Succede spesso di canticchiare una canzone senza saperne il significato. Alle volte, più una canzone entra a far parte del patrimonio musicale collettivo, più si dà per scontato di conoscerne il contenuto verbale. 
 
Tutti possono intonare almeno il primo verso del “Va’ pensiero” (Va’, pensiero, sull’ali dorate…),  le parole emergono automaticamente dalla memoria, ma pochi si soffermano sul senso. La tendenza a pensare “è poesia” può essere riduttiva in questo caso. 
 
 Il “Va’ Pensiero” di Giuseppe Verdi è un vero e proprio inno contro la tirannide che racchiude un doppio significato storico. Il titolo stesso dell’opera che contiene questo coro, “Nabucco”, originalmente “Nabucodonosor”, poi sintetizzato per l’eccessiva lunghezza del nome del re assiro, esplicita chiaramente la trama storica della composizione. I versi, scritti dal poeta Temistocle Solera ispirandosi al salmo 137 della Bibbia Super flumina Babylonis, sono basati sulla conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor (587 a.C.), che mise fine al regno di Giuda, e sulla deportazione degli Ebrei a Babilonia. Il coro è quello dei prigionieri ebrei, incatenati al lavoro, che rimpiangono la patria perduta e sognano di tornarci. 
  

 
Questi fatti storici vengono utilizzati in senso metaforico da Verdi per affermare la volontà di unificare il territorio italiano diviso in tanti staterelli dominati da altri Stati europei e perciò alla mercè di poteri altrui. 
 
A quel tempo, siamo nei primi decenni del 1800, Milano era oppressa dagli austriaci, e la storia degli ebrei che si ribellano all’oppressore assiro Nabuccodonosor cela tra le righe il desiderio del popolo italiano di liberarsi dagli austriaci. 
 
La sua opera, spesso letta come la più risorgimentale di Verdi,  riuscì a fomentare lo spirito rivoluzionario che serpeggiava nel Nord Italia poiché in quel canto accorato di un popolo esule, schiavo e perdente, i cuori patriottici potevano rispecchiarsi. Gli ebrei diventavano gli italiani e Gerusalemme, la patria perduta, diventava l’Italia. 
 
Già alle prove, attratti dall’irresistibile forza di quelle armonie, donne delle pulizie, macchinisti, e perfino gli orchestrali incominciarono a cantare sottovoce. 
“Nabucco” possedeva una forza trascinante, adatta ai sentimenti italiani del tempo. 
 
Al suo debutto alla Scala di Milano nel 1842, il successo del coro fu enorme e il pubblico chiese insistentemente il bis. Il “Va’ Pensiero” divenne da allora uno degli inni dei moti risorgimentali, causando a Verdi anche qualche problema con la censura austriaca. Al suo funerale, per le vie di Milano, la gente lo intonò in cori spontanei. 
 
Giuseppe Verdi. Il più celebre compositore italiano, le cui arie fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo, compirebbe oggi 200 anni: nacque a Roncole di Busseto, in provincia di Parma, il 10 ottobre 1813. Il suo fu un talento precoce tanto che aveva solo quindici anni quando, nel 1828, una sua sinfonia d’apertura venne eseguita, al posto di quella di Rossini, nel corso di una rappresentazione de Il Barbiere di Siviglia.
 
 Il miglior modo per celebrarlo è sicuramente ricordare il significato che ha avuto il “Nabucco” per la sua vita di musicista e compositore e il nostro Paese. 
 
In quell’epoca, l’autore era straziato dal dolore per aver perso in brevissimo tempo tutta la sua famiglia: i due figli e l’amata moglie Margherita nel 1840. La sua infelicità non solo era aggravata dalle difficoltà date dal vivere in una Milano prigioniera degli austriaci, ma anche dal fatto che l’ultima sua opera, “Un giorno di regno”, si era rivelata un totale insuccesso. 
 
Questo insieme di fattori lo convinsero ad abbandonare la musica e a tornare definitivamente nella campagna emiliana dov’era nato. Se non fosse stato per un incontro casuale con l’impresario della Scala, Bartolomeo Merelli, che gli propose di leggere il libretto di Nabucco durante una passeggia in galleria De’ Cristoforis, probabilmente il compositore non avrebbe scritto più nulla. Ma il “Nabucco” non significò per lui solamente un riscatto artistico. 
 
Durante le prove conobbe Giuseppina Strepponi, prestigioso soprano del tempo. Tra i due c’era già grande ammirazione reciproca ma qualche anno dopo sfociò in un’intensa storia d’amore che durerà tutta la vita.  
L’opera di Verdi ha un’importanza speciale per il l’Italia. 
 
Il coro del “Nabucco” continua ad avere successo oggi e a riscuotere il favore popolare, a tal punto che è stato più volte proposto come Inno nazionale. Su questo argomento sono in molti a pensare che possa rappresentarci più di ogni altro canto e ricordarci “da dove veniamo”, cioè da secoli di oppressioni straniere e che solo grazie al sacrificio di tanti connazionali abbiamo potuto unirci. 
 
Chi invece non è d’accordo ha altrettanto autorevolmente osservato che il “Va’ pensiero” è il canto di un popolo diverso da quello italiano, che evoca un episodio carico di dramma in cui gli ebrei piangono la loro sconfitta senza alcuna visione di un futuro migliore. Il dibattito è aperto tanto che ci sono petizioni on-line per farlo divetare il nostro Inno.
 
La composizione verdiana vanta anche un ben più triste tentativo di  appropriazione. In maniera diametralmente opposta, sovvertendo l’idea del “Va Pensiero” come canto unificatore, il partito secessionista della Lega Nord lo ha adottato come “Inno della Padania”, usandolo in numerose cerimonie ufficiali con la giustificazione che il librettista Temistocle Solera apparteneva alla cosiddetta “corrente neo-guelfa”, di idee vagamente federaliste. Tra i tanti a criticare l’uso improprio del “Va’ Pensiero” da parte della Lega Nord c’è stata l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia che ha ricordato come questo coro è stato storicamente un fattore di coesione attraverso il quale si sono identificate le migliori energie del Risorgimento. 
 
Non solo: la comunità degli esuli istriani, fiumani e dalmati hanno adottato “il Va’ pensiero” come inno che rappresenta e rappresentava la propria appartenenza all’Italia, un canto disperato del loro esodo dalle terre perdute dopo il secondo conflitto mondiale.
 Il suo significato non lascia spazio ad altre interpretazioni.
 
 A testimoniare l’ammirazione secolare per quest’opera ci sono state varie reinterpretazioni musicali. Da quella dell’anarchico Pietro Gori del 1892 che scrisse sulla stessa musica del “Va’ pensiero” l’Inno del Primo Maggio per ricordare i Fasci Siciliani, un movimento di massa di ispirazione democratica e socialista sviluppatosi in Sicilia, fino alla recente versione “da classifica” con testo bilingue italiano-inglese del cantante di musica leggera Zucchero.
 
L’ultima esecuzione a Roma diretta da Riccardo Muti è stata un trionfo. Il coro di schiavi continua a commuovere milioni di italiani, è conosciuto in tutto il mondo e dà i brividi a chiunque lo ascolti. Secondo il direttore d’orchestra, che gli ha dedicato un libro, “riflette l’essenza stessa dell’Italia ed è in grado di sollecitare un desiderio di riscatto che continua a riguardarci anche in quest’ Italia odierna, invelenita dagli scandali e soffocata nelle sue risorse culturali”.

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