Con un cielo terso e un sole splendente, cosa abbastanza comune in queste terre benedette da un ottimo clima, nella stagione dei fichi d’india rossi ai bordi delle strade, un itinerario parte dalla zona di Lamezia Terme e raggiunge il Ponte dell’Angitola, prima della località marina di Pizzo.
Dall’Angitola si comincia a salire per una strada tuffata fra i lecci, in un complesso meraviglioso di vegetazione e di protezione del suolo. Un’oasi naturalistica dove regna incontrastata la felce, antichissima pianta prediletta dai dinosauri, tra acacie giganti e freschi canneti che si mescolano all’erica, al lentischio, ai corbezzoli che formano una fantastica macchia mediterranea. Qui l’accostamento dell’ambiente marittimo e di quello montano risulta fra i più interessanti per il succedersi di differenti zone di vegetazione, creando un paesaggio alpino nel cuore del Mediterraneo.
Il bosco Archiforo, nei pressi di Serra San Bruno, che ha suscitato la meraviglia e lo stupore dei viaggiatori stranieri di fine ‘800 per la sua bellezza oscura e tenebrosa, accoglie al suo interno l’abete bianco più grande d’Europa, 55 metri di altezza e 5,5 metri di circonferenza del tronco, senza dimenticare esemplari di querce, castagni e faggi secolari che formano un manto boschivo molto fitto.
Nel bosco Archiforo gli scalpellini che estraevano il granito creavano delle grosse buche, le cosiddette “niviere” dove pressavano e seppellivano la neve sotto le frasche per l’estate, quando veniva venduta nei bar per deliziose granite e gelati. Un paesaggio di freschi ruscelli, laghetti, fiumi come l’Angitola che nasce dalle falde del monte Coppari. Un’oasi naturalistica di grande bellezza, punteggiata di paesi di antica storia.
Salendo vers Serra San Bruno, con una piccola deviazione di 4 chilometri, si può raggiungere Capistrano per ammirare nella Chiesa Matrice il Battesimo di Gesù, quadro attribuito al pittore francese Auguste Renoir che sarebbe passato da qui a fine ‘800.
Si attraversa un bosco fitto che a stento lascia libera la strada, si incontra San Nicola da Crissa, un paese-balcone sul mar Tirreno, che tra poco scomparirà dalla nostra vista per lasciare posto al verde di un grande altopiano.
Poco lontano, a Vallelonga, la Chiesa matrice conserva i quadri del pittore garibaldino Andrea Cefaly, Simbario, Torre di Ruggero. Nomi e suggestioni rimandano alle civiltà greca e normanna che hanno lasciato molte vestigia in queste zone sopravvissute al devastante terremoto del 1783 e a disastrose alluvioni. Anche Serra San Bruno, nata assieme alla Certosa attorno al 1094, ha dovuto fare i conti con i disastri naturali e ogni volta è risorta dalle rovine.
Serra porta nel nome la sua nascita: in questo luogo ricco di boschi e corsi d’acqua dove la natura celebra incontrastata i suoi fasti, Bruno di Colonia (1030-1101) ritrovò le condizioni ideali di quel deserto che meglio lo avrebbe avvicinato a Dio.
Dalla costruzione della Certosa e dell’ordine monastico dei Certosini, si sviluppò il nucleo più antico di Serra.
Oggi il luogo dove San Bruno edificò l’Abbazia si trova a circa 2 km dall’abitato principale, conserva ancora un’aria di sospeso misticismo nella Chiesa di Santa Maria del bosco, nel laghetto della penitenza con al centro una colonna litica e la statua di San Bruno inginocchiato.
Essendo la Certosa non accessibile ai visitatori, poichè la spiritualità dei Certosini prevede la rigida clausura per i monaci, assolutamente da non mancare è un’accurata visita al Museo della Certosa che propone una full immersion nella vita e negli ambienti certosini attraverso pannelli didattici, fotografie, una ricostruzione filologica che illustra tutti gli aspetti della vita quotidiana dei monaci.
Il paese nuovo, ricostruito in buona parte dopo il terremoto di fine ‘700, conserva chiese importanti come la Chiesa matrice dedicata a San Giacomo o la deliziosa chiesa barocca di Santa Maria Santissima dei 7 dolori detta la “Bomboniera” per le sue piccole ed eleganti proporzioni.
Terra di boschi, fauni, streghe ed elfi dove storia e leggenda si intrecciano: l’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani, in un capitolo del suo libro “Il ponte di San Giacomo”, ipotizza che la popolare festa di Hallowen sia nata proprio qui ed esportata con le prime migrazioni in America.
L’usanza di svuotare una zucca dandogli sembianze di un volto umano per metterci dentro una candela risalirebbe alla migrazione dei popoli di questa zona che nel Nuovo Mondo avrebbero continuato una tradizione di carattere antropologico per stabilire un contatto con i defunti. La versione più antica del popolare “dolcetto o scherzetto” è praticata ancora oggi dai bambini di Serra che la sera del 1 novembre fermano la gente chiedendo in dialetto: “Mi lu pagati lu coccalu?” (mi pagate il teschio di morto?).
Leonardo Sciascia ha ipotizzato invece che Ettore Maiorana, l’allievo di Enrico Fermi scomparso nel 1938, si sia nascosto qui per condurre una vita da eremita.
Tra i monaci della Certosa ci sarebbe stato anche uno dei due piloti che sganciarono la bomba atomica su Hiroshima. Da luogo penitenziale, oggi le Serre sono divenute, con l’ausilio di buoni alberghi e ottimi ristoranti, luoghi molto piacevoli soprattutto per soggiorni estivi.