“Signore della pittura italiana” lo definì André Verdet, l’artista francese amico dei grandi Picasso, Mirò, Matisse, Chagall. Ennio Calabria (7 marzo 1937) appartiene alla categoria, sempre più rara, di artisti impegnati in un’esaltante, tormentato, percorso di inquieta complessità, in una ricerca della definizione più profonda dell’identità, del senso della pittura. 
Nel corso di un recente omaggio che gli è stato reso nell’Aula Magna dell’Accademia di  Belle Arti di Roma, illustri critici e storici dell’arte hanno messo in   luce singolarità e grandezza di  un artista atipico, progettuale, abituato a calarsi nella voragine del pensiero fino all’annullamento di sé per riemergerne ogni volta arricchito.  
 
Calabria, famoso pittore romano noto in tutto il mondo, è stato ed è un grande  protagonista del dibattito culturale italiano. Il suo percorso  non è mai stato semplice, permeato com’è di una forza visionaria che avvolge il suo lavoro nel mistero di una creazione che mette in crisi. Non c’è posto nel suo pensiero per le regole del gioco, per i sistemi premianti ed i margini di rischio, categorie condivise e collusive dell’oggi.   
La sua è stata ed è tuttora continua ricerca, avventura, tentativo inesausto di esplorare nuove vie, senza mai tradire la memoria nè perdere le tracce del proprio vissuto. Idealista alieno alle cricche di potere, la sua ricerca è divenuta, specie negli ultimi anni, una sorta di scandaglio quasi ossessivo del sé, senza trascurare ciò che si muove in altri mondi, in galassie sconosciute. 
 
Il suo itinerario artistico lucido, consapevole, teso, coerente trova adesso nella vicenda cristologica un percorso esemplare, un simbolo, una potente metafora delle nuove apocalissi che incombono tragicamente nella vita dell’uomo di oggi. 
Nel suo furioso corpo a corpo con il dipinto che raffigura il dramma più profondo dell’umanità, la Crocifissione di Cristo, il  grande quadro-sintesi della sua opera  segna il punto di non ritorno di un percorso artistico che va avanti da quasi 60 anni.  Dipinto per l’Evento giubilare  “sette Quadri in sette Chiese”, la tela ammirabile nella Basilica di Sant’Andrea della Valle a Roma, raffigura un Cristo-Uomo che porta sulle spalle il peso delle miserie e delle storture umane quasi trascinandosi dietro l’enorme croce, massiccio simil granito di peso e consistenza tombale.
 
Qual è stata la chiave di  lettura di questo tema che l’ha ha così fortemente coinvolta?  
Avvicinarmi a questo tema è stato come se con uno scalpello aprisse in me qualcosa che era chiuso…Sento quella paura che  si perde e si ritrova di continuo nello smarrimento dell’uomo, nell’ottusità umana, nel non senso dell’universo intero e soprattutto ho sempre fortemente percepito l’immensa paura, la solitudine di Gesù nell’Orto degli ulivi prima della cattura. La morte di Cristo trova senso non nel solo corso della vita umana, ma è come una bandiera  che l’uomo innalza nella turbinosa incognita dell’Universo.  Ho cercato di sgomberare l’immagine da ogni letteratura, così mi è sembrato di meglio comprendere il senso estremo della dolorosa ed inquieta domanda umana.
 
Sembra di assistere a un violento spasmo, a una profonda identificazione, anche fisica, con il dolore che contorce e sfigura.
Nel caso della Crocifissione, azzerate o quasi tutte le narrazioni interpretative della storia e della religione, resta un Essere psicofisico che nell’inconsapevolezza del proprio assoluto essere oggettivo reagisce alla spaesante coesistenza con la Croce, simbolo divino che vanifica ogni costruzione di senso che l’umano cerca di estrarre da sé. Cristo diviene colui che media tra il senso eterno e il senso transitorio della parzialità umana. Nel corso delle mie lunghe riflessioni sul tema mi sono sempre chiesto come mai le narrazioni attorno alla figura di Cristo resistono all’usura del tempo e perché le grandi narrazioni della storia e delle società deperiscono, invecchiano, spesso scompaiono. Gradualmente mi è apparso sempre più chiaro che Cristo traduce nella Storia, nelle coscienze e nelle loro modalità percettive una sempre nuova presenza dei necessari fondamentali delle esperienze evolutive delle cellule del mondo, in un continuo corto circuito tra l’Essere e la  Storia. 
 
La centralità di Cristo, che fa della religione cristiana la “Religione riuscita” (Freud), la “vera religione” (Lacan), è l’anello di congiunzione che con la sua morte diventa il Cristo Principio e compimento della fraternità umana. 
Sento in me forte la tensione a comprendere la vastità del mistero di Cristo, del suo incontro con la Croce, quasi l’incontro con quel vortice divino di cui ha parlato Munch, espressione della costante relativizzazione del senso umano.
 
Si inoltra Calabria, l’artista mai pacificato, quasi sospeso in uno spazio profetico, anticipatorio, fra i meandri dell’indicibile, del mistero, da dove riporta luminosi brandelli di significato, di sofferta speranza.
Per molto tempo ho pensato che le due grandi linee che nella Croce si intersecano, e cioè la linea dell’orizzonte e quella verticale, che unisce la terra al cielo, si potenziassero reciprocamente.  Ora mi rendo conto che invece si elidono e per questo la Croce è espressione del non senso, così che il divino sembra insidiare  continuamente l’umano, ma a questo destino si sottrae la mediazione di Cristo, che propone una nuova alleanza tra l’automatismo della Totalità che vanifica il senso umano e la Parzialità,  che è il medium del senso e che non può essere generato dalla parzialità dell’umano”.
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