Il rapporto è evaporato, definitivamente. Non c’è più dialogo tra il Vice Premier, nonché Ministro degli Interni, Alfano, e Silvio Berlusconi, il vecchio patriarca del centrodestra che colleziona condanne, rinvii a giudizio per altri processi che verranno incardinati a breve, ma che non molla, tenendo in scacco la vita politica italiana che necessiterebbe, al contrario, di equilibrio per provare a risalire la china.
 
Invece lo scisma che ha squassato il Popolo della Libertà, certificando la rottura definitiva tra i ‘filogovernativi’, ovvero tra coloro che si riconoscono nell’azione dei Ministri del centrodestra dell’Esecutivo-Letta, e i ‘lealisti’, ovvero che getterebbero alle ortiche il Governo delle larghe intese inseguendo una nuova vittoria a fronte di un imminente ritorno alle urne, ha inevitabilmente messo uno davanti all’altro Berlusconi e il suo ‘delfino’ prediletto, Alfano, scelto come suo successore.
 
Mossa disperata del Cavaliere per recuperare credibilità’, dando ascolto ai venti di guerra propugnati dai ‘falchi’ del partito, quelli che mai, in questi mesi, hanno completamente digerito il Governo condiviso col centro-sinistra. Da una parte il comportamento leale di Alfano verso il Premier Letta e il Paese: una crisi di Governo, oggi, getterebbe l’Italia nel buio, di nuovo attaccata in Borsa dagli speculatori, schiava dello ‘spread’, di nuovo sulla graticola, incapace – per chissà quanto tempo – di diminuire l’immane debito pubblico, senza il quale nessun governante potrà anche lontanamente pensare di abbassare la pressione fiscale.
 
Dall’altra i fedelissimi di Berlusconi, coloro che sono scesi in piazza reclamando l’innocenza del Cavaliere nell’ambito dei tanti processi che ha vissuto (o vivrà) alla sbarra, che connotano come un’aggressione l’attenzione dei giudici verso le sue attività di politico e di capitano d’industria. I ‘lealisti’ sono coloro che hanno scelto Berlusconi e, con lui, hanno messo in conto anche di affondare. Perché il capo del partito non si molla, ma si sostiene.
 
Ecco spiegato, allora, il senso dello scisma, la rinascita di Forza Italia, il movimento con il quale, venti anni fa, Berlusconi scese in campo, sbaragliando la concorrenza. In quel tempo aveva forse un fondamento il varo di un gruppo dirigente moderato, con tendenze conservatrici: c’erano da combattere i post-comunisti, aggregati nel PDS. Oggi, oggettivamente, la decisione rischia di spaccare il centrodestra, orfana già di Fini e della vecchia Alleanza Nazionale.
 
Finirà che Alfano, Quaglieriello, gli altri Ministri in carica uniranno gli sforzi, provando magari a plasmare un movimento di puri centristi (con Casini), sull’impronta di quella che fu la Democrazia Cristiana post-Guerra. Una rottura non improvvisa, nell’aria, ormai, da prima della scorsa estate. Fiducia al Governo Letta, ha tuonato Berlusconi, che ancora vagheggerebbe l’unità, il rientro dei possibili transfughi, il varo di una Forza Italia rinnovata, ma compatta. Restano, purtroppo, dubbi sulla tenuta del Governo Letta, alla luce della situazione che si sta creando, continuamente sottoposto a stress, fibrillazioni, scosse.
 
Alla stregua di una nave inclinata dal mare grosso. Rinasce Forza Italia, evapora il Popolo della Libertà’, decine i deputati e i senatori, una volta tutti per uno, che dividono i propri destini. È davvero una svolta epocale. 

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