Oggi esordisco con una poesia, il Sonetto di Paradiso da “Cuor morituro (1925-1930)” di Umberto Saba (1883 – 1957). 
 Mi viene in sogno una bianca casetta, sull’erto colle, dentro un’aria affatto tranquilla; e il verde del colle è compatto e solitario, e l’ora è benedetta.
  Mi viene in sogno una dolce capretta, che mi sta presso, e mi sogguarda in atto placido umano, quasi un muto patto ne legasse. Poi pasce ancor l’erbetta.
 Volge il sole al tramonto; un luccichio cava dai vetri, un dorato splendore, della casetta su in alto romita.
 E tutto il dolce che c’è nella vita in quel sol punto, in quel solo fulgore s’era congiunto, in quell’ultimo addio.  
 
La poesia, per le sue caratteristiche formali, estetiche, e compositive meriterebbe un lungo discorso. Ma non è mia intenzione commentarla qui. Noto, e faccio notare, che la prima lettura, cioè la comprensione del testo come semplice atto comunicativo (vale a dire: capire ciò di cui si sta parlando) sembrerebbe alquanto facile. 
 
Le parole usate sono tutte parole del lessico quotidiano; il registro, a parte l’effetto ritmico, mi pare un registro familiare. Personalmente, rispetto al lessico particolare, quello “poco usato”, trovo solo le parole “erto” e “romita”, e forse, l’espressione “ne legasse”. Certamente un altro lettore (con lessico personale e sintassi differenti dai miei) troverebbe altre parole ed espressioni estranee al suo modo di parlare. Ma tutto sommato non dovrebbero essercene più di due o tre. Ma allora perché propongo questa lettura?
Ecco. Per parlare dell’avverbio “affatto”, argomento di questo mio articolo. Parola al secondo verso della poesia.
 
Molte parole sono generate da locuzioni o espressioni, come “marcia-a-piedi”,  “arco-baleno”, “va-te-la-pesca”, oppure “a-fatto”, “di-fatti”, “in-fatti”, o anche  “a-punto”, “per-ciò”, (e in napoletano: “va’-trova”, “può-essere” o “può-darsi”) le cui componenti poi, una volta agglutinatesi (legatesi l’una all’altra), hanno finito con l’essere scritte come unica parola. Ed è proprio ciò che è capitato ad “affatto”.
 
Ora le parole elaborate a partire dalla parola “fatto” significano fondamentalmente “in ma-niera evidente” cioè: “stando ai fatti”, e valgono “assolutamen-te”, “completamente”, “del tut-to” (con valore affermativo); le seconde, composte con “punto” o “mica” significano “per quanto poco” o “per quanto piccolo”. Per cui entrambi i tipi di espressioni se vengono usati al negativo, vanno a significare nel primo caso “per niente” nel secondo “neppure un poco”. 
 
Ma devono essere accompagnate da un elemento negativo chiaramente lessicalizzato.
E qui potrei fermarmi. Ma allora, la poesia?
Ci arrivo.
 
Qualche anno fa in una classe liceale di fronte all’interpretazione di questo testo poetico della prima metà del secolo scorso, la totalità degli alunni (una trentina) sostennero che “affatto” avesse valore di negazione, per cui “affatto tranquilla” per essi valeva “per niente tranquilla”; né si accorgevano che con questa interpretazione il seguito della descrizione non era comprensibile, in quanto veniva stravolto il senso della poesia.
 
A parte l’evidente errore di lettura, i poveri ragazzi non avevano tutti i torti. La loro lingua era ancora opaca. Essi usavano segni linguistici secondo la convenzione  (sociale) dei loro modelli linguistici di riferimento. E oggi la convenzione è che “affatto” sia una negazione. Lo avvalora la televisione, lo confermano i cronisti radiotelevisivi, qualche giornalista, e addirittura scrittori e qualche professore. E, ormai, già anche i dizionari pubblicati dopo una certa data.
 
Questo mio intervento, perciò, non pretende di modificare la convenzione, cioè il modo d’uso corrente, ma vuole che ognuno si ponga di fronte al problema in maniera critica. 
Ecco la lingua trasparente! 
 
Che, per quanto riguarda questo caso, almeno ci consente di leggere, e comprendere, un testo di appena ottanta anni fa.
 
Questo ci fa capire un’altra cosa, importantissima per la comprensione del concetto di evoluzione linguistica. Cioè che, attraverso l’uso che se ne fa, le parole vanno soggette a trasformarsi, e se non sempre si trasformano sul piano fonetico o  morfo-sintattico, spesso possono farlo su quello semantico (del significato). Cioè cambiano il loro significato. Fino a rovesciarlo completamente, talvolta. 
 
Com’è il caso di “affatto”.  Che in questo momento storico si trova proprio nella sua fase di incertezza. (C’è chi lo usa in un modo e chi nell’altro).
L’appuntamento è a tra una cinquantina d’anni per sapere quale sarà stato il suo esito.

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