Di origini romane ed erede del talento musicale dei nonni, Alessandra Belloni ha intrapreso molto presto la carriera di artista, studiando canto e recitazione in Italia. 
 
Nel corso di una vacanza negli Stati Uniti, si convince a restare in America per inseguire il sogno di far conoscere oltreoceano le tradizioni musicali e il folklore dell’Italia meridionale. 
 
Di base a New York City, lo scorso settembre si è esibita in due emozionanti performance a Los Angeles, in occasione del Day of the Drum Festival al Watts Towers Art Center e del Feast of San Gennaro, e ne abbiamo approfittato per saperne di più su di lei e la sua arte.
 
Come ti sei avvicinata ad un genere così particolare?
La mia passione nasce nell’Italia degli anni ‘70, all’epoca della Nuova Compagnia di Canto Popolare del compositore e musicologo napoletano Roberto De Simone. All’epoca, il revival della Commedia dell’Arte, ma anche le danze popolari come la Tarantella, la Tammurriata e la Pizzica, erano ancora molto legate a certi ideali politici. 
 
Quando mi sono trasferita negli U.S.A, il desiderio di combinare l’interesse per la musica e il teatro è diventato realtà grazie all’incontro con il compositore John La Barbera, con il quale abbiamo fondato la compagnia I Giullari di Piazza a New York nel 1980. La nostra intenzione era quella di mostrare al pubblico italo-americano, totalmente estraneo alle dinamiche socio-politiche dell’Italia in quegli anni, un tipo di perfomance profondamente radicato nella nostra cultura e nel passato. Non sapevamo quale accoglienza avremmo ricevuto, ma eravamo e siamo ancora gli unici negli Stati Uniti ad esibirci in questo specifico campo artistico a un livello professionale.
 
Dove vi esibite attualmente?
Per dieci anni siamo stati Artist-in-residence presso il Center for Italian Studies della New York University grazie al professor Luigi Ballerini, e poi negli ultimi 15 anni presso la Cattedrale gotica St. John the Divine, il cui decano era un uomo di grande cultura e sensibilità artistica che ha saputo cogliere la profonda spiritualità del nostro lavoro, in particolare dell’opera Stabat Mater ispirata alla lauda Donna de Paradiso di Jacopone Da Todi del XIII secolo. 
 
Siamo spesso invitati a tenere spettacoli nelle università e in generale per un pubblico colto, interessato anche all’aspetto storico ed antropologico della nostra arte. E tuttavia è ancora difficile comunicare tali contenuti, poiché sono in molti a credere che la musica italiana sia solo la colonna sonora dei classici di cinema come Il Padrino
 
Come nascono e come si sono evolute le vostre opere nel corso del tempo?
Derivano da un approfondito studio sul campo durato circa 20 anni per conoscere da vicino i riti e le sonorità del nostro folklore, così da garantire un’esecuzione autentica e fedele. Ho iniziato riadattando opere tradizionali, fino ad arrivare a scriverne di originali e sempre più al passo con i tempi moderni, passando dalla dimensione acustica a contaminazioni della musica beat, tecno beat ed elettronica. 
Ma alla base rimane sempre il teatro, la mia grande passione, e la Commedia dell’Arte. Musicando e adattando canovacci storici come L’amor folle, Le avventure di Don Giovanni e del suo servo Pulcinella, e La cantata dei pastori, abbiamo messo in scena opere popolari con tanto di maschere, acrobati e pupazzi giganti ripresi dalla tradizione del Carnevale. 
Con il tempo ho iniziato anche a scrivere, attingendo alla ritualità pagana ne Il viaggio della Madonna Nera, un’opera molto spirituale dedicata alla madre terra.
 
Oltre a I Giullari di Piazza ti dividi tra vari progetti, ce ne racconti qualcuno?
Negli ultimi anni ho raggiunto una certa notorietà come percussionista e cantante solista nel panorama internazionale, collaborando con la Remo che produce tamburelli disegnati e firmati da me. Sono spesso in viaggio, ma non ho mai abbandonato la compagnia. Oggi le associazioni non-profit si trovano in forte difficoltà a causa della crisi economica, ma per sei anni siamo riusciti a portare in scena una grossa produzione, il musical Spider Dance basato sul potere della danza cosiddetta Pizzica nel curare la depressione. Si tratta di un progetto più moderno e commerciale, con influenze dalla musica elettronica, hip hop e beat, e con la partecipazione di acrobati, trapezisti e artisti provenienti da tutto il mondo. L’idea è quella di farne uno spettacolo Off-Broadway per attrarre un pubblico più ampio. 
 
Organizzi anche un workshop annuale, in cosa consiste?
Ogni anno in Toscana tengo dei seminari per sole donne, dedicati all’apprendimento delle danze popolari per aiutarle a reagire alla depressione, a traumi psicologici, perfino a disfunzioni fisiche. Ho sperimentato il potere liberatorio e curativo della danza in prima persona, e per anni ho collaborato con vari centri d’assistenza. In particolare, ho scoperto che questo tipo di catarsi può essere di aiuto nell’affrontare le conseguenze psicologiche della violenza familiare. Si rivolgono a me donne con storie molto simili anche se provenienti da paesi diversi, e in futuro vorrei contribuire in qualche modo a richiamare una maggiore attenzione mediatica su questo problema sociale. Del resto, per migliaia di anni simili pratiche curative tradizionali hanno sostituito i farmaci antidepressivi…
 
Altri progetti futuri?
A novembre parteciperò a uno dei maggiori festival di percussioni a Indianapolis insieme a un gruppo tutto al femminile, le Figlie della Dea Cibele, composto da altre due bravissime percussioniste italiane, Kikki Delli Santi  e Serena Davini. In Italia, a differenza del passato, il tamburello è ormai diventato uno strumento musicale di appannaggio prevalentemente maschile. Per questo ho voluto portare con me solo donne, e solo italiane! 

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