Un appartamento isolato nella periferia di una non troppo identificabile Roma. Lì dentro, una donna non esce (quasi) mai di casa. Il suo nome è Maria (Micaela Ramazzotti). La sua professione è l’utero in affitto. Mette al mondo figli per coppie che non possono averne. A gestire il business, il gelido Vincenzo (Patrick Bruel). Per lui non non ci sono sentimenti né fragilità. Per lui esiste solo il lato affaristico e se la sua compagna iniziasse ad avere ripensamenti, non esiterà a usare le maniere forti contro di lei e chiunque la voglia aiutare, incluso il Dottor Minerva (Fortunato Cerlino). Vincenzo e Maria non sono sposati. Condividono lo stesso tetto. Tra di loro c’è un rapporto di collaborazione. Maria e Vincenzo hanno un equilibrio capace di sopportare anche le bizze dei clienti meno soddisfatti ma del tutto allergico a nuovi risvolti della loro cosiddetta “relazione”. Giorno dopo giorno, gravidanza dopo gravidanza, Maria sente crescere sempre più il desiderio di essere madre e tenersi, almeno una volta, una di quelle creature scambiate per denaro. Vincenzo è ambiguo. Sa essere dolce e allo stesso tempo spietato. Non esita a tirare fuori da una brutta situazione la giovane Stella (Matilda De Angelis) ma chissà se nella sua mente calcolatrice non abbia già in mente per lei un futuro dal gravido utilizzo.
Da Cannes a Venezia. Se la prima opera di Sebastiano Riso, Più buio di mezzanotte (sempre con protagonista Micaela Ramazzotti), era stata presentata in anteprima alla Semaine de la Critique al Festival di Cannes 2014, il nuovo lavoro, Una famiglia, ha trovato “ospitalità” nella più importante rassegna italiana della settima arte, la 74° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, dove la pellicola è sbarcata tra i film in concorso. Tema centrale del lungometraggio, l’utero in affitto. Un tema assai controverso nel Bel paese. Una realtà le cui radici sono ancora tragicamente stritolate da una cultura obsoleta intrisa di moralismo religioso e opportunismo politico.
Il presente racconta che sempre più coppie siano alla ricerca di vie alternative per avere dei figli. Ovviamente tutto ciò comporta rischi maggiori per la donna, ma la cosa non sembra troppo interessare chi dovrebbe agire di conseguenza. E perché dovrebbe, la violenza sulle donne è una piaga ancora troppo taciuta. Una famiglia parla anche di violenza sulle donne. Quella peggiore, la violenza che si manifesta tra le mura domestiche. Quella che nessuno vuole ammettere e denunciare. Utero in affitto, un tema al centro delle polemiche. Un figlio, desiderio di coppie etero e gay. Per ciò che ha mostrato nel film anche dalla prospettiva di una coppia omosessuale e per il fatto di essere gay, il 2 ottobre scorso Sebastiano Riso è stato vittima della violenza omofoba, aggredito nell’androne di casa sua e riportando non poche ferite. “Un gesto vigliacco, indegno e rivoltante, frutto di una subcultura dilagante” ha twittato il direttore del festival veneziano, Alberto Barbera.
Micaela Ramazzotti è un’attrice di razza capace di calarsi nei ruoli più disparati. Dai call center di Tutta la vita davanti, passando alla scrittrice irrisa de Il nome del figlio fino alla più recente e grandiosa performance in La pazza gioia. Già vincitrice del David di Donatello per La prima cosa bella e quattro Nastro d’argento, il personaggio interpretato in Una famiglia è quello di una donna dalle sfaccettature diversificate. Complice/dispensatrice di una pratica illegale e allo stesso tempo sempre più sofferente/insofferente di ciò che le sta accadendo dentro e continuerà ad accaderle. Cerca una via di fuga ma non sembra troppo convinta fino a quando la misura non è davvero colma e allora deciderà per sé e solo per sé, contro tutti e tutti. Deciderà nel nome della sua felicità.
Seconda incursione cinematografica invece per la giovane Matilda De Angelis, bolognese classe ’95. Dopo la convincente prova in Veloce come il vento a fianco del “ballerino” Stefano Accorsi, la ritroviamo border line e dal futuro più nebuloso che mai.
Una famiglia (2017, di Sebastiano Riso) è un pregevole film di estrema attualità. L’attualità di una realtà fatta di ombre e valori mutevoli. Una realtà dove ci sono ancora (solo) troppe vittime.