Monumentale volume, cartaceo e cd, sull’emigrazione italiana, di capitale importanza per la diffusione della conoscenza e della storia del fenomeno.
 
Il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, edito da Ser ItaliAteneo e Fondazione Migrantes e curato da Tiziana Grassi, Enzo Caffarelli, Mina Cappussi, Delfina Licata e Gian Carlo Perego è un’opera sistemica e pluridisciplinare che va a coprire un vuoto d’interesse editoriale durato decenni, sebbene pubblicazioni siano state prodotte su specifici campi di ricerca verso il fenomeno migratorio.
 
Si deve alla Fondazione Migrantes, con il suo ponderoso Rapporto sugli Italiani nel mondo, quest’anno alla sua nona edizione, l’avvio d’una ricognizione annuale organica sulla nostra emigrazione e d’aver aperto la traccia per un approccio e un metodo non episodico nello studio del fenomeno migratorio.  
 
Il Dizionario ha potuto contare su una qualificata schiera di 169 autori e sulla supervisione d’un Consiglio scientifico costituito da 50 esperti, accademici e ricercatori di tutto il mondo. Giova evidenziare come assuma rilievo il taglio dell’opera che, senza far torto al rigore scientifico, si apre alla divulgazione verso una più lata comunità di lettori. Aspetto questo non di poco conto, nella mirata esigenza di raggiungere il più vasto pubblico.
 
La nostra emigrazione di qualcosa ha bisogno, in primis necessita d’essere conosciuta seriamente, di entrare nella Storia d’Italia come le compete, di avere un posto di riguardo nei programmi d’insegnamento delle nostre scuole e università, per l’eccezionale dimensione sociale e culturale che l’ha accompagnata in ogni angolo del mondo e per quanto gli emigrati italiani hanno dato e stanno dando al proprio Paese, in termini economici, politici e culturali, grazie al prestigio e al ruolo sociale che si sono conquistati all’estero, nei tanti Paesi della nostra emigrazione.
 
L’emigrazione italiana tra le innumerevoli difficoltà cui è andata incontro, diffidenze e pregiudizi, se non ogni forma d’angherie e soprusi prima di poter realizzare il proprio riscatto, certamente non pensava che in Patria si sarebbe realizzata una singolare rimozione del fenomeno e della sua storia dolorosa. Un atteggiamento di sufficienza che pervade ancora buona parte della classe dirigente del Paese, della politica e delle Istituzioni, che da un lato aveva ed ha tuttora scarso interesse verso gli Italiani all’estero e ciò che rappresentano, dall’altro gli riserva un paternalismo di maniera che si nutre d’una conoscenza assai epidermica e lacunosa, per usare un eufemismo, sul complesso mondo della nostra emigrazione. 
 
Un fatto per certi versi inconcepibile per un Paese come l’Italia che ha conosciuto una vera e propria diaspora, a cavallo dei due secoli scorsi, con 30 milioni di connazionali emigrati, ora diventati un’altra Italia persino molto più numerosa di quella dentro i confini.
 
C’è dunque bisogno che le due Italie si conoscano e si riconoscano, come avverte chiunque abbia occasione d’incontrare le comunità italiane all’estero, la cui più acuta amarezza verso il Paese delle loro origini è appunto la constatazione d’una insufficiente conoscenza delle loro realtà, d’uno scarso interesse, se non d’indifferenza, verso quanto esse rappresentano.
 
Non hanno bisogno pressoché di nulla, gli Italiani nel mondo, solo di essere conosciuti, riconosciuti, considerati. E pensare che gran parte di loro, in ogni angolo del pianeta, si è conquistato stima ed apprezzamento in società a forte competizione, eccelle nell’imprenditoria, nelle professioni, nelle università, nei centri di ricerca, nella cultura, è presente corposamente nei Parlamenti e nei Governi.
 
È un’altra Italia dignitosa, corretta, competitiva che con testimonianze di vita esemplari dà lustro alla Patria, come ci ricorda il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella sua bella lettera di saluto che apre il Dizionario. Quanto sarebbe auspicabile, e persino utile oggi al Paese, che queste due Italie si riconoscessero.
 
Ma occorre un grande salto culturale che cancelli usurati archetipi e vecchi cliché sull’emigrazione e ci si apra alla conoscenza vera della nostra emigrazione, dello straordinario mondo delle comunità italiane all’estero, eccezionale risorsa sulla quale investire per fare più grande l’Italia, per unire le due Italie.

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