Grande festa a Roma per celebrare l’ultimo mito di Hollywood: Gregory Peck. Avrebbe compiuto 100 anni il leggendario attore ricordato da tutti per la sua rara eleganza, l’integrità, la dignità professionale, l’impegno umanitario e sociale e per il suo intenso lavoro di artista che lo ha visto protagonista per oltre 50 anni.
L’omaggio, nell’ambito della Festa del Cinema di Roma arrivata alla sua undicesima edizione, è stato promosso dalla Famiglia Peck rappresentata dai due figli Antony e Cecilia Peck Voll con il patrocinio e la collaborazione, fra gli altri, dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma, del Ministero dei Beni culturali, Roma Capitale e la Festa del Cinema di Roma.
Fra i vari eventi che si sono succeduti in suo onore, ricordiamo la proiezione pubblica davanti alla Scalinata di Trinità dei Monti di “Vacanze romane” il primo film americano ad essere stato girato interamente a Roma che ha legato in modo indelebile l’immagine dell’attore di Hollywood alla città e alla grande storia d’amore tra la principessa Anne (Audrey Hepburn) e Joe Bradley (Gregory Peck).
“Essere a Roma per questa meravigliosa celebrazione del centenario di nostro padre è un’occasione speciale per la nostra famiglia. Mio padre girò ‘Vacanze romane’ all’apice della sua carriera. Da quella esperienza nacque l’amicizia con Haudrey Heburn che durò tutta la vita e un amore eterno per Roma. Penso che la sua risposta alla domanda inerente alla sua città preferita sarebbe stata simile a quella della principessa Anne nel film: Roma, sicuramente Roma. Custodirò questi ricordi per tutta la mia vita”.
Il giorno dopo la proiezione i due figli Cecilia ed Antony, in un incontro con il pubblico alla Casa del Cinema di Villa Borghese, si sono commossi al ricordo delle sensazioni raccontate dal grande attore, quasi come se il padre fosse stato loro vicino.
Il film, tornato nei suoi luoghi, faceva quasi l’effetto di una video installazione, divenuto icona e memoria mitica di un immaginario collettivo che fa parte della Città eterna.
In Vacanze Romane, girato a Roma nel 1953, una giovane Audrey Hepburn nei panni della principessa Anna, in visita ufficiale in città, decide di sottrarsi agli obblighi di corte andando in giro per le vie di Roma. Durante il suo girovagare farà la conoscenza del giornalista americano Joe Bradley a caccia di scoop interpretato da un brillante Gregory Peck perfetto nel ruolo di scanzonato rubacuori in una Roma splendida.
Questa tenera favola di Cenerentola, a ruoli invertiti, consacrò il successo della Hepburn che vinse il premio Oscar come migliore attrice.
William Wyler alle prese con una commedia romantica, diresse con eleganza il cast dipingendo una Roma popolata di curiosi personaggi e punteggiandola con divertenti pennellate di costume grazie anche alla sceneggiatura di Ian McLellan Hunter, John Dighton e Dalton Trumbo.
Un omaggio più che riconoscente e meritato a un affascinante Gregory Peck che ci fa ancora sognare in sella alla sua Vespa portandoci a spasso come trasognati turisti nella città Eterna.
E’ stato quindi proiettato presso la Casa del Cinema di Roma il pluripremiato documentario di Barbara Koppe “Conversation with Gregory Peck”.
Antonio Monda, direttore artistico della Festa romana, nell’introdurre il documentario ha individuato nella sfida continua al personaggio, che in modo del tutto naturale suggeriva la persona di Gregory Peck, i principali motivi della sua grandezza di attore. Di questo docu-film ricordiamo alcuni aneddoti e risposte dell’attore che meglio fanno capire la sua natura più intima di uomo di famiglia, di amicizia, sorridente, ottimista e di cui qualcuno ha detto: “Il meglio di noi si incarna in lui”.
Una domanda non può che ruotare attorno al glamour.
“Lo star-system manca ormai di glamour, ricordo quando uscivo dagli Studios per andare a mangiare con Ava Gardner; il solo passaggio di questa grande star nella via bastava ad interrompere ogni attività. Era anche il tempo in cui Elisabeth Taylor se ne andava a passeggio con una piccola scimmia sulla spalla. Tutto mi sembrava molto più divertente”.
Si racconta, certo con un po’ di nostalgia. C’è qualcosa che le dispiace di non avere fatto?
“Si quella di non aver potuto girare il remake di Dodsworth di William Willer. Doveva esserci Grace Kelly, ma all’ultimo momento con un colpo di telefono da Monaco, la principessa mi informò che i suoi doveri non le permettevano di sostenere il ruolo. Per il resto non ho rimpianti”.
Si è mai sentito in pericolo?
“Il ricordo va a Moby Dick di John Huston: si girava in mare d’inverno con un freddo glaciale. Tutta l’equipe era su un battello ed io ero stato messo a cavalcioni di una balena di caucciù di una trentina di metri, che tentavo di pugnalare. A un tratto calò la nebbia, mi ritrovai solo nell’oceano, cominciai a gridare aiuto, ma nessuno mi rispondeva. Mi vidi perduto. Per fortuna dopo una ventina di minuti mi ripescarono”.
Ritiene giusto che un attore guadagni oggi 20-30 milioni di dollari per un film?
Peck nel documentario se la cava con una battuta: “Decisamente sono arrivato troppo presto!”.
Come non chiedere di Roma, del film Vacanze romane?
“Sono stati sei mesi di felicità. Audrey Hepburn era al debutto della sua grande carriera: nessuno l’ha preceduta e nessuna la seguirà. Era nata per interpretare questa principessina. Ricordo la scena della Bocca della Verità: ha avuto una vera e propria crisi. Ho adorato tutto di quel film, ho un ricordo eccellente di Roma”.
E di Sophia Loren, era veramente nuda in Arabesque?
Da gentiluomo risponde con un sorriso: “Si e no, ma vi assicuro che era spettacolare”.
Dalla Francia, però il suo più bel ricordo. Veronique, sua moglie, la giovane giornalista che intervista l’attore già famoso di passaggio a Parigi. Peck ritorna a Parigi, la chiama al giornale per invitarla a pranzo. Quel giorno Veronique Passani non intervistò il dottor Schweitzer in casa di Jean Paul Sartre! Poi il matrimonio, i due figli, i nipotini e una lunga storia d’amore durata fino alla scomparsa del grande attore.
“A Conversation with Gregory Peck” raccoglie materiali d’archivio, alcuni quasi amatoriali. La conversazione a cui si riferisce il titolo è l’incontro che Peck tenne in un teatro di Boston.
L’attore era sul palco seduto su una sedia e il pubblico gli poneva domande senza il filtro di critici o giornalisti.