Via i preconcetti, via tutti quelle rappresentazioni viste e ascoltate nelle nostre vite precedenti: Il Flauto Magico di Mozart è stato riscritto, reinventato, personalizzato. Alla prima dell’opera del compositore austriaco la regia del nostro Romeo Castellucci ha stupito tutti: spazzando ogni certezza, sconvolgendo canoni, rielaborando contenuti, sorprendendo il pubblico. Molti in sala, diciamocelo pure, presenti proprio perché una “première” socialmente imperdibile, non hanno saputo trovare una ragione e una logica nella messa in scena concepita dall’artista.
Nel primo atto tutto sembrava amalgamato: l’orchestra (egregiamente direttamente da Antonello Manacorda, che ben si è saputo inserire nei silenzi e e nelle interruzioni della musica per dare spazio alla narrazione), la scenografia, gli artisti (cantanti, danzatori, figuranti, coro). Ogni elemento era fuso in un insieme che in un primo momento sembrava sminuire la portata e il contributo di ciascuno, ma che alla fine si è rivelato funzionale e perfettamente coerente con ‘l’ovattata giostra’ creata da Castellucci.
I colori tenui, la scena leggera, i costumi, le nuvole e le piume che sembravano di panna montata o di zucchero filato hanno fornito allo spettatore l’atsmofera di una storia dai contorni molto labili, a cavallo fra il reale e l’irreale. Da qui, dunque, l’ardita scelta della soppressione di dialoghi del libretto che aiutano a dare un contorno e un’introduzione ai personaggi che qui perdono una precisa connotazione e che è difficile distinguere: necessario, quindi, conoscere benissimo l’opera mozartiana per intuire i momenti che non hanno trovato spazio.
La seconda parte dello spettacolo cambia e sciocca ancora di più e l’etereo lascia spazio alla realtà: vengono narrate, dai protagonisti stessi, storie di donne e uomini condannati alla cecità o deturpati da incendi. Impossibile non ascoltarli: ma anche qui la scelta ha suscitato non poche perplessità forse perché un po’ troppo allungata, forse perché è un’altra cosa, un altro spettacolo.
Uno sguardo quello di Romeo Castellucci che preferisce guardare alla realtà vera degli individui. Una scelta coraggiosa che ha aperto la stagione con una sfida di cui intuiva approccio e rischio.