A dieci anni dal trionfo con “Il vento che accarezza l’erba”, a Cannes Ken Loach conquista la sua seconda Palma. Con “I, Daniel Blake” ha vinto la poesia del quotidiano, la sensibilità dei piccoli gesti ricchi di significato, dei legami capaci di toccare nel profondo. “C’è bisogno di un cinema come il suo – ha commentato l’attrice e regista napoletana Valeria Golino in piena sintonia con il resto della giuria – questo film non ci è mai uscito dalla mente e dal cuore, è una storia che ti resta dentro”.
 
Il massimo riconoscimento attribuito all’80enne regista britannico è soprattutto un omaggio, oltre che a un film commovente e sensibile, all’impegno e alla passione mai smentita di un radiografo militante della realtà contemporanea. “I, Daniel Blake” racconta materia incandescente nella nostra epoca in cui la disoccupazione e i suicidi per mancanza di lavoro si moltiplicano. Il lento percorso di dolore e sofferenza  da cui non si torna indietro  suscita ira, emozione, collera, frustrazione: si tratta di gente che deve vendere i  mobili di casa per sopravvivere, che non sa maneggiare il computer, ma ha dignità da vendere, pur se messa continuamente in forse da un sistema burocratico robotico e surreale. 
 
Mai come quest’anno l’America è stata così presente sulla Croisette attraverso registi e attori che hanno proposto film molto apprezzati da critica e pubblico. Ecco una piccola selezione di film che hanno sedotto critica e pubblico della 69esima edizione  del  Festival del Cinema.
 
CAFE’ SOCIETY di Woody Allen: Il miraggio di Hollywood. “Woody Allen a Cannes, è come  Moliere alla Comedie Francaise, una tradizione!” ha detto  Thierry  Frémaux, direttore artistico del Festival. Dopo “Hollywood Ending” nel 2002 e “Midnight in Paris” nel 2011 è la terza volta che il più europeo dei registi statunitensi ha aperto la rassegna debuttando fuori concorso con  una romantica storia d’amore interpretata da Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Blake Lively, Steve Carell sullo sfondo dell’industria del cinema hollywoodiano. Qualche nota jazz per cominciare e il rock di M in ricordo di Prince, per finire. Sullo sfondo un ritratto della Hollywood anni ’30. Illustrato dalla fotografia del tre volte Premio Oscar Vittorio Storaro e sostenuto da una scrittura brillante,  ricca di spunti ironici esilaranti, Café Society, se non proprio memorabile, si inscrive nel filone delle migliori commedie di Woody Allen.
 
PATERSON, ipnotico e poetico film minimalista di Jim Jarmusch. Con una struttura che si è affinata fino a sfrondare di ogni parola o atto superfluo ogni gesto per raccontare il nucleo esile e forte della poesia, Jim Jarmusch ha portato a Cannes il suo film più delicato ed essenziale. Ambientato a Paterson, sonnolenta cittadina del New Jersey, un tempo famosa per l’industria dei tessuti frequentata  da lavoratori italiani ed irlandesi e nota per aver dato i natali a scrittori e poeti non conformisti come Allan Ginsberg e William Carlos William, “il film vuole essere un antidoto alla pesantezza dei film drammatici e di azione”, spiega il regista che ha presentato  anche un  elettrizzante documentario su Iggy Pop “Gimme Dange”.
 
LOVING di Jeff Nichols.  Siamo in Virginia, in un quartiere nero, nel 1958. Milred (Ruth Negga) annuncia a Richard che è incinta. Il problema è che lei è nera e lui è bianco e lo Stato della Virginia proibisce loro di sposarsi e di avere  figli. Il film di Jeff Nichols si ispira alla storia vera della coppia mista Loving che intraprendono, dopo molte esitazioni, un lungo e doloroso processo contro lo Stato della Virginia. Processo portato fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti la cui sentenza finale ha  reso legale, negli anni ’60, il matrimonio interrazziale nei vecchi Stati segregazionisti.  
Jeff Nicols  ha messo l’accento sul lungo e indistruttibile amore della coppia facendone un formidabile melò che ha commosso la platea di Cannes. Dopo “Take Shelter” premio della Settimana della critica nel 2011 e “Mud” in competizione nel 2012, si attendeva con impazienza a Cannes questo peso massimo del cinema indipendente americano. 
 
MONEY MONSTER di Jodie Foster. La regista dirige due mostri sacri che si ritrovano insieme sulli schermo per la quarta volta: Julia Robert e George Clooney. La prima volta a Cannes dell’attrice e regista statunitense è stata nel 1976,  quando adolescente accompagnò  Martin Scorsese e Robert De Niro per “Taxi Driver” che le diede un’improvvisa notorietà.  Passata dietro la camera da presa,  Foster, con la sua società di produzione, “Money monster”, presentato fuori concorso, vuole essere un film d’azione sul tema della crisi finanziaria. Si mette in scena un famoso presentatore televisivo e la sua produttrice  presi in ostaggio da un giovane telespettatore rovinato per aver seguito i consigli  proposti durante la trasmissione. Buono il senso del ritmo ed efficace, ma il soggetto è parso di poca presa, poco  originale e di non grande interesse dal punto di vista cinematografico.
 
DISNEY’S THE BIG di Steven Spielberg. Presidente di giuria nel 2013, Spielberg è tornato sulla Croisette con il gigante gentile tratto da un racconto per bambini di Roald Dahl. Dall’alto dei suoi 7 metri, il gigante buono dalle immense orecchie si allea alla piccola Sophie per combattere i giganti cattivi. Il film si muove sulla sottile linea di confine tra illusione e magia, parlando di sogni, desideri, paure. 
Racconto perfetto per il grande schermo, il regista si mette al servizio della storia con l’umiltà dei grandi che lasciano venire fuori una storia per bambini capace di emozionare anche chi bambino non lo è più da tempo. Il film sarà distribuito in Italia a partire dal 1 gennaio 2017.
 

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