Ci sono simboli della cultura italiana che non si possono non citare a conclusione di questo Italian Heritage Month. Come la pasta, come Miss Italia, il Festival di Sanremo, la mamma e la famiglia, la buona tavola, la moda e il design, l’arte di arrangiarsi, la letteratura, la grande tradizione operistica o il patrimonio musicale e artistico.
 
Elementi che fanno parte delle tradizioni, del folklore, dello spirito e della dimensione intimamente popolare che compongono l’essere profondamente, intrinsecamente, italiani. Caratteristiche che ci portiamo dentro come un vero dna, senza nemmeno accorgerci, e che ci rendono riconoscibili ovunque noi andiamo, e per questo talvolta amati e talvolta additati.
 
L’Italo Americano in questo mese e in questo Anno dedicato alla Cultura italiana negli Stati Uniti sta cercando di mettere a fuoco queste peculiarità che contraddistinguono l’Italia e gli Italiani, di cui spesso nemmeno ci rendiamo conto. All’estero, per differenziazione, diventano evidenti. Spesso si mostrano come talenti al punto che persino gli italiani, notoriamente esterofili, si accorgono delle risorse interne solo dopo che altri, cioè gli stranieri, hanno tributato il meritato riconoscimento al valore e all’apporto unico di nostri connazionali. Come dire che ogni tanto potremmo essere meno autolesionisti e credere di più nelle nostre potenzialità. 
 
Nel senso, difficile da realizzare, di sostenere materialmente queste doti. Un discorso che vale per i nostri “cervelli fuggiti” e che difficilmente riusciamo a far rientrare o per il tesoro più grande che l’Italia vanta, da unica al mondo: la montagna di opere d’arte che ricoprono la penisola dalle Alpi alla Sicilia. 
 
Un forziere pieno di gioielli che potrebbe diventare la chiave di volta dell’economia nazionale ma che ci ostiniamo a non riconoscere come patrimonio su cui investire. Troppa incuria, troppo degrado, troppo abbandono a cui è indispensabile porre un freno quanto prima.
 

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