Era oggettivamente difficile per uno che era stato deputato per venti anni di fila, segretario di partito, Vice Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri, Presidente della Camera dei Deputati staccarsi completamente dal mondo che lo aveva relegato in vetrina.
 
L’oblio anticipato dalla politica di Gianfranco Fini, bolognese,  classe ‘62, è durato un anno e mezzo, a conti fatti. Escluso da Montecitorio alla guida dalla formazione politica di Futuro e Libertà (una sua creatura, subito abiurata) nelle ultime elezioni politiche – quelle che prima generarono l’ingovernabilità e poi il varo del Governo delle ‘larghe intese’ guidato da Mario Monti – Fini sembrava destinato a una carriera di scrittore, notista, osservatore neutrale dei clamori della politica italiana e internazionale. Una figlia grande, altre due più piccole, nate dal suo recente legame con la compagna Elisabetta: insomma, pensare a un Fini nuovamente intrigato dalla politica pareva davvero complicato.
 
E invece, potenza di una passione evidentemente mai sopita, ecco la svolta, l’inversione di tendenza. L’ufficializzazione di un ritorno in grande stile. Perché Fini non è uno di quelli che si sono mai accontentati di vivere di luce riflessa. Lo fece per anni con Berlusconi, salvo poi sbottare pesantemente, con quel famigerato ‘che fai, mi cacci?’, pronunciato sotto al palco sul quale c’era il Cavaliere, sorpreso dallo scatto d’ira di quello che considerava il suo ‘delfino’ più fidato.
 
Eccola, al contrario, dopo il fallimento di Futuro e Libertà, la resurrezione politica di Fini. La scorsa estate, di questi tempi, lo si poteva incontrare ad Ansedonia, all’Argentario, da uomo qualunque, mentre meditava l’ennesima immersione da sub nelle acque blu delle isole dell’arcipelago dell’Elba. A distanza di dodici mesi rieccolo invece in trincea, pronto a ricostruire (ed evidentemente a presentare agli elettori, quando ci sarà l’occasione concreta) la nuova proposta di una valida ‘destra’.
 
Qual è stata la molla che gli ha fatto gettare alle ortiche l’attendismo? Il riscontro, ad esempio, che – come dimostrato dal verdetto delle ultime elezioni europee – i partiti di centro-destra hanno clamorosamente perduto ben otto milioni di consensi. E poi le difficoltà a imporsi del Nuovo Centro Destra di Alfano, l’incapacità di Fratelli d’Italia di fare compiutamente breccia nell’elettorato, esclusi, ad esempio, dal Parlamento Europeo per via di uno soglia del quattro per cento di preferenze non oltrepassata. C’è la voglia di Fini di provare a intercettare il malcontento di chi votava destra a priori. Provando a (ri)diventare, magari, il leader che la destra – invecchiando Berlusconi, sempre alle prese peraltro con l’esito di processi scivolosi – cerca ed invoca.
 
Ostacoli non mancano: Fini non è amato dai forzisti, da coloro che seguirebbero Berlusconi pure sulle Ande. I suoi scambi di vedute con La Russa e Meloni, esponenti di spicco di Fratelli d’Italia, non sono stati esempio di signorilità.
 
E altri potenziali partners come i leghisti mal accetterebbero il ritorno in campo – da protagonista – di uno come lui, sulla breccia per oltre vent’anni. Renzi, intanto, osserva il tutto in modo disinteressato: il Premier registra consensi in aumento. Ad oggi neppure lo spettro di Fini potrebbe togliergli il sonno.
 

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