Venuto al mondo: dal libro al film di Castellitto, la storia e l’insoddisfazione di Gemma sullo sfondo della guerra in Bosnia

Sergio Castellitto è senza dubbio, attore, scrittore, regista, icona e fiore all’occhiello del cinema italiano. Dotato di un eclettismo eccezionale che gli permette di gestire egregiamente sia ruoli drammatici sia comici, Castellitto è uno sperimentatore delle tecniche attoriali e di quelle registiche e quest’anno, con “Venuto al Mondo”, mette in scena per la terza volta, dopo “Non ti muovere” e “La bellezza del somaro”, le incisive parole della scrittrice di successo Margaret Mazzantini, alias sua moglie. Il duo rappresenta una vera e propria potenza mediatica nel panorama cinematografico-letterario italiano e il cast del film lo conferma, con star importantissime a livello mondiale come Penelope Cruz e Emile Hirsch.

Il film, scritto e diretto da Castellitto, deriva dall’omonimo libro di successo, scritto dalla moglie, che ha partecipato attivamente alla riduzione cinematografica e nonostante ammetta che in generale nella trasposizione si perda molto delle sue opere, questo film ha conservato e mantenuto vivo lo spirito della storia e dei personaggi. Forse troppo. 
 
Procediamo per gradi, “Venuto al mondo”, ripercorre con la tecnica del flash back la giovinezza di Gemma (Penelope Cruz), la quale, dopo una telefonata dall’amico bosniaco Gojko (Adnan Haskovic), decide di tornare a Sarajevo e così, pian piano la storia della sua vita riaffiora.
Gemma, molto giovane, si era trasferita per un breve periodo nella capitale bosniaca per fare ricerche per la sua tesi. Conosce Gojko che le fa da guida per la città, presentandola ad amici e famiglia. Qui conosce l’amore della sua vita, l’unica persona che fin dal primo sguardo è in grado di farti provare emozioni uniche. Si chiama Diego (Emile Hirsch), è un fotografo americano, uno spirito libero. La passione scoppia all’istante, e dopo alcuni ostacoli, i due diventano una coppia e si trasferiscono a Roma. 

 Una scena del film Venuto al Mondo

 
Nonostante l’amore che indissolubilmente li lega, sia autentico, esso non sembra saziarli, e in particolare Gemma avverte la necessità di colmare un’assenza e di legare a lei il suo uomo con “un lucchetto di carne”: un bambino. Dopo vari tentativi, tutti falliti, Gemma ha la conferma della sua sterilità e da qui il rapporto con Diego subisce grandi tensioni. Nel frattempo, Sarajevo è sotto assedio e i loro amici sono in grave pericolo. Diego e Gemma decidono di raggiungerli per aiutarli e tra rovine e macerie, l’ossessione di avere un bambino, porta Gemma a spingere l’amore della sua vita tra le braccia di una musicista. Da questo momento in poi, i ricordi s’incrociano e il pubblico percepisce drammaticamente la grande sofferenza dei protagonisti, pubblica (la guerra) e privata (il senso di inutilità della protagonista Gemma), complici le musiche scelte da Castellitto, a volte eccessivamente patetiche. 
 
Penelope Cruz interpreta straordinariamente un personaggio complesso, forte e insoddisfatto come quello di Gemma, che non riesce a rassegnarsi al suo destino e che si spinge fino al limite per ottenere quello che più al mondo desidera. D’altro canto, accanto a sé ha due attori straordinari, uno più famoso, Emile Hirsch che dà ancora una volta prova del suo talento, dopo “Into the wild”, interpretando prima la leggerezza e la voglia di vivere e di amare di un giovane fotografo americano, e poi l’angoscia di un uomo consapevole degli orrori di una guerra; e uno meno famoso, bosniaco, Adnan Haskovic, perfetto nel ruolo del traghettatore Gojko, un uomo diretto e dai forti valori. 
 
Amore, amicizia, morte, guerra, aborto, sterilità, nascita, questi sono i tanti e forse troppi archetipi del film, che se in un libro sono sorretti dalla forza delle parole, in un film, la forte carica delle immagini, finisce per renderli retorici. 
Il melodramma c’è ed è ben diretto, ma la critica è relativa a un punto di vista narrativo che porta “Venuto al mondo” a perdersi, attraverso una descrizione a tratti troppo stereotipata dei temi portanti e poi, la struttura a matrioska che il film sceglie, rende il film troppo lungo e complesso per creare davvero l’empatia nel pubblico. 
 
Il risultato è che, se da un lato ci identifichiamo nell’orrore della guerra, seppur da noi non vissuta, e nell’ossessione di Gemma nell’avere un figlio, alla fine ci perdiamo nelle storie intrecciate dei protagonisti e nell’ansia rappresentativa di Castellitto che sembra non voler abbandonare nemmeno un tema del libro omonimo. 

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