Chi potrà mai dimenticare Marlon Brando nel ruolo di Stanley Kowalski sul palcoscenico di Broadway o la versione cinematografica di “Un tram che si chiama desiderio”, dove il giovane attore distruggeva sistematicamente Vivienne Leigh nel ruolo della cognata Blanche? 

Ancora oggi, a 96 anni dalla nascita e a 16 dalla morte  (Omaha  1924 – Los Angeles  2004),  il  ribelle che  ha cambiato per sempre il modo di recitare rimane un’icona senza tempo. L’attore celeberrimo  influenzò  tutte le  generazioni di attori venuti  dopo di lui, da Paul Newman a James Dean, a Warren Beatty, Steve Mc Quenn, tanto da far dire  a Jack Nicholson “siamo tutti figli di Brando”.

Brando è stato tra i primi  a seguire il famoso “Metodo Stanislavsky” che consiste in una immedesimazione profonda e in un legame empatico col personaggio  da interpretare. Questo gli ha permesso di vivere alcuni dei suoi personaggi più celebri portandoli a essere, in qualche modo, una parte di sé : dal già citato  Stanley Kowalski in “Un tram che si chiama desiderio” a Johnny Strabler ne “Il selvaggio”, Terry Malloy in “Fronte del Porto” (con cui vinse il primo Oscar nel 1955), don Vito Corleone ne “Il padrino” (con cui vinse il secondo Oscar nel 1973), al monumentale Colonnello Kurtz in “Apocalypse Now” celato alla razionalità nei recessi del Mekong, dove  legge Gli uomini vuoti, la più disperata, astratta poesia di Thomas S. Eliot, per finire con il  Paul  dello scandaloso, controverso  “Ultimo tango a Parigi”. 

In Usa è appena  uscita una biografia dal titolo The Contender. The Story of Marlon Brando firmata da  William J. Mann, esperto di cinema e  giornalista del “New York Times”, “vasta, tentacolare, meticolosa ricerca, sostanzialmente una biografia avvincente che dice tutto quello che avremmo voluto sapere sull’uomo Marlon Brando” ha scritto Michael F. Covino sul “Washington Post”. 

Divo e sex symbol,  nominato dalla rivista Time tra i 100 personaggi più influenti del secolo scorso, (unico attore insieme a Charlie Chaplin e Marilyn Monroe), fra i molti  documenti sulla sua  vita  e la sua  carriera rimane  fondamentale  il documentario inedito  presentato  in anteprima mondiale  durante il Festival del Cinema di Cannes 2007, in cui Martin Scorsese dichiarava: “C’è un prima e un dopo Brando”. Gli faceva eco il regista  Michael Winner: “Prima di Brando gli attori incarnavano dei personaggi, dopo Brando li vivevano letteralmente. E’ qui la differenza. Ha avuto un impatto straordinario nella storia del teatro e del cinema.”   Nel documentario prodotto da Leslie Greif, scritto da Mimi Freedman su musiche di  Andrea Morricone, si insiste sulla leggendaria performance dell’attore a Broadway in “Truckline Cafè”, la pièce che lo rivelò al grande pubblico e sul film che lo elevò al rango di star, “Un tram che si chiama desiderio” (1951). 

Sono alcuni membri della sua famiglia come i figli Miko e Teihotu,  amici di infanzia, attori che lo hanno ben conosciuto, a tracciare un profilo  non tanto  del personaggio noto,  quanto dell’uomo che si nascondeva dietro i molteplici ruoli. Viene fuori il ritratto di una personalità complessa, affascinante e sfuggente nel contempo: un’infanzia dolorosa, un padre tombeur de femmes duro e distante, una madre alcolizzata che lo abbandona bambino.  

Adorato dalle donne che cadevano letteralmente ai suoi piedi, Marlon Brando fu un seduttore compulsivo, incapace di amare fino in fondo. Nei primi anni di carriera gli vengono attribuiti flirt con Ursula Andress, Grace Kelly, Marlene Dietrich, Rita Hayworth, Édith Piaf, Ava Gardner, Ingrid Bergman,  Marilyn Monroe, mentre negli anni successivi si sposa tre volte avendo in totale dodici figli da almeno cinque donne diverse oltre a tre adottati. Si spiegano così le sue molteplici relazioni, i matrimoni falliti, le eccentricità e la solitudine della fine. Lunghe e tumultuose le relazioni con le attrici che sposò, ambedue curiosamente conosciute durante la ripresa delle due versioni del  film “Gli ammutinati del Bounty”, la prima, Movita Castenada e poi Tarita Teriipia, sua partner nel remake del 1962.  Incontri  fatali costellati di litigi ed incomprensioni fino alla definitiva rottura.

Non solo  donne , scandali e compulsioni: oggi che il problema ambientale è divenuto un’emergenza va perlomeno  ricordato l’impegno civile di  Marlon Brando, che da vero  precursore nella difesa dell’ambiente, finanziò una delle prime scuole di biologia marina. Né vanno  dimenticati le sue lotte per i diritti civili, il  sostegno dato  a Martin Luther King e  alle Pantere nere, il movimento rivoluzionario afro-americano degli anni ’70 o   il  suo interessamento alla causa degli Amerindi. Per attirare l’attenzione sulle condizioni degli indiani, mandò un’apache, Maria Cruz, a leggere il suo messaggio  con cui rifiutava l’Oscar attribuitogli per il ruolo di Don Corleone ne “Il Padrino” (1973).

Dopo i trionfi  il declino, costellato di scandali, pessime abitudini alimentari (era solito ordinare come pranzo  sei hot dog al La’s Pink hot), ma con un senso del gioco e un talento di inventore  che non lo abbandonerà  mai.  Rimane, attraverso  biografie e  documenti, il ritratto finale di un uomo profondamente solo, con immensi  vuoti  interiori, che neppure l’adorazione di milioni di spettatori e fans  di tutto il mondo riuscì mai  a colmare.  Ma  soprattutto resta la sensazione di non riuscire a giungere al cuore del “mistero Brando”, come del resto è stato per altre icone della settima arte, Marylin Monroe o James Dean.   

Forse,  per conoscere l’immenso attore,  i trionfi e le cadute della sua lunga  carriera e, ma solo  un poco,  anche la sua  complessa personalità,  vale ancora ciò che dice  Martin Scorsese  quando  consiglia alle  giovani generazioni  di “vedere i suoi film in ordine  cronologico, giusto per risentire le emozioni  che con lui sono allora esplose sullo schermo”.


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