years of high school. One of my best friends’ dad was from Naples and he would make it quite regularly: tales about how good it was were legendary. My friend once told me that the day he would make pizza fritta for me, it meant I was part of the family: needless to say, I was flattered when that day came. Indeed, his pizza fritta was delicious and I loved it so much I began making it myself, especially when I moved abroad: it was a culinary hit among my international friends.

As he explained to me that evening, Neapolitan pizza fritta  is deep fried pizza dough filled with, traditionally, ricotta, mozzarella and salame; you could also use tomato sauce, if you wanted, and anchovies. The secret, he continued, was to keep the dough thicker than you’d do for a regular pizza, so that the final result was fragrant, crunchy on the outside and soft on the inside.

Pizza fritta, as Erika Hobart from BBC Travel wrote recently, is iconic Neapolitan pizza’s “lesser known cousin:” indeed, everyone is familiar with pizza Napoletana, not only because it’s good, but also because it became, back in 2017, part of UNESCO’s World Heritage.

The origins of these parcels of deliciousness are not very clear. According to Simone Cinotto, associate professor of modern history at Pollenzo’s Università di Scienze Gastronomiche, and author of The Italian American Table: Food, Family and Community in New York City, pizza fritta — just like another staple of Italian cuisine, carbonara — was born during the years of the Second World War. Allied bombings had destroyed most stone ovens in Naples and ingredients for pizza were not simple to come by, so  Neapolitans used their proverbial creativity and found alternative ingredients and cooking methods to keep enjoying their favorite dish.

Pizza was fried instead of baked, and ingredients like anchovies and cheap vegetables like broccoli, both easier to get, became part of the recipe. Cinotto said to Hobart that parts of the vegetables one would usually discard, such as artichoke stems, were also used, because — and there isn’t greater truth — “whatever you fry becomes palatable.”

Pizza fritta became an immediate hit and was known as “the pizza of the people.” It was sold on the street and many vendors would propose the ogge a otto deal, that is, you could get your pizza fritta today and pay in eight days time: an incredible advantage  when restrictions and poverty were common. Post war popular culture paid homage to pizza fritta, too. In particular, we remember one of the six episodes in Vittorio de Sica’s L’oro di Napoli (1954, also known in English as The Gold of Naples), where Sophia Loren played a pizza fritta vendor who cheated on her husband.

Just fried! Photo : massimo lama/Dreamstime

But when it comes to the origins of food, not everyone agrees and this happens for pizza fritta, too. According to food historian and professor Fabio Parasecoli, of the Department of Nutrition and Food Studies at New York University, the World War Two theory may not be the right one. While he agrees on the fact frying was easier than baking during the war and that, undoubtedly, people did try and use cheaper ingredients, Parasecoli underlines  that recipes involving fried dough are presents in cooking books dating back to the 16th century,  a sign of their popularity many centuries before the last war.

During the 1980s and 1990s we became all healthier, so pizza fritta lost some its popularity. Cinotto says its association with the lower classes may also have had a role in its decline in those years. However, it certainly remained in the heart of Neapolitans, because my own first encounter with it, courtesy, as I mentioned, of a lovely Neapolitan dad, happened in the late 1990s. Pizza fritta gained its fame back in the past decade, though: specialized vendors are back in Naples’ streets and many Neapolitan pizzerias, even in other regions of Italy, offer it in their menu today.

Some curiosities: the name “pizza fritta” should be used only when you make it with two dough disks, one for the base — on which you place the filling — and one for the top; if you use only one disk and top it with tomato and basil after frying the dough, then we call it montanara fritta. If, on the other hand, you use one disk, fill it, close it as a half moon (just like a calzone) and fry it, then you’ll have a battilocchio.

Pizza fritta Napoletana is not the only example of fried, filled dough in Italy, as other southern regions have their own versions of it. The most famous are, perhaps, Puglia’s panzarotti, which are traditionally filled with tomato and mozzarella and have a thinner dough shell.

Il mio amore per la pizza fritta risale agli anni del liceo. Il padre di uno dei miei migliori amici era di Napoli e la preparava regolarmente: i racconti su quanto fosse buona erano leggendari. Una volta il mio amico mi disse che il giorno in cui avrebbe fatto la pizza fritta per me, avrebbe significato che facevo parte della famiglia: inutile dire che fui lusingata quando arrivò quel giorno. In effetti, la sua pizza fritta era deliziosa e mi piacque così tanto che cominciai a farla anch’io, soprattutto quando mi trasferii all’estero: fu un successo culinario tra i miei amici internazionali.

Come mi spiegò quella sera, la pizza fritta napoletana è una pasta fritta ripiena, tradizionalmente, di ricotta, mozzarella e salame; si può usare anche salsa di pomodoro, se si vuole, e acciughe. Il segreto, ha continuato, è quello di mantenere l’impasto più spesso di quello che si farebbe per una pizza normale, in modo che il risultato finale sia fragrante, croccante all’esterno e morbido all’interno.

La pizza fritta, come ha scritto recentemente Erika Hobart di BBC Travel, è la “cugina meno conosciuta” della pizza napoletana: tutti conoscono infatti la pizza napoletana, non solo perché è buona, ma anche perché è diventata, già nel 2017, parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO.

Le origini di questa delizia non sono molto chiare. Secondo Simone Cinotto, professore associato di storia moderna all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e autore di The Italian American Table: Food, Family and Community in New York City, la pizza fritta – proprio come un altro caposaldo della cucina italiana, la carbonara – è nata durante gli anni della seconda guerra mondiale. I bombardamenti alleati avevano distrutto la maggior parte dei forni di pietra a Napoli e gli ingredienti per la pizza non erano semplici da trovare, così i napoletani usarono la loro proverbiale creatività e trovarono ingredienti e metodi di cottura alternativi per continuare a gustare il loro piatto preferito.

La pizza veniva fritta invece che cotta al forno, e ingredienti come le acciughe e verdure economiche come i broccoli, entrambi più facili da reperire, divennero parte della ricetta. Cinotto ha detto a Hobart che si usavano anche parti delle verdure che di solito si scartano, come i gambi dei carciofi, perché – e non c’è verità più grande – “qualsiasi cosa friggi diventa buona”.
La pizza fritta divenne un successo immediato e fu conosciuta come “la pizza del popolo”. Veniva venduta per strada e molti venditori la proponevano ogge a otto, cioè potevi avere la tua pizza fritta oggi e pagare tra otto giorni: un vantaggio incredibile quando restrizioni e povertà erano comuni. Anche la cultura popolare del dopoguerra ha reso omaggio alla pizza fritta.
In particolare, ricordiamo uno dei sei episodi de L’oro di Napoli di Vittorio de Sica (1954, noto anche in inglese come The Gold of Naples), dove Sophia Loren interpretava una venditrice di pizza fritta che tradiva il marito.

Ma quando si parla di origini del cibo, non tutti sono d’accordo e questo succede anche per la pizza fritta. Secondo lo storico dell’alimentazione e professore Fabio Parasecoli, del Dipartimento di nutrizione e studi alimentari della New York University, la teoria della seconda guerra mondiale potrebbe non essere quella giusta. Se è d’accordo sul fatto che friggere era più facile che cuocere al forno durante la guerra e che, senza dubbio, la gente cercava di usare ingredienti più economici, Parasecoli sottolinea che ricette che richiedono la pasta fritta sono presenti in libri di cucina che risalgono al XVI secolo, segno della loro popolarità molti secoli prima dell’ultima guerra.

Durante gli anni ’80 e ’90 siamo diventati tutti più salutisti, così la pizza fritta ha perso un po’ della sua popolarità. Cinotto dice che la sua associazione con le classi inferiori può anche aver avuto un ruolo nel suo declino in quegli anni. Tuttavia, è certamente rimasta nel cuore dei napoletani, perché il mio primo incontro con essa, per gentile concessione, come ho detto, di un adorabile papà napoletano, è avvenuto alla fine degli anni ’90. La pizza fritta ha però riguadagnato la sua fama nell’ultimo decennio: i venditori specializzati sono tornati nelle strade di Napoli e molte pizzerie napoletane, anche in altre regioni d’Italia, la offrono oggi nel loro menù.

Alcune curiosità: il nome “pizza fritta” va usato solo quando la si fa con due dischi di pasta, uno per la base – su cui si mette il ripieno – e uno per la parte superiore; se si usa un solo disco e lo si copre con pomodoro e basilico dopo aver fritto la pasta, allora si chiama montanara fritta. Se invece si usa un solo disco, lo si riempie, lo si chiude a mezza luna (proprio come un calzone) e lo si frigge, allora si avrà un battilocchio.

La pizza fritta napoletana non è l’unico esempio di pasta fritta e ripiena in Italia, dato che altre regioni del sud hanno le loro versioni. I più famosi sono forse i panzerotti pugliesi, che sono tradizionalmente ripieni di pomodoro e mozzarella e hanno un guscio di pasta più sottile.


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