La danzatrice Tiffany Zabberoni: ‘Se una compagna sbaglia un passo, tu lo sbagli insieme a lei’ (Ph. Luca Ferrari)

“Questa è la vera magia. Un codice di passi che può essere danzato ovunque e con chiunque lo conosca. Nessun’altra danza unisce così tante donne che la praticano. Questa è la mia vera dimensione”. Sono le prime entusiastiche parole dell’esperta danzatrice Lorena Piaia, al termine dell’Ats Flash Mob World Wide Venice, svoltosi nell’antica Repubblica Marinara. Ideato nel 2012 dalle Sevanti Tribal Belly Dance del Kentucky (Usa), in questo particolare flash mob si danza l’American Tribal Style (o Ats), uno stile di danza fondato da Carolina Nericcio negli Stati Uniti e basato sull’improvvisazione di gruppo che trae ispirazione, sia per i movimenti che per i costumi, dalle culture e danze popolari tribali del Nord Africa, Medio Oriente, Maghreb, Spagna, India e Balcani.   

“È una rivisitazione e fusione delle danze orientali e folkloristiche con la danza Indiana, il Flamenco e le danze Gipsy dell’Est europeo” spiega la veneziana Giulia Zambon. “La particolarità di questo stile è l’assenza di coreografie, sostituite dalle improvvisazioni in cui le danzatrici comunicano tra loro danzando insieme. Questo stile è diffuso in tutto il mondo, quindi  è possibile improvvisare con qualsiasi danzatrice di qualsiasi nazionalità che conosca l’Ats”.  

Una giornata, quella veneziana, in cui ci sono state esibizioni in contemporanea in ogni parte del mondo, tutte al ritmo di Elila Farh, della Katir Hicham Orchestra, un pezzo scelto attraverso una votazione mondiale via Facebook. A organizzare l’evento locale, la veneziana Tribe Catch the Chicken, alla quale si sono unite la Fuxia Tribe di San Vito al Tagliamento-Portogruaro (in provincia di Venezia), al loro primo e felice flash mob, l’Artemisia Tribe di Castello di Godego (in provincia di Treviso) e pure la Pukka Tribe dalla più lontana Trento. Insieme a loro, artiste note della scena nazionale come Paola Maya proveniente da Padova e Patrizia Pin di Monfalcone. A partecipare al flash mob veneziano c’era anche Brooke, di Seattle, in vacanza col marito in Italia e presentatasi puntuale all’appuntamento “Atssiano”.   

Dopo un cambio di location dell’ultimo secondo, le “flashmobbers” sono arrivate in campo San Bortolo, ai piedi del Ponte di Rialto. In principio amalgamate nell’incessante fiumana, d’improvviso si sono staccate dalla folla. Il piccolo Mario, figlio della danzatrice Veruscka Gregnanin, ha dato il segnale. Ha schiacciato play. La musica è partita. Le danzatrici hanno preso possesso di gran parte dello spazio, proprio davanti al monumento del drammaturgo veneziano Carlo Goldoni che dall’alto della propria statua ha finito con l’ammirare, anche lui, la performance. Tutte (o quasi) hanno indossato qualcosa di bianco per essere subito distinguibili. Alcune direttamente nell’abito, altre come ornamento. Sulle dita di entrambe le mani hanno dialogato i cimbali. I passanti si sono fermati. Hanno guardato. Fotografato. Condiviso. Quattro minuti o poco più di flash mob durante i quali le oltre 30 danzatrici sono diventate un’unica grande donna. Si sono mosse. Si sono fermate. Si sono sentite.   

“L’Ats non è solo uno stile di danza ma anche di vita dove ci si supporta l’un l’altra” ha poi raccontato a L’Italo-Americano la vulcanica Tiffany Zabberoni (Tribe Catch the Chicken). “Se una compagna sbaglia un passo, tu lo sbagli insieme a lei ma si continua a danzare con il sorriso e senza preoccupazioni. Nello stesso giorno dell’Ats Flash Mob Word Wide, si è svolta a Venezia anche la Camminata Rosa, dove centinaia di persone si sono riunite per supportare le donne nel mondo per la prevenzione del tumore al seno. Mi piace pensare che tutto ciò non sia stato un caso. Danzare nella stessa città insieme ad altre ballerine è stato come danzare per loro, a sostegno di tutte quelle donne che hanno sconfitto e tutt’oggi continuano a combattere contro questo mostro”. Donne Ats, creature nate per danzare e lottare.


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