Viviamo, è ormai qualche anno, una vera e propria rivoluzione culturale fondata sulla gastronomia, che va molto al di là della spettacolarizzazione del lavoro degli chef così propagandata dalle molte trasmissioni televisive.
Questa nuova ondata si fonda sull’esplosione del problema ecologico e della sostenibilità ambientale, al cuore del problema della nutrizione nel mondo. L’idea che l’uomo sia maestro della natura è solo una mera illusione, l’acqua, il sole, la fertilità del suolo, l’atmosfera, la gestione del clima sono responsabilità legate al bene comune, le conseguenze dei cambiamenti climatici influiscono pertanto anche sull’alimentazione mondiale di oggi e di domani e l’eco- responsabilità quotidiana è ormai qualcosa che concerne tutti i grandi chefs.
A partire da Daniel Humm che in pochi anni ha portato L’Eleven Madison Park di New York alle tre stelle Michelin. Di origini svizzere, 42 anni, conduce con sicurezza una squadra capace di scodellare oltre 100 menu degustation a servizio, proponendo quella che lui stesso definisce “cucina francese moderna con un tocco di New York”. Humm attualizza le ricette della grande cucina impiegando la massima quantità possibile di prodotti reperiti nelle aziende agricole di prossimità.
Sulla forza dei sapori diretti, sulla raffinatezza dei profumi e degli aromi punta anche lo chef francese Arnaud Donckele, chef del La Vague d’or, il ristorante dell’esclusivo Residence de la Pinède di Saint Tropez. Il lungo tirocinio con Alain Ducasse a Monaco e la sua inesauribile creatività lo hanno portato alle tre stelle Michelin, ma soprattutto quest’anno al Palmarés di miglior chef del pianeta 2019 nella top ten dei Best Chef in the world.
Viviamo in un mondo che ci sommerge di dati, forse anche per questo abbiamo la necessità di stabilire una gerarchia e le liste spesso ci aiutano a riorganizzare idee e memoria. Conosciamo il gioco, ormai si stilano classifiche su ogni cosa, ma questa volta si tratta di una classifica molto particolare che risponde a una sola, precisa domanda fatta da chefs stellati ai colleghi 2 e 3 stelle della guida Michelin : “Quali sono i 5 chefs internazionali che rappresentano al meglio i valori della professione, creano una cucina imperdibile, assolutamente da provare ?”
La classifica è stata inaugurata dal magazine Le Chef nel 2015 ed è un barometro assolutamente credibile della gastronomia mondiale. La lista dei Best chefs in the World per l’anno che verrà 2019 è stata presentata a Monaco nell’ambito della manifestazione Chefs World Summit 2018 ed è in quest’ambito che lo chef ostinatamene antidivo Arnaud Donckele ha raggiunto il primo posto dopo essersi piazzato secondo l’anno passato.
Anche l’Italia si piazza bene nella lista : 6 gli italiani in classifica. Il primo ad “apparire” è Enrico Crippa, chef 3 stelle Michelin del ristorante Piazza Duomo ad Alba, che conquista la posizione 26 con la sua cucina elegante e raffinata a base vegetale.
Al 38esimo posto si colloca Nadia Santini, Dal Pescatore, Canneto sull’Oglio, Massimiliano Alajmo, Le Calandre, Rubano in 40esima posizione, Massimo Bottura, Osteria Francescana, Modena, al 57esimo posto, Stefano Baiocco, Villa Feltrinelli, Gargnano arriva 63esimo, Carlo Cracco, Milano al 92esimo posto. Al top della classifica 2019 gli Chefs statunitensi con ben 9 nomination nella prestigiosa lista e sono David Kinch, Manresa, Dan Barber Blue Hill Farm, Grant Achatz Alinea, il già citato Daniel Humm, Eleven Madison Park, Cesar Ramirez, chef table at Brooklin Fare, Thomas Keller Per Se, Corey Lee Benu, Eric Ripert Le Bernardin. Se la parte del leone nella classifica degli chefs stellati la fa la Francia con ben 30 nomination, sono in netta ascesa gli spagnoli e gli orientali con l’entrata nella top ten di giapponesi, cinesi e thainlandesi.
I più grandi Chefs del mondo, responsabili e implicati nei problemi del pianeta, si sono incontrati per tre giorni al Grimaldi Forum di Monaco e hanno mostrato un’ampia panoramica sulle nuove cucine del mondo con l’intento dichiarato di promuovere l’eccellenza degli ingredienti, salvaguardare la bio-diversità, promuovere le filiere gastronomiche ridando valore al ruolo dei piccoli produttori. C’è qualcosa di inedito che sposa i principi della rete mondiale delle comunità del cibo promossa da Slow food che non riguarda solo la maestria di chefs che hanno creato un nuovo stile utilizzando tecniche culinarie innovative, ma anche la maniera di applicarle alla diversità dei loro luoghi di origine.
Creatività, sensibilità, conoscenza, identità, genuinità, regionalità : fra i temi abbordati al Summit la sostenibilità ambientale, la responsabilità degli chefs per il Pianeta, la formazione e il lavoro dei giovani, il fare sistema per dare il proprio contributo al benessere generale. Mentore di quest’anno è stato Mauro Colagreco che ha invitato Jorge Vallejo e altri colleghi di fama planetaria. Si è parlato del modello francese naturalmente sempre attuale quando si parla di alta cucina, di vini, prendono sempre più piede le produzioni di vini naturali, di nuovi format per la ristorazione veloce, di tendenze e di marketing, di allergie, di formazione , del rapporto sinergico da instaurare tra chef e produttori e soprattutto di lotta allo spreco.
Non sono mancati i focus sulle innovazioni in cucina e in pasticceria, sulla salute degli oceani e delle acque in generale con tavola rotonda sul cambiamento climatico e sull’approccio alla carne e al suo consumo. Una sorta di Stati generali della cucina che ha fatto il punto sulle ultime tendenze culinarie e non solo. Anche l’industria sta riscoprendo l’artigianato e la genuinità per capire e far capire meglio qualità e gusto della vita.