(Ph Alian226 da Dreamstime.com)
E alla fine scopri il Roero. Quando pensi che l’Italia ti abbia offerto tutti gli scorci suggestivi, le vedute più accattivanti e i luoghi più incantati, ti ritrovi sulla strada che costeggia il Tanaro e ti accorgi dello straordinario patrimonio naturale che si dipana verso le colline.
Ti fermi al primo crocicchio e chiedi informazioni per sentirti raccontare che non sei più nelle Langhe ma nel Roero, e che per conoscere bene i mille rivoli della sua straordinaria storia, devi arrivare a Bra e poi da qui ripartire alla volta degli altri caposaldi di questo angolo di Piemonte cuneese.
Meglio arrivarci in primavera o in autunno, senza disdegnare le altre stagioni. Ma in quelle di mezzo le colline e i paesi del Roero dispiegano al meglio la loro ricchezza fatta di profumi e colori, di mura secolari e filari geometricamente allineati. In un territorio punteggiato da graziosi agriturismi e piccoli alberghi sarà però altrettanto suggestivo viaggiare con un Camper per assaporare al meglio anche una sosta in una stradina di campagna tappezzata di pescheti o di castagni. 
Dormire nel silenzio delle colline del Roero e spostarsi con la bicicletta rappresenta il must di una vacanza che è anche viaggio all’interno della storia, ad esempio alla scoperta dei  borghi di sommit, piccoli centri accerchiati dalle Rocche ( fenomeno geologico di erosione che caratterizza la porzione centrale del Roero) che erano usate come fossato di difesa. Tra essi spiccano Cisterna d’Asti, Montà, Santo Stefano Roero, Montaldo Roero, Monteu Roero, Baldissero, Sommariva Perno e Pocapaglia, sorti dopo l’anno mille e riuniti in una rete ecomuseale che si offre ai visitatori con sentieri tematici di grande suggestione.
Da Montà si dipana il sentiero dell’apicoltura, percorribile a piedi oppure in bicicletta, che permette di conoscere una delle attività che da sempre fanno parte del territorio. Partendo da Bra, il percorso si snoda per 40 km passando per Ceresole d’Alba e arrivando infine a Cisterna d’Alba. L’itinerario, creato per poter avere la massima fruibilità, permette di visitare 11 comuni legati dall’apicoltura e di godere dell’ecosistema straordinario di questo angolo di Piemonte, formato da orridi, forre, pinnacoli di nuda sabbia delle Rocche,  boscosi contorni e reliquati dell’antica silva popularis.
Nelle aziende agricole è possibile osservare da vicino le fasi del processo di lavorazione del dolcificante più antico conosciuto dall’uomo. Altrettanto istruttiva è la conoscenza dei vari tipi di prodotti dell’alveare e il miele attraverso la flora apistica.
A Sommariva del Bosco (che in estate ospita il Festival dei Mieli – Amél’Amèl-) vale la pena fermarsi al Trovarobe di ToStrumia, che ha trasformato il suo caffè-gelateria nella prima mieloteca d’Italia. Tra un assaggio di Sombo (dolce al cioccolato morbido) e un Sorriso al vino di Roero, tra un gelato all’Arneis e uno al Birbèt , uno sabajone al Passito d’Arneis o un gelato al Moscato o alle mele cotte del Roero, è possibile acquistare miele di nespolo (varietà rarissima), di trifoglio, limone, erica, biancospino o di santoreggia.
Il Sentiero del Tartufo rappresenta un altro itinerario che permette di scoprire una tipicità del territorio: il tartufo bianco delle Rocche. Si snoda lungo le piste, risalendo lungo vigne coltivate su terreni sabbiosi e caratterizzate dai ciabòt (piccoli fabbricati caratteristici dei vigneti piemontesi nati per ospitare i contadini durante la vendemmia) in un percorso naturalistico ad anello.  Il Sentiero del Castagno conduce verso Montà d’Alba, nel cui territorio vivono oltre duemila esemplari aventi come punto  di forza la cultivar a precoce maturazione settembrina detta “castagna della Madonna”. Il percorso  di 11,5 km in totale, permette di conoscere il lavoro dei contadini della frazione di S. Rocco, che garantiscono la sopravvivenza della millenaria cultura del castagno.
Vezze d’Alba si propone con un altro percorso ecologico.
È punto di partenza del sentiero della Pera madernassa, la produzione frutticola di maggior pregio del Roero. L’itinerario si snoda tra vallette coltivate a frutteto e morbide pianure tra le borgate Socco e Madernassa dove  nel 1784, nacque il fortunato innesto che dà origine alla croccante varietà di pera autoctona del Roero. Negli stessi  appezzamenti, sul finire dell’Ottocento, l’avvocato-agronomo Ferrio sperimentò varietà di pesche americane a maturazione precoce che diedero inizio a una vera rivoluzione agro-economica.
Il sentiero della Castanga Granda caratterizza invece il territorio di Monteu  (balconata naturale su alcune fra le più belle Rocche del Roero), permettendo di arrivare a una radura di castani secolari, dove è possibile am-mirare un vero e proprio monumento vegetale avente 400 anni. L’altezza dell’esemplare è di 12 mt, la circonferenza del tronco a petto d’uomo di 10,50 mt, mentre la circonferenza alla base del tronco è di 14,70 metri.
Nell’ultima parte del sentiero, si attraversano i tipici boschi roerini (la “silva popularis” dei romani), tra cui svettano maestosi pini silvestri, per arrivare in un punto panoramico di grande impatto visivo, da cui, nelle giornate limpide, la vista spazia dal castello medievale di Monteu Roero ai centri storici di altri borghi di sommità delle Rocche.
LA TERRA DELL’ARNEIS
Miele, pesche, peri e castagne rappresentano prodotti tipici di un territorio che ha nel vino il proprio punto di forza. Favorita, Nebbiolo (rosso rubino), Barbera (rosso) rappresentano le punte di diamante della produzione territoriale che si offre ai degustatori con prodotti molto localizzati come il Brachetto (con il nome di Birbet), il Dolcetto, la Bonarda Piemontese, il Moscato bianco e vitigni internazionali come il  Cabernet Franc, il Sirah, il Riesilng  e  il Merlot.
Il Vitigno autoctono del Roero è “l’Arneis”. Questo vino bianco nasce dalle uve di un vitigno antico ricordato con il nome latino “Renexium” nelle zone viticole del Piemonte, viene citato a partire dalla fine del ‘400 in vari documenti che si riferiscono al  territorio, oggetto di esperimenti di vinificazione come vermout verso la fine del ‘700. Fino all’800 era considerato uno dei vitigni più validi e radicati nella mentalità produttiva, tanto che il suo vino era citato espressamente negli inventari contabili come “bianco Arnesi” mentre il resto andava sotto la voce di “bianco di uve diverse”.
I vignaioli  piantavano viti di Arneis per avere un grappolo dolce in anticipo da consumare come uva da mensa, ma soprattutto perché alcune piante inserite nei filari, con l’aroma e la dolcezza dell’uva primaticcia, attraevano la golosità degli uccelli, che di conseguenza risparmiavano le uve rosse (ritenute al tempo più importanti) per la vendemmia.
Quanto veniva risparmiato dagli uccelli, si vinificava dolce per tenerlo in serbo per gli ultimi giorni di Carnevale. Le ultime bottiglie arrivavano fino a Pasqua per il rituale pagano della “questua delle uova”. Colpito dalla crisi della viticoltura e dallo spopolamento delle campagne a cavallo delle due guerre mondiali, alla fine degli anni sessanta l’Arneis era ridotto a pochi ettari di impianto, filari sparsi qua e là tra quelli di Nebbiolo.
Grazie alla perspicacia di alcuni viticoltori, questo vitigno è diventato negli ultimi decenni  l’unico bianco autoctono piemontese  ottenendo il Docg (la denominazione di origine controllata e garantita). Va gustato con il pesce, soprattutto quello di lago e di fiume, con le carni bianche, le verdure, i primi delicati di pasta e di riso. Nella versione passita, che profuma deliziosamente di miele e di frutta secca, accompagna i dolci più sontuosi con sicura personalità.

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