L'Arsenale durante la mostra di arte internazionale di Venezia Biennale 2019 (Ph Giuseppe Anello da Dreamstime.com)

“May You Live In Interesting Times”: l’espressione in lingua inglese evoca periodi di incertezza, crisi, disordini, “tempi interessanti” e complessi come quelli che stiamo vivendo. E’ la tematica scelta dal direttore artistico della 58esima edizione  veneziana  Ralf Rugoff, (dal 2006 direttore della Hayward Gallery di Londra).

Il titolo si riferisce alla  volontà di restituire un quadro generale della situazione globale, politica e sociale e suggerisce che per farlo l’unica narrazione possibile sia una pluralità di voci. La sfida della complessità  nasce dall’irrompere dell’incertezza nelle nostre conoscenze. All’idea della mente come strumento di rappresentazione della realtà si è andata  progressivamente sostituendo l’idea di una mente intesa come complesso di elementi  in interazione tra loro e come luogo in cui si costruisce una percezione propria della realtà.

Criterio fondamentale dello stare al mondo diventa la capacità di ogni individuo di saper abitare  tra gli spazi multiformi del proprio Sé, caratterizzato dalla compresenza di più universi. Per usare un’espressione di Edgard Morin, la  sfida della complessità abbraccia numerose vie, come  la contingenza, l’accidente, il caso, la singolarità, il caos,  ma questo  non sta ad  indicare una provvisorietà e limitatezza delle teorizzazioni, quanto piuttosto una molteplicità creativa e generativa dei sistemi complessi. Con tali premesse “La Mostra si concentra sul lavoro di artisti che mettono in discussione le categorie di pensiero esistenti e ci aprono a una nuova lettura di oggetti e immagini, gesti e situazioni” – spiega Ralf Rugoff – “Il loro lavoro(… ) ci invita a considerare alternative e punti di vista sconosciuti, a capire che “l’ordine” è ormai diventato presenza simultanea di diversi ordini”. 

La nuova sfida del futuro, non solo in campo artistico, è imparare a vivere nella complessità del nostro tempo, condizione fondamentale perché si possa esprimere la creatività  osservando  il mondo all’interno di un’ottica di problematiche che si compenetrano e intersecano in maniera labirintica. Vengono abbattute o rese permeabili le barriere che hanno  isolato culture e civiltà, si costituiscono nuove interconnessioni e interazioni, ma anche nuove tensioni tra diversità e unità, nuovi confini culturali, nuove differenze, nuovi ibridi, nuovi significati e  scoperte.  La Biennale d’Arte  di Venezia  edizione 2019 punta pertanto  su una mostra intesa come dialogo, apertura, dialettica, fenomeno e insieme platea dell’umanità, che offra agli artisti un  libero luogo  di dialogo. Nel ribadire la missione di un’arte fondata, oltre che sul piacere, sul pensiero critico, fornendo un invito a considerare il corso degli eventi umani nella loro complessità, la grande mostra  propone una riflessione puntuta sugli aspetti precari del nostro tempo rifacendosi  per questo  alla concezione dell’arte di Umberto Eco come “area culturale unica, arena di discussione, modo di riflettere sulla complessità di noi esseri umani”. Largo dunque  a una visione frammentaria e a una pluralità di voci, a un coro polifonico e ben equilibrato.

Tra i 79 invitati, si annoverano due  italiani Ludovica Carbotta e Lara Favaretto  e tanti provenienti da Asia, Africa, Sudamerica, oltre che da Europa e Stati Uniti. La Mostra è affiancata da 90 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Per la prima volta in Biennale  Algeria, Ghana, Madagascar e Pakistan.  Lo scultore afro-americano Martin Puryear, 77 anni,  rappresenta  gli Stati Uniti, l’artista  nel 2007-08 è stato protagonista di una retrospettiva al Museum of Modern Art di New York, ha esposto allo Smithsonian American Art Museum di Washington e all’Art Institute of Chicago. Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini  a cura di Milovan Farronato si intitola  “Né altra né questa. La sfida al Labirinto”.

Tre gli artisti partecipanti: Enrico David, Liliana Moro e Chiara Fumai. A ispirare il sottotitolo della mostra il saggio di Italo Calvino, lo scrittore che scelse  la metafora del labirinto per dare forma ai complessi  volti  della realtà contemporanea. Interpretando questa linea di pensiero in chiave artistica, Né altra Né questa, a partire dal titolo “che apre tuttavia le porte a due, tre, quattro, cinque, infinite possibilità”, svela un  percorso espositivo non lineare, che sfugge a qualsiasi prevedibile  traiettoria.

Ma  cosa mette in connessione Venezia  con le labirintiche visioni calviniane? “Venezia – spiega Farronato – è un labirinto che nei secoli ha affascinato e ispirato l’immaginazione di tanti creativi, tra i quali Luis Borges e Italo Calvino. Venezia, indiscusso centro cartografico del Rinascimento, viene descritta da Calvino come un luogo in cui le carte geografiche sono sempre da rifare, dato che i limiti tra terra e acqua cambiano continuamente rendendo gli spazi di questa città dominati da incertezza e variabilità”. 

Riguardo ai premi, ha vinto il Leone d’Oro 2019 l’artista afro-americano  Arthur Jafa per il film The White Album, che indaga in maniera appropriata sul tema della razza , saggio, poesia e ritratto nel contempo. Migliore partecipazione nazionale il Padiglione della Lituania allestito in uno spazio interno trasformato in spiaggia con performer-bagnanti intenti ad intonare canti e nenie struggenti, Leone d’argento ad Haris Epaminonda per l’estrema eleganza compositiva e di assemblaggio che caratterizza le installazioni proposte dall’artista cipriota. Oltre al  Leone d’Oro alla Carriera all’artista texano Jimmie Durham, menzione speciale a Teresa Margolles per l’opera dedicata al tema del narcotraffico in Messico e agli effetti che questo ha sulle donne. Menzione speciale anche a Otobong Nkanga,  in prima linea su temi analoghi. La kermesse si svolge ai Giardini e all’Arsenale  fino  al 24 novembre 2019.


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