Brendan Fraser e Afton Smith con Alberto Barbera, direttore di Venezia 79 (Courtesy ASAC ph Giorgio Zucchiatti)

Venezia-Hollywood, linea diretta col trionfo. La Mostra del Cinema di Venezia è sempre più trampolino di lancio per conquistare le statuette più ambite della settima arte. Nonostante qualche sorpresa, anche quest’anno, alla 95° edizione dei Premi Oscar, il binomio si è consolidato grazie a The Whale di Darren Aronofsky.
Adattamento cinematografico dell’omonima opera teatrale (2012) scritta da Samuel D. Hunter e presentato in laguna (sez. Concorso), si è aggiudicato gli Oscar per il Miglior attore protagonista a Brendan Fraser e per il miglior trucco e acconciatura (Adrien Morot, Judy Chin e Anne Marie Bradley).
Una performance toccante quella dell’attore classe ‘68 originario di Indianapolis, che ha incarnato un insegnante obeso.

La Mostra del Cinema di Venezia si è presentata al Dolby Theatre di Los Angeles con 24 candidature complessive spalmate tra otto film, a cominciare da “Gli spiriti dell’isola” (The Banshees of Inisherin) di Martin McDonagh, forte di 9 nomination, come pure il collega teutonico “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (Im Westen nichts Neues, di Edward Berger), e secondo solo a quello che è stato l’indiscusso dominatore della serata, “Everything Everywhere All at Once” di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, capace di vincere 7 statuette su 11 nomination: Miglior film a Daniel Kwan, Daniel Scheinert e Jonathan Wang; Miglior regista a Daniel Kwan e Daniel Scheinert Miglior attrice a Michelle Yeoh; Miglior attore non protagonista a Ke Huy Quan; Miglior attrice non protagonista a Jamie Lee Curtis; Miglior sceneggiatura originale a Daniel Kwan e Daniel Scheinert e Miglior montaggio a Paul Rogers.

Se anche la pellicola tedesca non si può lamentare con 4 affermazioni, il film che a Venezia ha conquistato la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Colin Farrell e il Premio Osella per la migliore sceneggiatura a Martin McDonagh, oltre a numerosi Golden Globe (3), Bafta (4) e National Board of Review (4), agli Oscar non ha raccolto nulla.
Un amaro destino condiviso con un’altra pellicola “veneziana”, Tár (di Todd Field), dove la protagonista Cate Blanchett aveva già vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla 79. Mostra del Cinema, il Golden Globe per la Miglior attrice in un film drammatico e il Bafta per la Miglior Attrice, mancandole dunque solo l’Oscar per fare il poker perfetto. Così non è andata. Per lei e per le altre 5 nomination che la pellicola aveva ricevuto.

Grazie anche all’impulso di Alberto Barbera, tornato alla direzione artistica del festival dal 2012, negli ultimi anni la Mostra del Cinema ha sempre centrato premi importanti, vedi l’anno scorso quando la regista Jane Campion si portò a casa l’Oscar come Miglior regista dopo aver vinto il Leone d’argento per la migliore regia.
L’anno prima era andata ancora meglio con Nomadland, capace di imporsi nelle categorie del Miglior film, Miglior regista (Chloé Zhao) e Miglior attrice protagonista (Frances McDormand). Anche nel 2020, premi di altissimo livello, “benedetti” dalla laguna: Joaquin Phoenix è il Miglior attore protagonista nei drammatici panni di Joker, e Laura Dern, Miglior attrice non protagonista in Marriage Story – Storia di un matrimonio. Dalla 75° edizione della Mostra del Cinema invece, arrivarono gli Oscar per la Miglior regia e Miglior film straniero a Ròma di Alfonso Cuaron; Miglior canzone a A Star is Born e Miglior attrice protagonista a Olivia Colman (La favorita).
Se il pubblico veneziano, e in generale quello amante del grande cinema, si può dire soddisfatto, c’è tutto un filone di fan, italiani in primis, che invece è stato addirittura entusiasta della serata di gala appena vissuta.

Tra i primi Oscar a essere consegnati infatti, c’è stato quello per l’attore non protagonista, andato a un cinquantenne originario di Saigon, il cui nome ai più, forse, non avrà detto nulla: Ke Huy Quan. La stragrande maggioranza del pubblico, invece, lo ricorderà come Short Round e Data, rispettivamente il piccolo amico di Indiana Jones durante la sua più paurosa avventura nel “Tempio Maledetto” (1984) e uno dei mitici Goonies (1985). Sì, proprio lui.
Tornato sul palcoscenico mondiale proprio con il film trionfatore dei 95° premi Oscar, Everything Everywhere All at Once, e salutato/abbracciato dallo stesso Harrison “Indy” Ford, quasi quarant’anni dopo l’aver condiviso il set. Gli anni ‘80 sono molto presenti nel cinema contemporaneo e amati dal pubblico nostrano. Basti pensare alla serie Stranger Things su Netflix, che proprio ai Goonies guarda molto, per non parlare del recente sequel di Top Gun (1986), Top Gun: Maverick (2022, di da Joseph Kosinski), candidato per il Miglior film, sceneggiatura non originale, montaggio, effetti speciali, canzone originale (Hold My Hand, con musiche e testo di Lady Gaga e BloodPop) e vincitore dell’Academy per il Miglior sonoro (Mark Weingarten, James H. Mather, Al Nelson, Chris Burdon e Mark Taylor).

Memento toccante, la dedica agli illustri scomparsi accompagnata dalla performance musicale di Lenny Kravitz in Calling All Angels. Tra di essi, oltre alle attrici Olivia Newton-John, Kirstie Alley e Raquel Welch, i compositori Angelo Badalamenti e Burt Bacharach, gli attori Ray Liotta e Robbie Coltrane, il regista Wolfgang Petersen e molti altri (senza scordarsi di Anne Heche, Tom Sizemore e Paul Sorvino), purtroppo nella lista Ad Memoriam, è stata menzionata anche la “nostra” Gina Lollobrigida (1927-2023), uno dei simboli eterni del cinema italiano, protagonista di epiche pellicole tra cui Pane, amore e gelosia (1954, di Luigi Comencini), Notre-Dame de Paris (1956, di Jean Delannoy), Salomone e la regina di Saba (1959, di King Vidor) e Torna a settembre (1961, di Robert Mulligan).
Ultima nota per il cinema italiano “in sala”, presente alla 95. edizione degli Oscar con la sola Alice Rohrwacher, regista di Le pupille, in lizza per il Miglior cortometraggio, andato però ad An Irish Goodbye di Tom Berkely e Ross White. Un po’ d’Italia infine anche nel vincitore dell’Oscar per il Miglior film d’animazione, quel Pinocchio di Guillermo del Toro, realizzato in stop-motion e tratto dall’universale fiaba di Carlo Collodi.


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