Forza d'Agrò (ph © Stefano Valeri | Dreamstime.com)
Oleandro d’Apollo, ambiguo arbusto / che d’ambra aulisci nell’ardente sera; / melagrano, e il tuo rosso balausto /quasi fiammella in calice di cera; // nautico pino, e il tuo scaglioso fusto / e i coni entro la chioma tua leggera; / olivo intorto da dolor vetusto, / e l’oliva tua dolce che s’annera; // ginepro irsuto, mirto caloroso, / lentisco, terebinto, caprifoglio, / cento corone dell’Estate ausonia; //ma te, sargasso, Re del Marerboso, / vasto alloro del gorgo, anche te voglio, / che bacche fai come la fronda aonia. (“L’alloro oceanico” da Alcyone di Gabriele D’Annunzio).
Avrà avuto un impatto piuttosto positivo l’osservazione rispettosa della natura che il sommo poeta Gabriele D’Annunzio riservò durante un certo periodo della sua vita in cui si rifugiò alla foce dell’Arno, in Toscana, per disintossicarsi dalla città e cercare ispirazione creativa nell’ammirazione della natura.
Se no non si spiegherebbe questo suo rispettoso trasporto nei confronti dell’albero di alloro.
Certamente, anche nell’antichità questo sempreverde godette di un grande rispetto. Molte statue, infatti, di personaggi famosi hanno il capo ricoperto da corone intrecciate di foglie di alloro a simboleggiare, a sottolineare l’importanza di chi le indossava.
Erano i poeti che ne venivano incoronati proprio per sottolineare il loro essere “sommi” ma anche i grandi generali. Non manca, infatti, anche in tempi più recenti una certa iconografia che, per esempio, vede Napoleone Bonaparte col capo cinto del verde intreccio.
Dante Alighieri, il divino poeta per antonomasia, ha anch’egli il capo circondato di lauro e Gaio Giulio Cesare, il grande generale, console, dittatore, oratore e scrittore romano, si dice coprisse la sua calvizie pettinando i radi capelli portandoli verso la fronte e circondando il capo con la corona d’alloro.
Sacra ad Apollo, nella mitologia greca e romana simboleggiava la sapienza, la gloria e il suo aroma penetrante sembrava ripercorrere in chi ne facesse in qualche modo uso, le capacità profetiche del dio e delle sue sacerdotesse.
Simbolo legato al sole e quindi al fuoco, gli sono state attribuite capacità curative e purificanti, portatrici di forza per il corpo, la mente e lo spirito. Le sue foglie sono considerate dei portafortuna e, stando ai consigli della  nonna, un rametto sotto il cuscino favorisce sogni profetici.
A Forza d’Agrò, paesino in provincia di Messina, il lunedì di Pasqua o dell’Angelo, si celebra ogni anno la Festa dell’alloro e la Processione dei Sacri Oli. I forzesi, riuniti in gruppi, realizzano degli stendardi con le foglie della pianta inserite su telai fatti di canne o di legno.
Vengono premiate le più belle composizioni che sfileranno, insieme alle altre, alle confraternite, ai compaesani e ai turisti che, muniti tutti di ramoscelli d’alloro e, partendo dalla chiesa della Triade giungeranno alla fine del paese dove si trova la chiesa di San Michele al Casale e dove l’Arciprete benedirà l’alloro e il Sacro Olio che servirà poi per i battesimi, le cresime, le visite ai malati e per gli ordinati.
Ma la celebrazione non finisce qui. I confrati distribuiscono le collure (cuddure), dolci tipici della Pasqua siciliana a Forza D’Agrò e non solo,  a tutti i presenti in segno di ospitalità.
Farina impastata con le mani, fatta a pezzetti che vengono lavorati a mo’ di treccia per ricongiungere due lembi per farne una coroncina di circa 12 cm. di diametro e del peso di 100 gr. su cui viene impresso, con l’aiuto di un timbro, l’emblema della Santissima Trinità.
L’impasto così intrecciato verrà fatto lievitare su delle tavole strette e lunghe ricoperte da un panno. Infine, verrà cotto in un forno centenario ben riscaldato che si trova accanto la chiesa della Triade. Una volta cotte, le ciambelle poste su ceste di canna, vengono accatastate su un ballatoio di legno a cui si può accedere soltanto attraverso una ripida scala per essere distribuite nel giorno della festa. Questi dolci, secondo la tradizione, vengono appesi alle pareti di casa per tenere lontani i pericoli che possono essere causati dai temporali.
Il paese, particolarmente interessante per la sua topografia che mostra una composizione di stradine e viuzze dall’aspetto intricato e complesso, vanta i resti di un importante castello/fortezza e di alcune chiese di pregevole fattura. Spiccano anche degli antichi palazzi nobiliari.
Molto interessanti sono i quartieri o meglio borghi della Magghia, i cui muri perimetrali delle case sorgono su rocce sporgenti proprio sul ciglio di un burrone ma che hanno sfidato i secoli rimanendo al loro posto.
Altro borgo, il Quartarello, le cui case sono addossate le une alle altre in un intricato ingorgo tale da sembrare un labirinto.
Spesso le case del paese, proprio per il loro intricato assetto urbanistico, insistono su piccoli spazi a mo’ di veri cortili. Più spesso sono strette e alte e i loro portoni, costruiti in pietra arenaria, si distinguono gli uni dagli altri per la “chiave dell’arco”, tipica e diversa per ciascuna famiglia.
Non mancano ai balconi, piccoli anch’essi, i vasi con le piante di basilico e quelle che tengono lontani gli spiriti maligni…
Il panorama che si può ammirare dal suo belvedere è davvero mozzafiato: la costa che va da Messina a Siracusa, passando per Taormina, Castelmola, Giardini-Naxos con la sua baia e il vulcano Etna, sembra non abbiano segreti per l’occhio che può liberamente spaziare senza soluzione di continuità.
Il territorio, anzi sopratutto il paese di Forza D’Agrò ha fatto da sfondo in diversi film ambientati in Sicilia e uno dei registi italo-americani più famosi, Francis Ford Coppola, vi ha girato Il Padrino nel 1972, Il Padrino-parte II nel 1974 e Il Padrino-parte III nel 1990.
Nel 1973 il regista Marco Vicario ha diretto il film Paolo il caldo, tratto dall’omonimo romanzo postumo dello scrittore siciliano Vitaliano Brancati, i cui attori – tra gli altri ricordiamo Giancarlo Giannini nella parte di Paolo, il protagonista, Rossana Podestà, Riccardo Cucciolla, Gastone Moschin, Adriana Asti, Vittorio Caprioli, Ornella Muti – hanno dato una splendida interpretazione non facendo molto rimpiangere il libro.
Anche in provincia di Palermo, e precisamente a San Martino delle Scale, c’è un modo particolare di festeggiare il Lunedì dell’Angelo e quest’anno ricorre il 55° anniversario di questa edizione della Festa di Primavera.
Organizzata dall’associazione Turistica Pro.Loco San Martino delle Scale la manifestazione è stata tratta dalle “cronache dell’abbazia benedettina di San Martino” in cui si legge che durante un rigidissimo inverno del XIV secolo molti uccelli morivano perché, oltre al gelo, non riuscivano a trovare di che sfamarsi. Allora alcuni di loro si rifugiarono nel chiostro dell’Abbazia dove il Beato Angelo Sinisio, l’Abate, fece costruire una voliera che potesse servire da vero rifugio per gli uccelli e per poter fare trovare loro del cibo. Sarebbero stati liberati in primavera.
Un concerto d’Organo all’interno dell’Abbazia aprirà la manifestazione che proseguirà con un corteo che si snoderà per alcune vie di San Martino sino a che non avverrà la liberazione dei colombi da parte del Superiore dell’Abbazia. I colombi verranno trasportati su un carretto siciliano riccamente addobbato e sopra il quale si troverà anche il Priore.
Dopo la liberazione degli uccelli, non mancherà di certo  la degustazione di prodotti tipici tra cui il pane di Monreale condito con olio extra vergine d’oliva e i biscotti legati alla tradizione accompagnati da un buon bicchiere di vino.
I fiori di questa primavera siciliana profumeranno l’aria corteggiando coi suoi petali colorati i prati su cui timidamente faranno capolino le prime coccinelle e le prime pratoline.
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