Deve il suo nome Trapani, dal latino Drepanum, falce, alla forma del suo territorio. Eppure nonostante ciò, nonostante la sua struttura geografica possa ispirare sentimenti georgici di virgiliana memoria, possa far pensare a un popolo dedito all’agricoltura, la maggiore ricchezza e fama le è venuta dal mare.
 
Ed è un discorso antico che affonda le sue radici nella mitologia. Già, perché il prodotto più importante e conosciuto e che ha reso famosa Trapani nel mondo, è il corallo.
 
Questo strano animale marino che si pietrifica rapidamente e che è difficile da lavorare, per la mitologia, invece, è formato dalle gocce di sangue della testa di Medusa, che Perseo, riuscendo ad evitare il suo sguardo assassino, riuscì a mozzare.
 
Narra, infatti, la leggenda che Medusa si vantava di essere più bella di Minerva per via dei suoi capelli lunghi e folti e di essere irresistibile. La dea, per vendicarsi, trasformò la sua bella chioma in tanti serpentelli e rese il suo sguardo micidiale, tanto da uccidere chiunque incrociasse i suoi occhi.
 Lavorazione manuale del corallo marino 

 Lavorazione manuale del corallo marino 

 
Perseo fu l’unico a non lasciarsi incantare e, usando come specchio lo scudo che la dea Minerva gli donò, riuscì a vedere il volto riflesso della Gonade e a staccarle la testa con un colpo di spada. 
 
Ma la scienza ha potuto scoprire che si tratta di un animaletto marino che vive in colonie cibandosi attraverso i suoi tentacoli urticanti. La sua capacità di veloce pietrificazione, il colore rosso, la sua strana forma che lo fa assomigliare a rami di cespugli acquatici, ha sviluppato spesso fantasie e nel tempo lo ha fatto apprezzare sempre di più.
 
Il corallo fu scoperto da alcuni pescatori che, rimaste impigliate le loro reti in qualche rametto, lo portarono a bordo. Poi alcuni artigiani cominciarono a lavorarlo.
 
Per secoli è stato il simbolo della città ed è stato considerato e usato come amuleto contro disgrazie e malattie. Alcuni piccoli rami lavorati in modo primitivo, sono stati trovati in alcune sepolture del Paleolitico.
 
Al banco di Skerki, al largo dell’arcipelago delle Egadi, al confine con la Tunisia, la pesca del corallo era abbondantissima e le barche specializzate, le “coralline” a vela latina e i marinai che si tuffavano in apnea, portavano in superficie grandi quantità di corallo.
 Scalone del Museo Pepoli a Trapani 

 Scalone del Museo Pepoli a Trapani 

I primi a lavorarlo, già nella prima metà del XV secolo, furono degli artigiani ebrei e alla fine del XVII erano molte le botteghe artigiane di corallari. Statuine di santi, crocifissi e vari oggetti di culto erano prodotti in collaborazione con orafi ed erano realizzati su supporti di rame dorato con incastri di piccole sfere, mezzelune, che costituivano la cifra degli artigiani trapanesi.
 
Una “Montagna di corallo”, si dice, fosse l’opera più bella mai realizzata in corallo dagli artisti della città siciliana ed era composta da novanta figure che descrivevano la vita di Cristo e della Madonna. L’opera dono del Vicerè di Sicilia per il sovrano Filippo II di Spagna, non giunse mai a destinazione perché affondò insieme alla nave che la trasportava, a causa di una violenta tempesta.
 
Anche a Napoli si lavorava il corallo già dall’epoca della do-minazione normanna, ma soltanto nel Quattrocento, grazie all’arrivo di artigiani trapanesi, conobbe una produzione di grande rilievo.
Nell’Ottocento la crisi della pesca vide scemare la produzione di opere in corallo e prese, invece, il sopravvento l’oro. Ma è nel Novecento che il corallo ritorna alla ribalta come una delle eccellenze della gioielleria. Era l’epoca dell’art déco e Boucheron, Van Cleef e Cartier, prestarono i loro nomi al corallo in forme stilizzate e geometriche, tipiche di quel periodo artistico.
 
Anche lungo le coste francesi, oltre che quelle italiane, riprese fiorente la pesca del corallo e Trapani, ancora una volta, si affermò come importante centro di produzione e di lavorazione.
Così oggi, la fantastica sede del prestigioso Museo Pepoli, conserva una collezione di opere in corallo, frutto dell’abilità degli artigiani trapanesi dal XVI al XVIII secolo.
 
Vi si trovano esposte sculture, gioielli e altre opere. Tra le più pregiate e importanti fanno bella mostra di sé presepi realizzati non soltanto in corallo, ma in cui veniva usato anche alabastro, conchiglie e madreperle. Da ricordare il pregevole Crocifisso, opera di Matteo Bavera, realizzato in un unico blocco di corallo.
 
Una delle tecniche più raffinate per la sua lavorazione era quella del “retroincastro” che consiste nell’applicare piccole gocce di corallo su lamine di metallo sagomate, ma fu abbandonata perché poco economica e di difficile applicazione.
 
Un’altra tecnica altrettanto pregevole era quella barocca, presente nella collezione della famiglia Pepoli che comprende gioielli provenienti in parte dal Tesoro della Madonna di Trapani e costituito dalle donazioni e dagli  omaggi fatti da re, prelati, nobili e semplici fedeli.
 
Risale al 1300 quello che fu il convento dei Padri Carmelitani, rimaneggiato poi tra il XVI e il XVIII secolo ed è diventato il Museo del corallo, ed è contiguo al Santuario della Santissima Annunziata. Vi sono esposte le collezioni private del conte Agostino Pepoli, promotore ai primi del Novecento dell’istituzione.
 
Non vi sono raccolte soltanto le collezioni del Pepoli ma anche quelle giunte dalle corporazioni religiose soppresse e dalla pinacoteca Fardelliana che consta di dipinti della scuola napoletana e che furono donate dal Generale Giovan Battista Fardella alla città natale. Si aggiunsero a queste, altre donazioni allargando così il patrimonio artistico del Museo e della città.
 
All’interno del Pepoli sono, dunque, conservati dipinti risalenti alla produzione artistica siciliana tra il XIII e il XIX secolo, sculture da cui traspare la scuola del Gagini, presepi artigianali trapanesi realizzati in legno, tela e colla e, infine, prodotti di oreficeria tra cui argenti e opere in corallo, paramenti sacri, abiti d’epoca della nobiltà locale, maioliche le cui pregiate piastrelle da pavimentazione raffigurano la pesca del tonno e la mattanza, tipiche della zona. Infine, una più recente sezione racchiude cimeli del Risorgimento.
 
Oltre alla donazione del Generale Fardella del 1830, a quella del Conte Hernandez, anche comuni cittadini donarono opere acquistate sul mercato. Non mancarono donazioni da parte del Museo Nazionale di Palermo, della Biblioteca Fardelliana e dell’Ospizio Marino “Sieri Pepoli” di Trapani.
 
Il Museo, fondato dal conte Agostino Sieri Pepoli come Museo Civico tra il 1906 e il 1908 e inaugurato nell’attuale sede nel 1914, nel 1925, data la ricchezza del suo patrimonio storico e artistico e l’importanza che assunse, divenne Regio Museo. Prese il nome di Museo Nazionale nel 1946. Subì un consistente restauro e un riordino delle collezioni nel 1965 e, in seguito alla regionalizzazione dei Beni Culturali, è divenuto Istituto Regionale.
 
La sua architettura è magnifica, come magnifico è lo scalone in marmo policromo che porta al vero e proprio percorso museale, al primo piano e che risale al metà del XVII secolo.
 
La raccolta delle arti decorative e applicate è la documentazione della creativa attività degli artigiani trapanesi nel XVII e XVIII secolo maestri incomparabili nella lavorazione del corallo, dell’avorio, dell’oro, delle pietre dure, delle conchiglie, dell’argento. 
 
Negli ultimi venti anni il Museo ha ospitato mostre d’arte de-corativa che hanno valorizzato oltre che fare conoscere l’arte trapanese e oggetti artistici provenienti da altre strutture museali pubbliche e private.
 
È importante sottolineare che ancora oggi si possono ammirare botteghe artigiane che lavorano con tecniche antiche e artistiche quei meravigliosi “animaletti” che rispondono ancora oggi e finché il mare non le nasconderà per salvaguardarli dall’estinzione al nome di corallo, simbolo di una natura passionale come il rosso del suo colore.
 
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