Il capolavoro tragico di Fellini, La strada (1954), esplora la relazione tra un bruto saltimbanco, Zampanò e la sua “minorata” partner clownesca, Gelsomina, la quale egli acquista dalla madre per esibirsi sulla strada. Il fato dei coprotagonisti s’incupisce gradualmente, in seguito all’incontro tra l’uomo e il suo rivale di lunga data, soprannominato: il “Matto.”
La compagnia teatrale Proboscis ha presentato per la prima volta la sua versione “circense” dell’opera felliniana, intitolata La La La Strada, alla prima edizione del Fellini Fest, tenutasi a Santa Barbara lo scorso febbraio. La pièce teatrale ha poi debuttato a giugno a Hollywood presso l’Actors Company (The Other Space Theater), nell’ambito del Hollywood Fringe Festival, l’annuale e più importante celebrazione internazionale “open-access” delle arti performative in L.A.
 
L’uomo dietro le scene, nonché in scena nel ruolo di Zampanò, è il direttore artistico di Proboscis, Jeff Mills, il quale è anche professore di teatro presso la University of California, Santa Barbara (UCSB). Ho avuto il privilegio di conversare con Jeff, il quale ha inizialmente concepito la sua versione onirica e meta-teatrale de La strada come progetto accademico all’interno del campus.
 
Parlaci brevemente del tuo background artistico. Hai legami specifici con la cultura e l’arte italiana? Sei in contatto con la comunità italo-americana californiana?
Sono un attore dalla formazione classica, ma ho sempre amato il teatro fisico e il circo. La franchezza e l’eterna umanità del clown mi hanno da sempre affascinato. Ho studiato la commedia dell’arte, l’arte acrobatica, la giocoleria e il trapezio. Mi sono sempre sforzato di introdurre elementi del circo all’interno di opere teatrali, con l’intento di aggiungere un tocco di rischio e comicità. Purtroppo, non ho molti contatti con la comunità italo-americana, per quanto lo apprezzerei molto.
 
Perché hai preferito La strada di Fellini a tanti altri capolavori della storia del cinema mondiale?
Si potrebbe dire, in verità, che La strada mi ha scelto. Infatti, il capolavoro felliniano è vissuto dentro di me sin da quando ero ventenne ed ho sempre pensato che se ne sarebbe potuta trarre una fantastica pièce teatrale. Nel film assaporiamo Fellini al vertice della sua abilità di “favolista”. Sentivo che il film raccontava una storia profondamente personale per Federico. Ero scioccato dalla scena iniziale, in cui Zampanò semplicemente irrompe in un povero paesino e acquista una ragazza dalla sua famiglia, portandosela via. Da quel preciso istante in poi, ero pienamente preso dalle vicende, identificandomi in ogni singolo personaggio. Via via che apprendevo di più sugli artisti di strada, apprezzavo sempre di più il modo in cui Fellini era stato capace di raccontare una storia cruda e picaresca, mantenendola al tempo stesso magica e ammaliante. Fui talmente influenzato dal modo in cui Fellini raccontava le sue storie che mi ritrovai a fare un tipo di teatro partecipe dei medesimi valori estetici.  
 
Cosa ti ha spinto a concepire La Strada come una pièce meta-teatrale? Hai guardato a specifici modelli artistici?
Ho cercato di emulare l’arte di Fellini. Egli si è spesso servito di tecniche documentarie e meta-narrative nel creare opere cinematiche, per poi giustapporre tali momenti a scene naturalistiche, drammatiche o comiche. Nel teatro, questo genere di giustapposizioni esige che gli spettatori partecipino, “comprimano” la propria consapevolezza di essere coinvolti in un certo tipo di storia e, quindi, si trovino a dover fruire una certa forma di cronaca in diretta.
 
Il personaggio fuori scena di Rosa, così come Rosaline in Romeo e Giulietta di Shakespeare, appartiene esclusivamente al retroscena delle vicende narrate. Secondo te, qual è la sua funzione ne La strada?
Il parallelo tra Rosa e Rosaline è senz’altro affascinante. Non c’è dubbio che ne La strada la sorella maggiore di Gelsomina è presente unicamente nella backstory.
Nella nostra produzione Rosa è la musa di Fellini, la forza invisibile e creativa che lo mantiene irrequieto e facilmente annoiato. È uno spirito erotico, seduttivo, esibizionista e creativo. Considerato che è defunta nell’incipit del film, rappresenta anche l’inevitabilità della morte, aspetto attraverso cui ho collegato la mia versione di Rosa all’originale personaggio di retroscena. Questa paura della morte mantiene Fellini perennemente “assetato” e alla costante ricerca del nuovo e del grottesco. Lo ossessiona tanto che egli non può viverne senza, si dedica interamente a lei e questa dedizione gli costa un caro prezzo nella sua vita personale. Chiamato a una vita d’artista, quella vocazione gli impedisce di essere un “normale” uomo di famiglia. Benché non osi paragonarmi a Fellini, mi ritrovo a combattere con le stesse difficoltà in qualità di artista.
 
Ritengo che un aspetto impegnativo, quando si adatta un film in un’opera teatrale, sia il mostrare il trascorrere del tempo e lo spostamento nello spazio. Sei d’accordo? È stata una sfida per te?
Abbiamo cercato di astenerci dal presentare il trascorrere del tempo in qualsiasi forma lineare. Abbiamo a che fare con un tempo teatrale, più che narrativo. Ho cercato di evocare la sensazione sospesa del sogno, allo stesso modo in cui Fellini ha fatto in tanti dei suoi film. Abbiamo formato un collage di eventi teatrali e approcci, trasformando in tal modo il tempo in ritmo, sentimento e impressione.

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