Oggi si direbbe volontariato, ma nel III secolo dopo Cristo i gemelli Cosma e Damiano erano definiti anargiri perché anche loro esercitavano in modo assolutamente gratuito la professione di medico. La loro regola era quella di curare i malati senza prendere mai alcuna ricompensa e così fecero finché un giorno, in seguito alla guarigione, una donna regalò, mettendole nelle sue mani, tre uova a  Damiano, il più piccolo dei due fratelli. Fu tale la delusione e la vergogna che Cosma lasciò in testamento la volontà di essere sepolto, il giorno della sua morte,  lontano dal fratello.
 
L’origine dei due santi viene spesso e da tempo immemorabile assimilata a quella dei Dioscuri e, in quanto figure mitologiche e figli di Zeus, il dio greco dell’Olimpo, ammettono dubbi sulla loro esistenza.
Sono tre le origini più comuni, tuttavia, che vengono loro attribuite: asiatica che li vede nativi di Costantinopoli, romana che si affermò in Siria, e arabica che li descrisse nativi in occidente e più precisamente a Roma.
 
Comunque, le tre teorie affermano che erano medici e fratelli gemelli dagli straordinari poteri medicamentosi, capaci di effettuare guarigioni per le quali non percepivano alcun compenso. Questa era la loro regola: “Gratis accepistis, gratis date” che, tradotto dal latino, suona così: “Poiché avete avuto gratis la grazia di Dio attraverso il sacrificio di Gesù, dovete restituire gratuitamente il vostro dono”.
 Le statue dei due Santi di cui si celebra la festa il 26 settembre

 Le statue dei due Santi di cui si celebra la festa il 26 settembre

 
Erano di origine araba, gemelli e benestanti e il loro padre, dopo la loro nascita, si convertì al Cristianesimo mentre la madre da molto tempo prima aveva abbracciato la fede cristiana. Proprio per la sua conversione il padre subì una persecuzione a causa della quale morì in Cilicia. 
 
Anche loro furono perseguitati da Diocleziano che li fece arrestare dal prefetto di Cilicia, Lisia, e subirono parecchi martirii anzi di loro fu scritto che sopportarono, uscendone sempre salvi, la lapidazione (e le pietre rimbalzavano verso chi le lanciava), la fustigazione, il lancio di dardi (che rimbalzavano come prima le pietre); furono anche gettati in mare con delle pesanti pietre al collo perché affogassero, ma le corde si sciolsero e neanche il fuoco di una fornace riuscì a bruciarli. Solo la decapitazione poté porre fine alla loro esistenza.
 
Furono sepolti nel 303 a Cirro, vicino ad Antiochia e tuttavia insieme, perché, secondo una leggenda, un cammello parlò rivelando che Damiano aveva accettato le tre uova dalla donna che avevano guarito soltanto per non umiliarla, data la sua ben evidente povertà.
 
Il culto e la venerazione per questi santi è praticato in parecchie città italiane e la Sicilia non si sottrae a questa devozione. A Palermo, sino a quando il loro culto non venne, nel 1600 “soppiantato” da quello per Santa Rosalia, salvatrice dei palermitani da una peste inarrestabile, erano venerati in quanto guaritori da tutti i malanni.
 
Poiché si salvarono miracolosamente dall’annegamento, i loro maggiori proseliti e devoti sono i marinai e quando Palermo non tributò loro la dovuta adorazione, furono gli abitanti della borgata marinara di Sferracavallo ad “adottarli”. Così, l’ultima settimana di settembre, da ben cento anni ormai e senza interruzione, i marinai celebrano la festa di San Cosma (Cosimo) e Damiano che sul calendario è segnata il 26 settembre.
 
“San Cosimu e Damianu / siti medicu suvranu / siti medicu majuri / libbiratimi d’ogni duluri (San Cosimo e Damiano / siete medico sovrano / siete medico maggiore / liberatemi da ogni dolore). Da questa preghiera popolare si può dedurre come i due fratelli fossero assimilati in uno solo.
 
I pescatori, in camicia e pantaloni di colore bianco, portano in vita una fascia rossa e un fazzoletto giallo cinge la testa. Sono scalzi e portano a spalla, in processione, i santi. Poiché devono fermarsi presso la casa di tutti gli ammalati che hanno fatto richiesta del “miracolo” della guarigione, il loro incedere è veloce.
 
Il fercolo è preceduto da un corteo di bambini vestiti come i portatori e dal collo pende una brocca di terracotta colma d’acqua e contenente dei fiori, come se fosse un vaso. Terminata la processione i fedeli ammalati attingeranno a quest’acqua che è ritenuta miracolosa.
 
E per rispettare completamente la tradizione secondo la quale anche il palato vuole la sua parte, non si può non assaggiare i biscotti “cannaruzzedda” (a forma di trachea) che riproducono anche le figure stilizzate dei due santi,  benedetti e impastati con miele.
 
I giochi pirotecnici, come ogni festa che si rispetti, illuminano la notte successiva con un tripudio di colori e di esplosioni che saziano la vista. Il palato è già stato soddisfatto dai biscotti gustati la sera precedente.
 

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