Pietà dell’Opera del Duomo o Pietà Bandini (courtesy Opera di Santa Maria del Fiore, Ph Antonio Quattrone)

Al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, per la prima volta, un’esposizione mette a confronto, l’originale della Pietà Bandini, di cui è da poco terminato il restauro, e i calchi della Pietà Vaticana e della Pietà Rondanini provenienti dai Musei Vaticani. Una vicina all’altra, le tre Pietà offriranno l’opportunità di vedere l’evoluzione dell’arte di Michelangelo e la sua maturazione spirituale, dalla prima giovinezza – quando a Roma scolpì per la Cappella dei Re di Francia nell’antica San Pietro l’opera ora nella navata laterale nord della Basilica – alla sua ultima stagione, quando, ormai vecchio, mise mano alla Pietà oggi a Firenze e poi alla Pietà Rondanini conservata a Milano.

Si tratta di un percorso lungo più di cinquant’anni, che conduce dall’ambizione del giovane che scolpì il proprio nome sul petto della Madonna della versione vaticana, dell’immedesimazione personale dell’anziano artista, che in quella del Museo dell’Opera raffigura se stesso nelle sembianze di Nicodemo. Vicino alla morte, Michelangelo meditava profondamente sulla Passione di Cristo, come egli stesso fece capire in un coevo disegno della Pietà, donato alla marchesa di Pescara Vittoria Colonna, dove scrisse la frase dantesca: “Non vi si pensa quanto sangue costa” (Paradiso XXIX, 91). Risultato sublime di questa meditazione spirituale fu l’esecuzione della Pietà Rondanini, la cui estrema bellezza rifulge nel tramonto della figura.

La mostra è un progetto che vede eccezionalmente coinvolti i Musei Vaticani, il Museo dell’Opera del Duomo, il Museo Novecento di Firenze, il Castello Sforzesco di Milano e le istituzioni dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Comune di Firenze, Comune di Milano e Fabbrica di San Pietro. Nel prossimo autunno i tre calchi in gesso delle Pietà originali saranno esposti a Milano nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale.
L’esposizione fiorentina ruota intorno al recente e delicato restauro della Pietà Bandini mettendola a confronto con due calchi conservati nei Musei Vaticani, di interessanti provenienze diverse, ma che riproducono in maniera straordinaria e mirabile le altre due Pietà michelangiolesche. “Calchi che non sfigurano accanto all’originale fiorentino – spiega Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani – non solo perché condotti a regola d’arte ormai qualche decennio fa da maestranze competenti, ma soprattutto perché, in un’epoca di grandi discussioni sulle riproduzioni NFT (Non Fungible Token) e DOC.NFT (Digital Original Copy NFT), testimoniano della necessità che si è sempre avuta di riprodurre capolavori universali della fede e dell’arte per la loro divulgazione ad un ampio pubblico in quanto straordinari mezzi di evangelizzazione e di trasmissione di valori spirituali”.

Il confronto tra queste tre opere per Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo: “Permette di misurare la crescita stilistica del Buonarroti nei cinquant’anni che separano la Pietà giovanile dalle altre due, e l’evoluzione assai più concentrata ma anche drammatica tra la Pietà fiorentina e quella milanese. Permette inoltre di cogliere la maturazione del pensiero di Michelangelo intorno al soggetto sacro tra la fine del Quattrocento e la metà del secolo successivo, mettendo a fuoco il nesso tra vita ed arte nello scultore credente che, per buona parte della sua carriera, era al servizio dei papi e quindi interprete privilegiato delle istanze di una Chiesa in dinamico cambiamento”. Un’occasione “davvero straordinaria poter vedere – dichiara Claudio Salsi, direttore dell’Area Soprintendenza Castello, Musei Archeologici e Musei Storici, Milano – gli elementi di continuità e discontinuità che emergono con chiarezza quando con uno sguardo d’insieme cerchiamo di cogliere l’essenza di tutta l’opera del grande scultore toscano”.
“La tradizione evangelica si sofferma con sobrietà sulla figura della Madre del Signore. Nella religiosità popolare e nell’arte al contrario, si moltiplicano espressioni e immagini a riguardo della Vergine”, scrive il Cardinale Giuseppe Betori. Tra le immagini più significative che lungo i secoli hanno dato forma alla figura di Maria nel cuore dei credenti c’è senza dubbio la Pietà, il corpo di Gesù deposto dalla croce accolto dalla Madre tra le braccia. Di questo gesto non v’è traccia nei racconti della passione del Signore che ci offrono nei Vangeli e di esso non fa menzione neanche la letteratura apocrifa. Dal Medio Evo in poi, invece, a partire dalle regioni germaniche, la Pietà diventa una delle più diffuse raffigurazioni mariane, e insieme cristologiche”.

La prima Pietà scolpita da Michelangelo – Fu realizzata a ridosso del giubileo del 1500, quando il cardinale Jean Bilhères de Lagraulas commissionò al giovane Buonarroti “una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio”. Il committente era a Roma dal 1491, come capo di una delegazione inviata da Carlo VIII di Valois presso la corte papale per preparare la riconquista francese del regno di Napoli.
Il giovane scultore fiorentino poteva dedicarsi al tema del dolore materno e soprattutto al mistero dell’Incarnazione che “tra le opere di Dio è quella che più sorpassa la ragione”, come ricordava San Tommaso “poiché non si può pensare nessun’opera divina più mirabile di questa, che il vero Dio, il Figlio di Dio, diventasse vero uomo”. Con la Pietà Vaticana (1498-1499), l’artista impressionò il suo tempo: tale era la bellezza di quel Cristo nudo sorretto amorevolmente dalla Vergine, una giovanissima ragazza umile e casta, avvolta in un profluvio di panneggi per cui Maria è Madre e sposa. Quella giovinezza venne criticata dai più, parendo poco consona alla Madonna. Come ci ricordano le fonti, Michelangelo si difese dalle critiche spiegando che la verginità e la purezza mantengono giovani e belle le donne. Il capolavoro venne collocato nella cappella di Santa Petronilla poco prima del 1500, anno del giubileo. Successivamente la Pietà fu spostata in San Pietro, e nel XVIII secolo fu esposta a destra della navata dove ancora oggi la si può ammirare. In questa Pietà Michelangelo è riuscito a rappresentare la divinità di Gesù calandola nel corpo di un uomo di 33 anni. Cristo appena deposto dalla croce pare dormire in seno alla giovane madre, raggiante nella sua bellezza, luminosa visione di grazie e umiltà. La morte non oltraggerà quel mirabile uomo: il più bello tra gli esseri viventi. Nel corpo intatto, senza segni di violenza subita, si legge già il risorto, colui che vince la morte.

La seconda Pietà scolpita – Molti anni dopo la Pietà vaticana, Michelangelo tornò a scolpire lo stesso soggetto. Nel frattempo, Roma era stata saccheggiata, la Repubblica di Firenze era crollata e i Medici erano rientrati in città. Michelangelo ha lasciato Firenze nel 1534 e si è stabilito per sempre a Roma. Dopo la morte di Alessandro de’ Medici, ucciso dal cugino Lorenzo, il duca Cosimo I comanda come un principe assoluto. Nel 1547 muore Vittoria Colonna alla quale l’artista era legato spiritualmente.
Michelangelo è un artista ormai anziano sempre più concentrato sul destino umano, sulla morte e resurrezione di Cristo, lavora in preda a frequenti crisi depressive. Vive di contrasti, tra l’attrazione per la bellezza, il pungolo dei sensi e il desiderio di ascesi. Comincia a temere la propria morte, il giudizio divino. Fa voto di povertà. Si aggrappa infine alla croce e mette al centro della sua esistenza e della sua ispirazione Cristo, salvatore dell’umanità. L’esecuzione della Pietà Bandini è lunga e difficile, la datazione controversa. Di sicuro il maestro cominciò a lavorare il blocco intorno al 1547. Tuttavia, Michelangelo non portò a termine il lavoro, e la statua, prima di essere venduta nel 1561 a Francesco Bandini, fu conclusa in alcune parti da Tiberio Calcagni, principale assistente del Buonarroti. La statua avrebbe dovuto essere collocata in Santa Maria Maggiore a Roma, probabilmente per la sepoltura di Michelangelo. Vi si legge infatti una profonda e intensa meditazione sulla Morte e la Redenzione, sul Sacrificio di Cristo e la Salvezza, merce anche il transfert nella figura di Nicodemo.

Secondo Alessandro Parronchi il blocco prelevata da Seravezza e usato per la realizzazione del gruppo era uno di quelli avanzanti per la tomba di Giulio II. Quel marmo, come ricorda anche Vasari, era pieno di impurità ed estremamente duro, tanto che al contatto con lo scalpello emetteva nugoli di scintille. Nel 1553 Vasari, in visita allo studio dell’artista, ebbe l’impressione che Michelangelo esitasse a mostrargliela non terminata. Cercando di variare la posizione delle gambe di Cristo, lo scultore provocò la rottura di un arto. Intorno al 1555, prese a martellate la statua rompendola in più punti. Infatti, ancora oggi si osservano segni di rottura sul gomito, sul petto, sulla spalla di Gesù e sulla mano di Maria. Alla morte dell’artista nel 1564 si pensò di utilizzare il gruppo per la sepoltura di Michelangelo a Firenze in Santa Croce. L’opera invece rimase nella villa dei Bandini a Montecavallo e solo nel 1674 venne acquistata da Cosimo III de’ Medici che la destinò ai sotterranei di San Lorenzo. Nel 1722 la Pietà fiorentina fu trasferita in Santa Maria del Fiore. Dal 1981 si trova nel Museo dell’Opera del Duomo.

L’ultima Pietà detta Rondanini – Il progetto risalirebbe agli anni tra il 1552 e il 1553. Secondo le fonti, Michelangelo vi lavorò fino all’ultimo. Infatti, l’opera fu rinvenuta nello studio di Michelangelo dopo la sua morte. Nell’inventario redatto in quei giorni la Pietà è descritta in questi termini: “Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite”. Nel gruppo si alternano parti condotte a termine, riferibili alla prima stesura, e parti non finite, legate ai ripensamenti della seconda versione. Acquistata dai marchesi Rondanini nel 1744, la Pietà è arrivata a Milano. Dal 1952 si conserva nel Castello Sforzesco.

Esito finale di un lungo percorso di arte e di fede, è una preghiera che un’opera d’arte. E’ la visione mistica del cristiano immerso in una riflessione notturna sull’Unigenito, sulla passione morte e resurrezione di Cristo. Gesù e Maria sembrano fantasmatici, la pietra tende a farsi materia di luce. Cristo esausto sembra scivolare verso la tomba e con il figlio anche la Madre, la cui umanità è assorbita dal sentimento di amore. Un unico destino travolge madre e figlio in una metamorfosi mistica, la stessa dell’annunciazione. Maria è talamo per il suo Signore. L’evidente inclinazione delle due figure, a una visione laterale, pare suggerire una riflessione sulla Resurrezione e l’Assunzione. Se osserviamo bene infatti i due corpi paiono distaccarsi dal suolo, e assieme raggiungere il Padre.


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