Il brasiliano Carlos Alfonso Nobre, premio Nobel per la pace 2007, fra i massimi esperti di riscaldamento globale, studia l’Amazzonia da 40 anni. Nel suo intervento al Sinodo ha sintetizzato i temi di un documento, appositamente realizzato per l’occasione, sui pericoli e le aggressioni che corre l’Amazzonia e con essa tutto il Pianeta.
Nel suo incontro con i giornalisti in Sala stampa Vaticana ha sottolineato come l’Amazzonia è il cuore ecologico del pianeta Terra, con un’immensa socio e bio-diversità. Ma “siamo molto vicini al collasso della Foresta amazzonica, la scienza lo dice con assoluto rigore.
Come la Laudato si’ dice che è vicino il crollo della Casa Comune”. Se si arriva a distruggere il 20-25 per cento della foresta, è l’allarme di Nobre, “poco dopo la savana coprirà il 60 per cento dell’area. Oggi il 15 per cento della foresta è stata distrutta attraverso il ciclo irreversibile della deforestazione, gli incendi criminali del 2019, la crisi climatica”. Che fare, come intervenire prima che sia troppo tardi? “Le tecnologie – dice – possono aiutare a trovare soluzioni, se non vengono utilizzate per lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali”.
La tecnologia può dare più potere alle popolazioni, “grazie alla bioeconomia, ad un nuovo modello di economia sostenibile, decentrata, sostenuta da energia proveniente da fonti rinnovabili, che rispettino la qualità di vita delle comunità. Perché l’Amazzonia possa continuare ad essere la foresta che è da 30 milioni di anni”. Sui rischi del riscaldamento globale lo scienziato non ha dubbi nel sottolineare come “la maggioranza della popolazione mondiale non è affatto negazionista, a proposito dei rischi ambientali derivanti dal riscaldamento globale, denunciati in modo compatto dagli scienziati”. Gli unici negazionisti sono “i fautori e i difensori del modello economico dominante nel ventesimo secolo e ancora oggi”.
L’Amazzonia, grazie alla sua foresta “immagazzina un’enorme quantità di anidride carbonica. Se non ci fosse la Foresta amazzonica il riscaldamento globale sarebbe ancora più veloce e drammatico. Dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere e ridurre drasticamente la produzione di anidride carbonica”.
Accanto al grido di allarme della scienza si alza, alto, quello della Chiesa: il vescovo emerito di Altamira Xingu in Brasile, Monsignor Erwin Kräutler ha denunciato come la centrale idroelettrica di Belo Monte, la terza più grande del mondo, sia un’aggressione a tutto l’ecosistema. Il vescovo austriaco vive nella Foresta amazzonica da quando ne aveva 26 , da 30 anni è sotto scorta perché sostiene gli indios e difende la Foresta.
Nel suo preciso , appassionato intervento monsignor Kräutler denuncia come l’Amazzonia sia stata sempre vista come una provincia da depredare, del legno, dei minerali, oggi dell’energia. “Presto avremo 1000 centrali idroelettriche, alcune sono già in costruzione, altre lo saranno, ma non ne abbiamo bisogno. In Amazzonia abbiamo il sole dalle 6 alle 18, sfruttiamo l’energia solare e sostituiamola all’idroelettrico, che è un’aggressione all’ecosistema”.
Il presule austro-brasiliano è un testimone diretto: “Io ci vivo e sento le conseguenze: il fiume Xingu non è più lo stesso, aree allagate, foreste disboscate, tonnellate di pesce morto, abitanti spostati in case prefabbricate, minuscole. Il popolo locale non è mai stato consultato! Era tutto già preparato a Brasilia, ci siamo trovati di fronte al fatto compiuto”. Problemi che investono le città: l’emigrazione rurale ha gonfiato le città in modo innaturale, Altamira ad esempio “è una delle città più violente del Brasile. Tanti giovani sono senza prospettive e cadono nella trappola delle droghe”. La Chiesa deve parlare, deve continuare a “richiamare l’attenzione su tutto quello che sta succedendo dando informazioni scientifiche”.
Nel corso della storia”abbiamo sempre difeso i popoli indigeni e nel 1988 la Chiesa cattolica è riuscita ad inserire i loro diritti nella Costituzione federale. Oggi è in corso una campagna contro gli indigeni da parte dei politici, incluso il governo, perchè sono visti come un ostacolo al progresso. Noi non li guardiamo come oggetto di carità, ma ci mettiamo al fianco degli indigeni per la difesa della loro vita”. Sollecitato sulla proposta dell’ordinazione dei viri probati, questione che tiene acceso il dibattito in Vaticano, monsignor Kräutler, che il 4 aprile 2014 aveva incontrato il Papa nel ruolo di segretario della Commissione episcopale per l’Amazzonia, ha sottolineato come migliaia di comunità, in Amazzonia, ricevono l’Eucaristia una o due volte l’anno “e l’Eucaristia è fondamentale per il cristiano. “Non c’è altra possibilità” dunque che l’ordinazione sacerdotale di uomini anziani, sposati e di provata fede che risiedono in comunità sperdute, “perché i popoli indigeni non capiscono il celibato. Le prime volte che arrivavo in un villaggio mi domandavano: ‘Dove è tua moglie?’. Io dovevo dire che non avevo moglie e loro sentivano una pena enorme per me. C’è il rischio di porre il celibato al di sopra dell’Eucaristia. Ma il Signore, nell’Ultima cena, ha detto: ‘Fate questo in memoria di me, quindi per noi l’Eucaristia è un obbligo”. Senza dimenticare che “due terzi di queste comunità cristiane senza sacerdoti sono coordinate da donne. Stiamo pensando concretamente al diaconato femminile”.
L’emigrazione rurale ha gonfiato le città in modo innaturale, commenta Kräutler rispondendo ad un’altra domanda “e oggi per la Chiesa la sfida è riuscire a raggiungere tutta questa gente. Le chiese pentecostali sono arrivate prima di noi, e noi non siamo presenti per mancanza di sacerdoti, di religiosi e religiose. Non basta visitare una comunità, la Chiesa deve’essere presente sempre, con la celebrazione dell’Eucaristia e l’amministrazione dei sacramenti”.