Prodotto dal Teatro di Roma-Teatro Nazionale, premiato con un doppio Ubu, come migliore spettacolo dell’anno e come migliore attrice a Maria Paiato, Un nemico del popolo di Henrik Ibsen è spettacolo di forte presa comunicativa specie per i drammatici riflessi sui nostri tempi.
Storia di corruzione, di bugie, di potere, sempre in bilico fra tragi-commedia e satira morale, trasmette contenuti ed emozioni in maniera potente, senza che mai si abbassi il livello di attenzione, di entusiasmo e di coinvolgimento del pubblico.
Era il 1882 e il grande norvegese stava già scrivendo la nostra storia, quella di oggi, drammaticamente contemporanea. Lo spettacolo racconta con spietata lungimiranza il pericolo che ogni società democratica corre quando chi la guida è corrotto e la minoranza è schiacciata da una maggioranza che mira solo al proprio tornaconto.
Il testo che Massimo Popolizio porta sulla scena del Teatro di Roma e nei prossimi mesi in tournée nei maggiori teatri italiani, è in sintesi la storia di un uomo onesto, il dottor Stockmann, messo alla prova attraverso una serie di sotterfugi che lo incastrano al di là della propria volontà.
Thomas Stockmann si illude che la verità conquisti l’appoggio degli abitanti della sua cittadina, dove le acque delle Terme sono l’unica fonte di ricchezza, una volta scoperto l’inquinamento delle acque, bisogna modernizzare l’impianto e mentre rappresentanti della cittadinanza e giornali sono d’accordo nel rivelare il pericolo delle infezioni, tutti si tirano indietro quando apprendono che dovranno pagare di tasca propria le nuove strutture e che le Terme rimarrebbero inattive per almeno tre anni. La volontà di denuncia del medico si scontra con il patto d’acciaio tra il potere costituito rappresentato dal sindaco Peter Stockmann, fratello del dottore, la stampa e la maggioranza, quella opinione pubblica che veicola le proprie decisioni in base all’interesse personale. Riuscirà Stockmann l’idealista a imporre la propria etica su una comunità corrotta ?
Lo spettacolo si fa modernissimo quando viene immaginato un vero e proprio comizio dove la maggioranza, nella sua proterva cattiva coscienza , finisce per seguire l’ invito del Sindaco a non credere alle ricerche scientifiche che il Dottore avrebbe voluto esibire per amore di verità. Il drammaturgo non si ferma nel mostrare la malvagità umana e i possibili imprevisti coinvolgimenti : Stockmann, solitario combattente contro tutto un contesto di corruzione, si sente profondamente umiliato dalla rivelazione che il padre adottivo di sua moglie ha comprato tutte le azioni delle Terme a prezzi stracciati in attesa che si alzino a pericolo passato, ma sarà lui a essere accusato di aver montato tutto il pandemonio dell’infezione per lucrare poi con gli acquisti delle azioni. Il finale dello spettacolo non ha niente di consolatorio: Stockmann se ne va da solo mentre crollano le pareti della sua casa assaltata dal cieco furore del popolo.
Affianca Massimo Popolizio, qui nella doppia veste di principale interprete e regista, un cast molto valido ed affiatato, a partire da Maria Paiato in vesti maschili, straordinariamente incisiva nel ruolo del sindaco, Tommaso Cardarelli (Billing), Francesca Ciocchetti e Maria Laila Fernandez, rispettivamente moglie e figlia del Dottor Stockmann, Francesco Bolo Rossini nella parte del suocero Morten Kiil, Paolo Musio (Hovstad), Michele Nani (Aslacksen), Dario Battaglia, Cosimo Frascella, Alessandro Minati, Duilio Pacielli, Gabriele Zecchiaroli, mentre a Martin Ilunga Chisimba sono affidati i siparietti di stacco tra una scena e l’altra, è la voce narrante delle minoranze; lui, nero e ubriaco, è l’unico autorizzato a raccontare la verità fra intermezzi musicali tinti di blues, folk e country.
La scelta della messinscena trasporta il luogo dell’azione dalla Norvegia di fine ‘800 a un non meglio precisato luogo degli USA anni 20. La scenografia di Marco Rossi è un padiglione trasparente che diviene di volta in volta la casa del dottor Stockmann, la redazione del giornale “La voce del popolo” e il luogo della pubblica assemblea. I costumi, di Gianluca Sbicca, sono sobri ed essenziali, giacca e bombetta per gli uomini, gonne lunghe e nere per le donne. Sembra sia stato nella Basilica di San Pietro che Ibsen avrebbe avuto la rivelazione della sua missione nel mondo, fustigare i suoi contemporanei, gli spiriti limitati, difendere un individualismo esasperato. Fustigherà le tare dei padri ne Gli spettri, 1881, tesserà l’elogio dei diritti dell’individuo contro la maggioranza in Un nemico del popolo, 1882, attualissimo atto d’accusa contro l’inquinamento fisico e morale come anche verso la corruzione del sistema.
Il teatro di Ibsen è stato definito di volta in volta naturalista, simbolista, anarchico, la sua opera, basata su realtà vissute, propugna teorie audaci, calate in personaggi di intensa verità. La norma della sua arte è il rigore, per Ibsen il mondo intero ha un intenso bisogno di assoluto, è alla ricerca di una fede, di una vocazione. Contrastano i suoi ideali cavalieri della fede la maggioranza silenziosa, i mediocri, gli spiriti corrotti, deboli , limitati. Con una simile rigidità morale in virtù della quale occorre vivere sempre in alto, i suoi personaggi corrono inevitabilmente verso la rovina o evolvono nelle zone oscure di pertinenza della psicanalisi ( Casa di bambola, Edda Gabler..).