Quantificare il danno biologico: gli avvocati delle parti civili redigono atti, incrociano perizie mediche, allegano documentazioni di luminari del ramo. Si va da richieste da centomila euro a risarcimenti più consistenti, che sfiorano, o in talune circostanze – le più complicate dal punto di vista medico – valicano il milione di euro.
 
A chi chiedere i soldi? Al Comandante della nave Concordia – naufragata davanti all’Isola del Giglio nel febbraio del 2012, trainata lo scorso mese di luglio nel porto di Genova Voltri per essere demolita, dopo una spettacolare azione di recupero – Schettino, l’imputato principale, e alla compagnia di navigazione.
 
Ovvio, per ogni situazione, occorrerà visionare attentamente le cartelle cliniche, soppesando i pareri (mai come in questa situazione fondamentali) dei periti di parte. Poi, una volta ultimate tali attività, il Tribunale deciderà l’eventuale “quantum”, ovvero il risarcimento da erogare a ciascun ricorrente, ovviamente dopo aver provato (si spera) l’esistenza del danno biologico.
 
Il naufragio della nave Concordia (le udienze del processo per chiarire come è stato possibile un simile epilogo a pochi metri dalla costa del Giglio sono riprese in questi giorni) causò la morte di trentadue persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Una ferita ancora aperta perché – come in ogni evento di cronaca italiano – i misteri abbondano e non sono ancora stati completamente svelati. Chi sono coloro che chiedono un risarcimento al Comandante Schettino ed alla compagnia di navigazione? Sono alcuni tra i sopravvissuti (per fortuna tanti) del naufragio, gente che, da quella notte, colleziona stati d’ansia, depressione, crisi di panico o, peggio ancora, malattie conclamate.
 
C’è quello a cui restare in mezzo metro d’acqua, per più ore, in attesa dei soccorsi, ha causato una bronchite cronica. Quello che ha paura di prendere l’ascensore perché la Concordia, quando si inclinò paurosamente davanti al porto dell’Isola del Giglio, sorprese molte persone che si stavano spostando da un piano all’altro dell’enorme città-galleggiante.
 
C’è chi, sulla Concordia, era già salito provato dai primi oltraggi del morbo di Parkinson e che, dopo quelle ore drammatiche, ha visto gradualmente peggiorare la propria cartella clinica. Ci sono uomini e donne che non riescono più a riposare la notte, rivedendo ad occhi spalancati, quella tragedia, con bambini risucchiati dall’acqua, ad esempio, e mai più ricomparsi. Crisi di panico, paure generalizzate. Anche per relazionarsi col mondo che ci circonda: qualcuno, davanti ad un crocchio di persone, accelera di proposito, nel timore che gli vengano poste domande su quella notte.
 
C’è chi lamenta problemi al cuore, retaggio di quelle ore drammatiche, la morte praticamente ad un soffio. Un’autentica manna per molti avvocati che, negli anni, si sono specializzati in quella branca del diritto che si chiama “danno biologico”: si preparano, costoro, a guadagnare ricche parcelle qualora il Tribunale riconoscesse la quantificazione del disagio patito dai loro assistiti.
 
Occorrerà, come in ogni aula di giustizia che si reputi tale, assicurare però l’equanimità nel risarcimento. “Ammalarsi” di Concordia per il resto della propria vita: è accaduto (o sta accadendo) questo a molti superstiti di quella notte di gennaio di quasi tre anni fa.
 

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