LOS ANGELES – Parte da Los Angeles la tournée teatrale del burattino più famoso del mondo. Dopo la prima ospitata dall’Istituto Italiano di Cultura, il Pinocchio di Massimiliano Finazzer Flory, realizzato in collaborazione con la Fondazione Nazionale Carlo Collodi, è pronto a girare gli Stati Uniti.
 
Lo porta in scena l’attore e regista italiano, che sul palcoscenico dà voce a tutti i personaggi, accompagnato dalle danze di Michela Lucenti ed Emanuela Serra, e dalle esecuzioni al pianoforte di Gianluca Pezzino. Partendo proprio dalla città dei sogni… e forse anche delle bugie.
 
Ma nella finzione abita la verità, e questo vale anche per il teatro e per Pinocchio. “L’eliminazione assoluta della bugia dall’esperienza umana è impossibile, la verità deve saper trattare con essa” spiega Finazzer. Ecco quindi uno spettacolo più che mai “umano”, lontano dal voler separare giusto e sbagliato, buono e cattivo. Quella di Pinocchio è una storia vera, e per questo fatta di contrasti e contraddizioni. È la perpetua tensione tra padre e figlio.
  Massimiliano Finazzer Flory sul palco dell’Istituto di Cultura di Los Angeles per la prima di Pinocchio

  Massimiliano Finazzer Flory sul palco dell’Istituto di Cultura di Los Angeles per la prima di Pinocchio

 
Questa è una storia d’amore, e come tutte le storie d’amore è fatta di tensioni, errori, separazioni, ritorni. Una tensione che è energia vitale, che tiene viva l’umanità, che porta al dialogo, al confronto, e a volte anche allo scontro. “L’assenza delle contraddizioni porta all’omologazione e alla banalità” afferma Finazzer Flory. “Le contraddizioni sono fonte filosofica, e l’uomo è animale filosofico”.
 
Pinocchio dunque non è soltanto il bambino che da cattivo diventa buono, nella più semplicistica visione disneyana, così come Geppetto non è soltanto il padre accondiscendente, e il Grillo Parlante non è soltanto la voce della coscienza. Ad una lettura più profonda del romanzo di Collodi incontriamo personaggi molto più complessi e reali, caratterizzati da insicurezze, cedimenti, ma anche onestà e coraggio. Sbagliano, inciampano e si rialzano; imparano dall’esperienza.
 
“Geppetto decide di costruire qualcosa solo per se stesso, ma gli sfugge di mano; diventa padre e scopre l’esperienza dalla sofferenza. Pinocchio a sua volta, conosce l’ingenuità di un bambino, ma anche la rabbia: uccide il grillo parlante -e sbaglia-, uccide il gatto e la volpe -e ne ha motivo-. È stato ingannato troppe volte e di fronte a questo”, ci dice con un sorriso severo, “anche il perdono cristiano ha il diritto di interrompersi”.
 
Estendere il concetto a un livello più ampio è un passaggio automatico. Chi sono oggi il Gatto e la Volpe?
“Sono la cattiva finanza” risponde il regista. “Si pensa di poter mettere nel sacco quattro monete alla sera, e ritrovarne molte di più il giorno dopo. Non è così, la cultura ci insegna che esiste un senso del tempo, dei cicli naturali, che maturano e arrivano a compimento”.
 
Ecco quindi l’importanza della figura di Geppetto, che il regista definisce un “designer d’amore”, perché intaglia un pezzo di legno sulla base dei propri sentimenti. “Geppetto ha in sé il cuore dell’Italia: l’italia è artigianato e design, e Collodi a sua volta è figlio di una regione, la Toscana, che è protagonista di questo approccio alle cose, più legato al tempo e alla natura. Geppetto infatti è l’uomo del bicchiere di vino, delle cene di casa. Ma è anche uno che vede lontano –così come Collodi- costruendo qualcosa che noi oggi chiamiamo cibernetica. E lo fa con le mani. Ecco, il mio spettacolo è anche un monito: non sappiamo più fare le cose con le mani, e le mani sono il nostro secondo cervello”.
 
Memoria e immaginazione quindi nel romanzo di Collodi: due elementi complementari, necessari per il progresso. “Se non si investe nella cultura si perde la memoria e l’immaginazione” ci dice Finazzer Flory, che di questo aspetto si è occupato più direttamente negli anni passati, durante l’incarico di assessore alla Cultura di Milano. “Senza memoria, i popoli perdono l’elemento che li rende una comunità, e perdono quindi l’identità. Non sapendo più chi sono, non riconoscono neanche l’altro, il diverso. Si chiudono in loro stessi e abbandonano l’istinto della ricerca. Perdere la memoria significa non avere più una bussola. Fare la fine del Gatto e della Volpe insomma, al ciglio della strada, soli e puniti da Pinocchio”.
 
In questa prospettiva, che valore ha dunque il 2013, Anno della Cultura Italiana negli USA? Può questa iniziativa aiutare l’Italia a riprendere coscienza del proprio valore culturale, spesso compreso più all’estero che in casa?
“Una grande sfida” la definisce Finazzer Flory, “ma importantissima. I successi all’estero possono aiutare ad affrontare gli insuccessi in casa propria e ad uscire dalla crisi interna. Il rapporto con gli Stati Uniti poi è fondamentale: li amo e li reputo il principale partner culturale e politico del nostro Paese. Dobbiamo guardare a loro come un compagno di viaggio”.
 
Un proposito messo in atto dal regista, che parla già del suo prossimo progetto, la Serata Futurista in programma per l’anno prossimo proprio in California. La tournée americana di Pinocchio invece è appena cominciata e lo porterà attraverso quindici Stati. E chissà che le voci su un possibile binomio Tim Burton-Carlo Collodi non siano vere. Se così è, potremmo presto trovarci davanti ad un Pinocchio in versione dark.

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