Chiunque può avvicinarsi al lavoro che stiamo portando avanti da qualche mese su queste pagine. Se ciò interessa, naturalmente. Soprattutto, lo si può fare autonomamente: a partire da un buon dizionario della lingua italiana. E ce ne sono diversi in commercio. Non è necessario che siano dizionari etimologici. Basta che siano ben fatti: con coscienza e con finalità chiare.  
 
In genere non mancano i rimandi alle radici latine e greche del lessico italiano, o a parole delle lingue che hanno influenzato l’italiano. 
 
Questa premessa vuol essere un incoraggiamento (e una rassicurazione) ai nostri lettori, e specialmente a quegli studenti che affrontano lo studio del latino e del greco, o che familiarizzano con le lingue europee. Ma anche con le parlate di altri immigrati. 
 
Tuttavia è difficile, forse complicato, ricostruire l’origine del nome dei numeri. Ma, in coerenza con la premessa, non è di questo che voglio parlare. 
 
Si sa che per le lettere, la rappresentazione grafica (grafemi) dei suoni della lingua (fonemi),  dovette essere un ideogramma; cioè dei disegni stilizzati di oggetti che col tempo, ridotti all’essenziale, hanno preso la forma delle lettere. Finché, proseguendo ancora il processo di astrazione, alla fine ogni segno continuando a richiamare alla mente l’oggetto designato, è finito col simboleggiare il fonema caratteristico inconsciamente collegato all’oggetto stesso. 
 
Diversamente per i numeri, che per la loro natura concettuale potevano essere rappresentati realisticamente; almeno i primi cinque che indicavano una esigua quantità di unità. 
 
Ma per i nomi? Qui possiamo supporre che i nomi dei numeri, originariamente dovettero indicare cose, fatti, ed esperienze che in qualche modo fossero legate a quelle realtà della vita quotidiana che si presentavano come insieme di unità, un unicum collettivo. Gli occhi, le gambe, le zampe, le dita (per mantenerci ad una realtà molto vicina). E in seguito altre immagini, legate a situazioni particolari o ad esperienze originali, possono aver imprestato i loro nomi ai numeri. Poi sarà venuto il momento dei multipli, con i meccanismi logico-linguistici che conosciamo, anche se i criteri alla base dell’organizzazione numerica non sono identici in tutte le lingue. 
 
Così alla fine la visione seriale della realtà e la sua rappresentazione nella lingua (e nella scrittura), si sarà imposta alle operazioni contabili: conteggio dei capi di bestiame, schieramento dei soldati, registrazione delle scorte nei magazzini, o delle operazioni di baratto. E solo allora si saranno specializzate le tecniche di calcolo rapido, a partire dall’addizione, prima con le unità semplici poi con quelle complesse, fino alla creazione di procedure sintetiche schematiche e formalizzate. 
 
Oggetti, idee, ed ideogrammi, la procedura che, come si ritiene, ha dato origine ai sistemi di rappresentazione grafica. 
 
Finalmente, implementandosi il linguaggio, il processo logico avrà trovato formule a mano a mano che l’uomo scopriva tutti i tipi di relazione numerica tra gli oggetti e, in astratto, tra i numeri. Fino alle misurazioni e ai relativi calcoli. La meraviglia di fronte al mistero (l’esattezza) dei numeri e del loro complesso gioco di ricorrenze e di rimandi ha portato l’uomo a considerarli sostanze soprannaturali, e simboli di valori morali: l’Assoluto.
 
Ma i linguisti sono dei letterati: né filosofi, né naturalisti. Perciò dobbiamo procedere a partire dalle parole. 
 
I numeri, dalla grammatica, sono definiti aggettivi (nomi aggettivi), perché sono accompagnati a un nome, all’origine. Se isolati, possono essere sostantivi (nomi sostantivi). Essi di norma aggiungono (ad-iectum) al nome sostantivo un elemento che caratterizza la sostanza del nome per il suo aspetto quantitativo. E questi aggettivi (numerali) a seconda di come vengono usati (e da come sono strutturati linguisticamente) si distinguono in cardinali, ordinali, distributivi, moltiplicativi, avverbiali (essendo veri e propri avverbi).   
 
Non potendo spiegare l’origine dei nomi dei numeri, cercheremo di vedere parole che con i numerali hanno un rapporto stretto: primo, secondo,  penultimo, ultimo.
 
Primo” (latino: primus) è un superlativo derivante dall’avverbio latino prae (avanti). Da prae si formano il comparativo prior e il superlativo primus (avanti a tutti). 
 
Secondo” (lat.: secundus) è un aggettivo verbale dal verbo sequor (seguire). È quello che è destinato a seguire.
 
Ultimo” (ultimus) è anch’esso un superlativo. Dall’avverbio ultra (al di là) si formano il comparativo ulterior e il superlativo ultimus (che viene dopo tutti gli altri).
 
Penultimo” è formato da paene + ultimus, dove paene è un avverbio che significa quasi. (Vedi: penisola, penombra, ecc.).
 

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