I fichi d'India sono una nota paesaggistica tipica della Sicilia (Ph Valter Cirillo da Pixabay)

Dopo quella dei “Morti” che si celebra il giorno 2, la ricorrenza religiosa più importante nel mese di novembre in Sicilia è quella di San Martino.  Il giorno 11, sul calendario, si tinge di rosso per gli appassionati di sagre e di feste paesane e si celebra in quasi tutti i paesi dell’isola.  

Da “L’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino” passando per “A San Martino ogni  mosto è vino”, “Si vuoi ca ti veni bonu u vinu puta e zappa pi San Martinu (Se vuoi che il vino sia buono pota e zappa a San Mar-tino), e “A San Martino castagne e vino”, a “A San Martino si sposa la figlia del contadino”, (dove l’allusione al  mondo agricolo è palese: il brindisi per le nozze si fa col vino nuovo e le castagne simboleggiano la bella scoperta dopo le nozze: dentro il guscio scuro, il buon frutto bianco), è tutto un celebrare non solo il santo ma il mondo rurale che nei secoli scorsi.  

Proprio il giorno 11 novembre segnava la scadenza dei contratti dei contadini, quindi di un anno di lavoro con il conseguente pagamento dell’affitto della terra del padrone e il relativo tacito rinnovo del contratto suggellato dal pagamento fatto con i maiali macellati e da loro allevati.   Quel periodo, in generale durava tre giorni, era caratterizzato da un rinnovato innalzamento della colonnina di mercurio e da un sole tiepido e ristoratore (Estate di San Martino) per poi ritornare all’autunno con le sue temperature meno miti, con le sue nebbie e le sue piogge.  

Oggi la poesia di Giosuè Carducci “San Martino”, a causa delle decisamente mutate condizioni meteorologiche, non reciterebbe più questi versi: 

“La nebbia a gl’irti colli / piovigginando sale, / e sotto il maestrale / urla e biancheggia il mar; /ma per le vie del borgo / dal ribollir de’ tini / va l’aspro odor dei vini / l’anime a rallegrar. / Gira su’ ceppi accesi / lo spiedo scoppiettando: / sta il cacciator fischiando / su l’uscio a rimirar / tra le rossastre nubi / stormi d’uccelli neri, / com’esuli pensieri, / nel vespero migrar”.  

Durante l’esperienza miliare a cui fu indirizzato dal padre, ufficiale romano, Martino ricevette la “chiamata divina” per cui  ben presto lasciò la carriera che stava percorrendo per prendere i voti. Fu nominato poi Vescovo di Tours e, dopo la morte, patrono delle vigne e del vino, dell’agricoltura e dei viandanti.  

Una leggenda vuole che, percorrendo a cavallo una strada tra raffiche di vento e sferzate di una pioggia battente in una fredda giornata di novembre, avendo come unico riparo il suo mantello da militare, si imbatté in un mendicante inzuppato d’acqua e tremolante a cui diede, impietositosi, metà del suo mantello dopo averlo diviso con un fendente secco della sua spada. Ripreso il cammino, pian piano la pioggia e il vento lasciarono il posto a un tiepido sole che riscaldò Martino. Dice ancora la leggenda che quella notte gli apparve in sogno Gesù che lo ringraziava per avergli dato metà del suo mantello.  

Morale della favola: sembra che ogni anno, negli stessi giorni del mese di novembre, torni l’estate di San Martino. Sì, perché poi fu fatto santo. Ma come sempre accade nella nostra bella Sicilia, ogni religiosità si arricchisce di golosità, e allora ecco un buon bicchiere di Marsala (vino dolce dalla nobile tradizione) che fa mostra di sé sulle tavole imbandite e consente anche ai più piccini (forse questo “rito” si esercitava un tempo, sino ad alcuni decenni fa) di inzupparvi il biscotto di San Martino per ammorbidirlo e addolcirlo a consentire il primo e unico assaggio “alcolico” anche ai bambini.  

Il biscotto non sarà soltanto quello secco da, volendo, ammorbidire con la dolce bevanda alcolica tanto cara a Napoleone Bonaparte. Lo si trova nelle pasticcerie palermitane farcito con conserva di cedro e ricoperto da una glassa decorata poi in ghirigori in argento e confetti o cioccolatini “incollati” sopra una base di sottilissime striscioline di carta colorata.  

Oppure, ed è una vera leccornia ma di più moderna consumazione, il “rasco”, questa volta ripieno di crema di ricotta arricchita di polvere di cannella e di pezzetti di cioccolato. Lo zucchero a velo coprirà il biscotto, annuncio di una prima nevicata d’autunno. Per ricordarlo, negli stessi giorni, a Modica in provincia di Ragusa, si celebra il Cioccobarocco di San Martino, occasione ghiotta per gustare il cioccolato di Modica unico perché lavorato “a freddo” e dalla consistenza e il sapore inconfondibili.  

Ma come non ricordare la Sagra del Vino e del Fungo Porcino di Frazzanò in provincia di Messina o quella del Fungo a Cappella di Floresta nella stessa provincia dello Stretto? Insomma, un autunno da mangiare e da bere!   Con la preparazione e la doverosa, immancabile degustazione, l’11 novembre si festeggia ad Aci Bonaccorsi, in provincia di Catania, della Mostarda di Fichi d’India, di dolci tradizionali tipici, frutta di stagione e, neanche a dirlo, di vino novello. Dolci e artigianato locale faranno da contorno ai festeggiamenti.  

Questa cittadina non vanta una grande e nobile storia antica e i suoi monumenti, unici, sono costituiti dalle Chiese. Piccolo comune collinare, dirimpettaio della costa ionica della Sicilia, è posto lungo il versante orientale del vulcano Etna ed è ricco di giardini coltivati ad agrumeti, vigneti e frutteti. Nasce dall’unione di tre piccoli e poco distanti tra loro agglomerati abitativi chiamati Battiati, Pauloti e Sciara che distinguono il paese in quelli che oggi sono tre quartieri.   

Nei “riveli” (documenti d’archivio siciliani che riportano dichiarazioni dei capofamiglia sui beni e i componenti della famiglia, datati tra il XVI e il XIX secolo) delle visite pastorali del 1624 che sono conservati nell’archivio storico della Curia Arcivescovile di Catania si fanno risalire a un periodo antecedente al “Quartiero delli Bonaccorsi di Jaci”.  

Questo agglomerarsi dei tre quartieri è avvenuto quasi certamente dopo la tremenda eruzione del vulcano nel 1408. In seguito “Piazza” e “Lavina”, altre due contrade, si unirono alle precedenti e sorte sulle colate laviche, un tempo “luogo degli Eremiti”.   Al centro, in basso la “Piazza” diventa di nome e di fatto il fulcro tra gli agglomerati. Vi sorge la chiesa intitolata a Santa Maria della Consolazione e a Sant’An-tonio Abate (1716). Il nome “Bonaccorsi” deriva da quello di una antica famiglia.  

In provincia di Catania sono molti i paesi la cui prima parte del nome è Aci e sembra che tutti traessero origine da Xiphonia, antica città greca di cui non si hanno più tracce. Virgilio e Ovidio, poeti latini, vi impiantarono il mito della storia d’amore tra la ninfa Galatea e il pastore Aci e del Ciclope Polifemo. I Romani scrivono di una città, Akis, che partecipò alle guerre puniche. La storia di Aci Bonac-corsi sarà, sino al XVII secolo, condivisa con quella degli altri comuni che nel proprio nome hanno anch’essi Aci (Trezza, San Filippo, Sant’Antonio, Reale, Castello).  

Quando sotto il dominio degli Spagnoli Acireale ebbe un grande sviluppo economico, sorsero rivalità e contrasti tra gli altri casali che si divisero. Oggi sono tutte cittadine indipendenti e ci piace pensare che a suggellare la pace che oggi vi regna sia stato l’assaggio di un dolce biscotto di San Martino e, perché no, un brindisi a calici levati colmi di un magnifico Marsala doc.


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