Nell’antica Roma ozio (otium) e negozio (negotium) erano due realtà antitetiche. Come si vede dalla stessa struttura morfologica delle due parole latine la seconda deriva dall’altra: il negotium è la negazione dell’otium, in quanto: nec-otium = non-ozio.  
 
Esse rappresentano le più nobili e qualificate attività umane che impegnavano l’uomo libero, il civis romanus. Infatti presso i Romani l’otium è l’attività dello spirito: riflettere, studiare, scrivere opere letterarie. Mentre il negotium è l’attività pratica: dedicarsi agli affari e alla vita politica. 
 
Le parole ozio e negozio pur essendosi conservate quasi identiche a se stesse (otium, negotium), il loro significato non corrisponde (o corrisponde minimamente) a quello che esse avevano per i Romani. Anzi direi quasi che è opposto. Se oggi traducessimo le parole latine “otium et negotium” con le corrispondenti italiane “ozio  e  negozio”, avremmo  buone probabilità,  quasi la certezza, di sbagliare: di dire tutt’altra cosa di ciò che intendevano dire gli antichi. Eppure le parole, fatte salve le piccole differenze grafiche e fonetiche, sono praticamente le stesse: e come tali sono state sempre usate nella loro continuità storica.
 
Questo è quello che si dice lo scivolamento di significato. 
Nei concetti antichi di otium e negotium non c’entra per niente il lavoro, così come lo concepiamo oggi. I nomi del lavoro erano: opus (azione), opera (attività), labor (sforzo), fatigatio (stanchezza), officium (dovere, impegno), munus (incarico); tutti aspetti legati al lavoro, eppure non sufficienti a definire il lavoro così come è concepito (organizzato, strutturato, normato) oggi presso i moderni. Dalla storia, poi, apprendiamo che nell’antichità vigeva la schiavitù, il sistema servile che impregnava le relazioni sociali e le relazioni economiche.
 
Tornando al significato delle parole, oggi diciamo: “L’ozio è il padre dei vizi”. Il Romano, per ciò che le parole significavano, avrebbe detto: “L’ozio è il padre della virtù (da “vir” = uomo)”. Infatti l’otium gli permetteva di esprimere le più alte qualità morali, insieme al prodotto dell’intelletto. 
 
Eppure otium e ozio nelle rispettive lingue significano essenzialmente la stessa cosa, cioè “non fare niente”. E poiché il “non fare niente” degli antichi era il privilegio della classe senatoria (abbiamo già detto che vigeva la schiavitù) la nobiltà politica e intellettuale quando non svolgeva le comuni occupazioni quotidiane della vita pratica, la politica, le relazioni sociali – meno che meno la fatica fisica (ricordiamoci che parliamo dell’uomo libero) – liberatosi per breve tempo anche delle preoccupazioni della casa e della famiglia, se voleva dedicarsi alla riflessione scientifica e filosofica o a scrivere opere letterarie si diceva che “facesse ozio”, assecondando in tal modo il suo benessere spirituale e morale.
 
Tutt’altra cosa l’ozio dell’uomo moderno: accidia, noia, perditempo. Di positivo nell’ozio moderno credo non ci sia proprio niente. A meno che non si intenda parlare del poeta e del filosofo: in questo caso si ritornerebbe proprio all’otium, degli antichi.
 
 Negotium, poi, per il Romano è attività: il contrario dell’ozio, la negazione dell’ozio (come ho detto: “nec-otium”). Fare il militare sia in guerra che in pace, occuparsi delle cose dello Stato, seguire gli affari, ecc.. Anche qui, ci rendiamo conto che in italiano il negozio è tutt’altra cosa. Certo, siamo ancora vicini al significato degli antichi; però più che l’attività in sé, per noi indica il luogo dove essa si svolge. Solo nel linguaggio giuridico il termine recupera l’antico significato. 
 
Ora sì che si comprende il senso della definizione “Ville d’ozio” attribuita ai tre o quatto siti archeologici di Stabiae in Campania. La definizione è giusta, nella sua indeterminatezza. Diviene chiara ed inequivocabile per tutti (trasparente), solo se teniamo presente quello che abbiamo detto a proposito dell’otium dei Romani. La villa è una casa di campagna, una fattoria agricola, un centro produttivo, e resta comunque una residenza signorile.
 
Nello stesso tempo per il proprietario diviene la sede delle vacanze e del riposo, dove, lontano dai traffici cittadini, può  più tranquillamente dedicarsi ai suoi studi. Un centro di studi e di rappresentanza, un istituto di ricerca e di documentazione, oltre a centro di produzione e di trasformazione di generi alimentari da conservare o da commerciare.
 
Basti pensare alla Villa dei Papiri di Ercolano, alla Villa di Poppea ad Oplontis, alla Villa dei Misteri di Pompei, nonché alle c.d. Ville d’ozio di Stabiae. 
 

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