Pensate per un attimo alla variegata moltitudine di meraviglie artistiche italiane: chiese, dipinti, statue e reperti archeologici delle più disparate epoche, incastonati in quello che dallo spazio appare come uno stivale d’incalcolabile valore. Provate a immaginare la vostra opera d’arte preferita ridotta in macerie da una bomba.
 
Un atroce delitto, penserete, che durante la Seconda Guerra Mondiale è stato evitato, nel bel mezzo della lotta tra la tirannia e la libertà, da una “Task Force” di studiosi dell’arte reclutati tra le fila alleate, il cui compito era preservare le bellezze artistiche italiane da bombe, vandalismo e incuria: i “Venus Fixers”, perfettamente narrati da Ilaria Dagnini Brey nell’omonimo racconto presentato presso l’Istituto Italiano di Cultura alla vigilia dell’anniversario della liberazione di Firenze dall’occupazione nazista (3 agosto 1944).
 
L’evento, organizzato in collaborazione con l’Italian Heritage Culture Foundation, ha preso spunto dalla presentazione di “Venus Fixers” per ricordare i soldati americani che parteciparono alla liberazione italiana. Tra questi, si è reso omaggio in particolare a Joseph Ventress, che durante la spedizione in Toscana conobbe la sua futura moglie, Mirella. Entrambi legatissimi all’Italia, una volta trasferitisi in California decisero di fondare l’Italian Heritage Culture Foundation, creando un collegamento costante tra gli Stati Uniti e l’Italia operando congiuntamente all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles. 
 
Alla speciale serata presso l’IIC hanno partecipato il figlio di Joseph e Mirella, Jason Ventress, accompagnato dal figlio Tom e dal presidente dell’IHCF, Cynthia Catalino. Tra gli ospiti d’onore anche l’avvocato fiorentino Federico Frediani che, in rappresentanza del sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha conferito agli eredi di Ventress una targa onoraria. Una liberazione, dicevamo, lenta e dolorosa, che, nonostante l’intervento dei “Venus Fixers” narrati da Ilaria Dagnini Brey, lasciò parecchie cicatrici.
 
Com’è nato questo libro?
È nata per caso, volevo scrivere un articolo sulla cappella Ovetari di Padova, distrutta nel 1944 dalle bombe. Nell’indagare mi sono imbattuta in un gruppo di soldati che, anziché imbracciare le armi, risalirono lo stivale con una guida artistica sotto braccio. Documento dopo documento, testimonianza dopo testimonianza, l’articolo si trasformò in un libro.
 
“Venus Fixers”, letteralmente “Aggiustatori di Venere”, era un modo spregiativo con cui l’esercito definì questa Task Force speciale?
Divenne un modo di dire, sicuramente usato in maniera spregiativa, per indicare un gruppo di soldati che, in un contesto di morte e di combattimento, non imbracciavano le armi. Quando, però, Eisenhower si mostrò pubblicamente soddisfatto del loro lavoro, la reputazione dei “Venus Fixers” crebbe, anche se la priorità era rappresentata dalle vite umane e non certo dalle opere d’arte.
 
A tal proposito, verrebbe da citare il caso di Montecassino, forse la pagina più dolorosa dell’azione alleate in Italia.
Questa considerazione apre un discorso particolare, perché in quella circostanza i “Venus Fixers” non poterono esprimere alcun parere: il loro rango era talmente basso da non consentirgli di partecipare alle decisioni militari. Quanto accaduto a Montecassino dipese esclusivamente da una serie di errori strategici pagati a caro prezzo.
 
Oltre ai grandi risultati ottenuti dai “Venus Fixers”, possiamo dire che da questo racconto emerge il legame indissolubile Stati Uniti-Italia?
Quello degli alleati fu un gesto molto elevato, sotto tutti i punti di vista. L’Italia fino a qualche anno prima era stata un’acerrima nemica, eppure non si esitò a proteggere l’arte italiana. Questo deve farci riflettere perché dimostra quanto siano diffuse oltreoceano la nostra storia, le nostre meraviglie e la nostra cultura.
 
Tornando ai giorni nostri, secondo lei l’arte italiana ha bisogno di nuovi “Venus Fixers”?
Ricordo un incontro tenutosi a Firenze per presentare il libro in cui la sovrintendente fiorentina si paragonò proprio ai “Venus Fixers”. A volte, situazioni difficili come una guerra o una grave congiuntura economica mettono tutti con le spalle al muro ed è in quella circostanza che la capacità di far consente di compiere grandi imprese.
 
A chi è rivolto questo libro?
Spero che i giovani che leggeranno questo racconto si renderanno conto di cosa sarebbe potuto succedere alle opere d’arte che oggi diamo per scontate e che tutti sappiano che un gruppo di soldati senza armi si è battuto per preservare l’infinito e ricchissimo patrimonio artistico italiano. 
 

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