Per la ricorrenza dei 70 anni delle stragi di Filetto ed Onna e della liberazione della città dell’Aquila dall’invasione nazista, c’è un ricco programma di eventi preparato dal Comune dell’Aquila.
 
 “Non c’è nessuna strada facile per la libertà”, una frase di Nelson Mandela simbolo di tutto il programma. 
I giorni 7 e 11 giugno si ricordano i martiri di Filetto ed Onna, santa messa, preghiera per i caduti al cimitero e mostre fotografiche in ambedue i centri. A Casa Onna, presentazione del volume “Wir für Onna” Cronaca di un’amicizia: l’intervento tedesco ad Onna dopo il sisma del 2009, di Giustino Parisse.  
 
Il giorno 13 giugno, giorno della liberazione della città dell’Aquila dal dominio nazi-fascista, messa a dimora dell’Albero della Rinascita, ricordo della liberazione a cura del professor Walter Cavalieri, un percorso di memorie a cura del professor Davide Adacher ed un saggio storiografico di Errico Centofanti.
 
Senza timore di rivelare la mia età, anzi con l’orgoglio di aver vissuto giornate memorabili, aggiungo a tutto ciò i miei ricordi personali. Nata all’inizio della guerra, conservo nella mente immagini chiarissime di quei tempi, intatte, come fotografie chiuse in uno scrigno, di cui ho trovato qualche riscontro leggendo le cronache dei tempi.
 La Liberazione iniziò lungo la Linea Gotica che attraversava l’Italia centrale 

 La Liberazione iniziò lungo la Linea Gotica che attraversava l’Italia centrale 

Abitavo allora con la mia famiglia in via San Francesco di Paola numero 17, in affitto a casa Pannunzio, un appartamento enorme, tenuto conto degli spazi di oggi, una fila di camere collegate da un corridoio, in fondo al quale c’era un cucinone con la volta a botte, oggi miseramente crollata. La mia camera da letto aveva due finestre, una affacciava sulla piazzetta Santa Maria di Bagno, l’altra sul piazzale del contiguo garage degli autobus di Pacilli, allora detti postali. 
 
Un ricordo intensissimo è il suono di uno sparo, un colpo di fucile, sparato nel silenzio della notte. Proprio in quel momento mia zia stava innaffiando le piante sul balcone che dava sulla piazzetta, il fruscio dell’acqua interrompeva il coprifuoco. Non saprò mai se la sentinella sparò in aria per mettere a tacere il fruscio dell’acqua, o se sbagliò la mira. 
 
A questo si aggiungono le bussate forti al portoncino di casa nel cuore della notte, quando i soldati tedeschi venivano a dormire nei nostri letti. Allora i grandi prendevano in braccio me e mia sorella e ci portavano giù   per le scale, ci accomodavamo alla meno peggio nel sottoscala e nello scantinato. Seguivano poi complicati bucati ed ebollizioni della biancheria, per liberarla da possibili parassiti.  
 
Ho anche un’altra immagine, un ricordo o un sogno? 
L’immagine di mio padre che mi teneva per mano mentre camminavamo a scendere lungo viale Francesco Crispi, per andare a passare la notte a fianco della Basilica di Collemaggio, perché quello era un posto al sicuro dai bombardamenti. 
 
E poi, ecco i fuochi nel piazzale del garage Pacilli. Un giorno mio padre disse, con voce bassa ma ferma, una frase semplicissima, che ricordo come fosse ora: “Se ne sono andati”. 
 
A lungo rimase la carcassa di un mezzo militare bruciato che sbarrava il passaggio verso via Campo di Fossa. Dovevo attraversare quel rottame, innocuo per fortuna, per arrivare a via XX settembre, dove c’era l’asilo che frequentavo. 
 
Il passare dei mesi e la crescita mi regalano ricordi più precisi. Ho chiarissima nella mente l’immagine di colonne di militari che risalivano da Porta Napoli e muovevano lungo via XX Settembre in direzione di Roma. Era la tarda primavera, e i militari distribuivano caramelle e cioccolata. 
 
La mia prima cioccolata parlava in inglese. 
Credo che mi abbia segnato la vita, ancora mi commuovo a ricordarlo. Quando raccontai questo episodio in una riunione di parenti ed amici in Canada, prima alcuni uomini, poi tutti gli altri si alzarono in piedi per una “standing ovation”, molto patriottica. 
 
Per concludere i ricordi di guerra, e senza timore di uscire fuori tema, rivedo me stessa insieme a mia nonna, vestita di nero, con il volto severo e pensoso in parte coperto da una veletta, mentre insieme salivamo le scale della biblioteca “Salvatore Tommasi”. C’era una lunga fila di gente in silenziosa attesa, la fila si muoveva lentamente, in ordine. Ad un certo punto mia nonna mi lasciò e mi disse di aspettarla, sparì per un po’ in un posto chiuso, e poi ricomparve.
 
 C’è voluto molto per rendermi conto che era andata a votare nel referendum repubblica-monarchia, non ho mai saputo per chi abbia votato, anzi, adesso, ricordandola, preferisco non pensarci. 

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