Dal 2 luglio al 19 settembre sono esposte al Museo della Città di Livorno le opere del macchiaiolo allievo prediletto di Giovanni Fattori, caratterizzate da colori accesi, inquadrature ardite e pennellate rapide e corpo
“Mario Puccini. Van Gogh involontario”: questo è il titolo della mostra dedicata all’artista livornese, allievo di Fattori, i cui dipinti sono caratterizzati da pennellate rapide e corpose, colori accesi, spesso inquadrature ardite che ricordano le opere dell’artista olandese maestro dell’impressionismo.
L’esposizione, a cura di Nadia Marchioni, si tiene fino al 19 settembre al Museo della Città di Livorno, città in cui Mario Puccini nacque il 28 giugno 1869. La mostra, ricostruendo l’universo di artisti che contribuì alla maturazione del grande pittore, presenta centocinquanta opere, fra cui un importante nucleo collezionistico ritrovato in questa occasione, che permette al visitatore di osservare dipinti e disegni assenti dalle esposizioni pubbliche da oltre cinquanta anni, talvolta mai esposti precedentemente o, addirittura, inediti.
“Una rivelazione per me sono state le cose di Mario Puccini, un selvaggio pittore livornese allievo del Fattori: ha circa 50 anni. E’ un Van Gogh involontario: fortissimo; tu vedessi che colori, tu vedessi che fiere, che paesi, che mari, che barche in porto, ammassate, catramose”: così scriveva il critico Emilio Cecchi alla moglie pittrice Leonetta Pieraccini nel 1913, indicando i due poli entro cui nacque e si sviluppò l’opera di Puccini.
Il grande erede del macchiaiolo Fattori seppe rinnovare il messaggio del maestro guardando ai più fulgidi esempi d’Oltralpe, uno su tutti il celebre Giardiniere di Vincent van Gogh, evocato in mostra come una delle maggiori novità visibili a Firenze dal 1910 nella raccolta del collezionista-pittore Gustavo Sforni, che di Puccini divenne in quegli anni premuroso amico.
L’esperienza della reclusione in manicomio ventiquattrenne (1893-1898), per oltre quattro anni, non spense la passione di Puccini per la propria arte; sostenuto dall’esempio di amici artisti, fra cui Plinio Nomellini e Oscar Ghiglia, riprese a dipingere ai primi del Novecento, perfettamente aggiornato sulle novità europee grazie alle frequentazioni di importanti mercanti e collezionisti fiorentini ed al vivace dibattito culturale che si sviluppava nelle sale del livornese Caffé Bardi, dove s’intratteneva, durante il suo ritorno in Italia, il concittadino Modigliani, che con Puccini condivide l’anno di morte, il 1920.
La prima sezione è dedicata agli esordi di Puccini in un contesto tardo ottocentesco dove in Toscana, e non solo, giganteggiavano le figure di Fattori e Lega. Il giovane artista, a Firenze per studiare all’Accademia accanto all’illustre maestro, esordisce come ritrattista, in un percorso che lo vede vicino al più esuberante amico Nomellini, suo concittadino.
La seconda sezione documenta l’interruzione forzata della ricerca artistica del giovane pittore dovuta alla crisi psichica che portò al suo ricovero, ventiquattrenne, all’ospedale di Livorno ed in seguito al Manicomio di San Niccolò di Siena, dove fu recluso dal 1894 al 1898. Le foto d’epoca, i documenti e i disegni tutt’oggi conservati nell’Archivio storico della Asl 7 di Siena testimoniano la sua drammatica vicenda esistenziale.
La terza sezione è dedicata all’ideale legame profondissimo che unì per tutta la vita Puccini al maestro Fattori e al superamento del suo insegnamento, favorito dall’aggiornamento in senso europeo della pittura in Toscana fra Ottocento e Novecento, quando artisti come Nomellini e Müller urtarono la sensibilità dell’anziano artista cercando Oltralpe nuove suggestioni fra impressionismo, divisionismo e simbolismo.
La quarta sezione mostra il suo ritorno alla pittura, in una veste completamente mutata. L’attenzione dell’artista non è più concentrata sullo studio della figura umana, ma si allarga al paesaggio che lo circonda.
La quinta sezione prosegue l’indagine sul dinamico panorama culturale cittadino, presentando due importanti e vasti dipinti eseguiti da Puccini raffiguranti Il Lazzaretto di Livorno eseguito assieme ad un grande disegno a carboncino, per la decorazione di una sala del Caffé Bardi, una sorta di Caffè Michelangelo dei postmacchiaioli, ritrovo di intellettuali ed artisti dal 1909.
La sesta sezione mostra l’artista a confronto con diversi paesaggi: le rare opere eseguite a Digne, nelle Alpi Marittime, dove Puccini si reca nel 1910 e nel 1912, quelle eseguite in Versilia e a Seravezza e i dipinti della campagna fra Livorno e Pisa, i dintorni di Castiglioncello, la Maremma.
La settima sezione analizza l’umanità prediletta di Puccini: il mondo quotidiano del popolo e dei lavoratori, bambini seduti in ozio davanti alla porta di umili abitazioni, contadini intenti al lavoro nei campi.
L’ottava sezione presenta una scelta di ritratti e nature morte, queste ultime eseguite in gran numero da Puccini, che dal 1911, grazie anche ad una società per la commercializzazione delle sue opere costituita dagli amici Benvenuti e Pierotti della Sanguigna, comincia ad ottenere un certo successo nelle vendite.