Per i losangelini amanti dei film d’azione, dei polizieschi con un pizzico di paranoia politica, di humor e di sensualità, il lunedì sera all’Istituto Italiano di Cultura potrebbe diventare un appuntamento fisso.  Dopo la proiezione del film Milano Calibro 9 di Fernando Di Leo, la fortunata serie “Poliziesco all’Italiana” ha presentato altri due esemplari dello stesso genere: Revolver (1973) e Roma a mano armata (1976), richiamando un discreto pubblico di curiosi e intenditori.
 
Dopo lo spettacolo la serata continua con interessanti dibattiti, volti ad approfondire alcuni aspetti dei film in programma e moderati da Alessandro Ago, curatore del ciclo di proiezioni insieme al direttore reggente dell’IIC, Massimo Sarti, e direttore di Programming and Special Projects presso la USC School of Cinematic Arts.
 Alessandro Ago, David Bellini e Alvaro Rodriguez. Photo by Federico De Palma 

 Alessandro Ago, David Bellini e Alvaro Rodriguez. Photo by Federico De Palma 

 
Tra gli ospiti d’eccezione intervenuti alla visione di Revolver di Sergio Sollima (padre di Stefano Sollima, affermato regista che ha diretto le acclamate serie TV Romanzo Criminale e Gomorra) vi erano gli sceneggiatori David Bellini e Alvaro Rodriguez.
 
Nel corso della sua carriera David Bellini, alunno di Vincenzo Cerami e Furio Scarpelli, ha lavorato a oltre 100 tra serie e programmi TV di fama nazionale, tra cui I Cesaroni e Un medico in famiglia. Inoltre, dal 2013 è il rappresentante a Los Angeles della Writers Guild Italia, associazione degli sceneggiatori italiani.
 
Alvaro Rodriguez, cugino del regista americano Robert Rodriguez (El Mariachi, Spy Kids, Sin City), è autore di sceneggiature quali Machete con Robert De Niro e From Dusk Till Dawn 3, nonché dell’omonima serie TV prodotta nel 2014.
 
Come sottolineato da Massimo Sarti, Revolver è un classico esempio dei B-movie icona del cinema italiano di fine anni ’60 e inizio ’70, in cui il protagonista è spesso un poliziotto costretto a farsi giustizia da solo a causa della corruzione delle istituzioni pubbliche.
 
Non solo, dunque, “scazzottate” palesemente finte (il suono dello schiaffo nei vecchi film fa quasi venire nostalgia) ma anche critica sociale e politica, con l’ombra del complotto che minaccia di distruggere la vita di persone comuni come il commissario Vito Cipriani, interpretato dall’attore inglese Oliver Reed. 
 
La figura del poliziotto che combatte da solo contro tutti e che finisce per simpatizzare con il criminale di turno (in questo caso Fabio Testi, nei panni di Milo Ruiz), il quale a sua volta rivela di avere un cuore tenero, rappresenta un archetipo estremamente diffuso nella storia del cinema internazionale. Allo stesso tempo, la sfiducia nell’ordine costituito caratterizzò una precisa epoca storica in Italia, riflettendosi inevitabilmente nella produzione cinematografica.
 
Revolver, così come altri polizieschi “impegnati”, segnarono una rottura rispetto al passato, l’inizio di un ciclo successivo al genere “spaghetti western” degli anni ‘60 ed una sfida alla censura attraverso scene di sensualità, violenza ed accusa verso il mondo della politica.
 
La complessità della trama e il sorprendente spessore dei personaggi sembrano in contrasto con il genere “minore” dei B-movie, in cui momenti di pathos quasi eccessivo si alternano a situazioni surreali che sfiorano la comicità.
 
Spesso sottovalutati per una sorta di pregiudizio, come hanno ricordato i protagonisti del dibattito post-proiezione, molti film appartenenti a questo filone sono stati, in realtà, fonte di grande ispirazione per innumerevoli capolavori del cinema italiano e internazionale, che hanno attinto da essi idee e simbolismi di successo, nonostante l’assenza di effetti speciali o budget elevati.
 
Alvaro Rodriguez ha riconosciuto, ad esempio, nella scena iniziale di Revolver quella de Le Iene di Quentin Tarantino, girato 20 anni dopo, mentre David Bellini ha riscontrato una forte somiglianza con alcuni spunti nelle celebri serie TV americane contemporanee Breaking Bad e Game of Thrones. 
 
E interrogato da Alessandro Ago riguardo alle proprie preferenze e influenze nel lavoro di sceneggiatore, Rodriguez ha ammesso che nella cinematografia (e forse nell’arte in generale) è pressoché inevitabile rifarsi a qualcosa di già visto, un’idea pensata da altri che viene manipolata per renderla diversa e nuova.
 
Alla luce di tante pellicole successive in cui se ne ritrovano echi, risulta anche più facile apprezzare questo ed altri film dello stesso genere, che purtroppo all’epoca non sono stati recepiti nella loro profondità d’indagine al di là dell’intrattenimento neanche quando, come nel caso di Revolver, hanno affrontato il delicato rapporto tra emozioni umane e società corrotta.  
 
Come evidenziato da Bellini, registi del calibro di Sergio Corbucci e dello stesso Sollima passavano da un genere all’altro, dal peplum al western e al poliziesco. Questo era positivo sia perché permetteva loro di sperimentare, sia per garantire un’industria cinematografica più dinamica e differenziata.
 
Inoltre, gli sceneggiatori lavoravano spesso in gruppo e insieme al regista, mentre oggi prevale l’individualismo. Uno degli sceneggiatori di Revolver è Massimo De Rita (Stanno tutti bene, La Sconosciuta) e la colonna sonora è firmata dal maestro Ennio Morricone con il tema Un Amico, ripreso in seguito da Quentin Tarantino, grande conoscitore e amante del genere poliziottesco, nel suo capolavoro Bastardi Senza Gloria (2009).

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