Figlia di quell’antica Grecia che tanto ha lasciato in Sicilia, Selinunte ancora oggi sorprende gli studiosi che qui giungono da ogni parte del mondo per conoscere sino in fondo la civiltà classica.
 
Ed è tedesco, di Bonn, il professor Martin Bentz che da tre anni esegue scavi all’interno del  parco archeologico di Selinunte, in provincia di Trapani e, come erano soliti costruire le loro acropoli, non lontano dal mare e su una collina da cui si domina un panorama mozzafiato. 
 
L’ultima interessantissima scoperta, fatta da un team dell’Istituto archeologico germanico di Roma e dell’Università di Bonn, guidato appunto dal prof. Bentz, si colloca nella “valle del cotone” ed è la rilevazione di un laboratorio artigianale del V secolo a.C. in ottimo stato di conservazione. Il pavimento è in tegole di terracotta ed è dotato di un pozzo profondo con anelli – sempre nello stesso materiale – dal quale veniva prelevata l’acqua per lavorare l’argilla, secondo quanto ritengono gli archeologi.
  Con i suoi 40 ettari Selinunte è il parco archeologico più esteso d’Europa

  Con i suoi 40 ettari Selinunte è il parco archeologico più esteso d’Europa

Tra i ritrovamenti, conclusi proprio in questi giorni, varie attrezzature per la produzione delle opere fatte a mano quali mortai, matrici, pestelli, macine. Sono state pure riportate alla luce tre fornaci, due circolari ed una rettangolare. 
 
Il diametro della più grande delle due circolari supera i cinque metri. Queste scoperte, che sono costate tre anni di faticoso lavoro di scavi, hanno fatto luce sull’intero quartiere artigianale che evidentemente offriva una sostanziale produzione di ceramiche e laterizi.
 
La vocazione artistico-artigianale degli abitanti dell’antica città risulta evidente grazie ai reperti che si trovano sparsi nel territorio che oggi insiste anche su quello di Castelvetrano. Sono, testimonianza di grande e preciso lavoro manifatturiero non soltanto i templi sparsi nel circondario della cittadina ma anche nelle “metope” e in altri reperti custoditi nel Museo Archeologico Nazionale di Palermo e in quello di Castelvetrano.
 
Il nome greco era Σελίινοΰς (Selinus in latino) ed era stata costruita dai Greci sulla costa sud-occidentale della Sicilia. Il suo significato è “sedano” che ancora oggi cresce nella zona e che divenne simbolo della monetazione della città.
 
Fu tra le prime in Sicilia a coniare monete, intorno al 550-530 a.C., forse contemporaneamente ad Himera e interruppe la produzione nel 480 in seguito alla sconfitta dei cartaginesi, loro alleati, da parte di Himera. Ripresero il conio intorno al 461 con lo stesso piede monetario di Siracusa (il piede è il numero di pezzi che possono essere prodotti con una certa quantità di metallo prezioso; rappresenta cioè, il rapporto tra il valore della moneta e quello del metallo di cui è costituita). 
  Tempio C di Selinunte  

  Tempio C di Selinunte  

Sul dritto della moneta si vede la quadriga con Apollo e Artemide, sul rovescio il fiume Selinus con sembianze di persona mentre officia un sacrificio. Precedentemente all’interruzione del 480 erano rappresentati sul davanti della moneta la foglia di sedano e, sul rovescio, il quadrato incuso (incavato rispetto al piano della moneta) secondo una caratteristica della monetazione greca arcaica.
 
Tuttavia gli elementi che hanno reso famosa Selinunte e di cui tutto il territorio è ricco, sono i templi che, insieme ad altre costruzioni sorgono sull’acropoli e su una collinetta poco distante. Non solo invasioni cartaginesi, ma atti vandalici anche recenti e il tempo trascorso hanno contribuito al degrado delle costruzioni. In più si aggiunga l’effetto  causato dai terremoti che, sopratutto nel medioevo, hanno flagellato la zona.
 
Fortunatamente alcuni edifici, il Tempio E, o di Hera, e il Tempio C sono stati in parte ricostruiti con alcuni interventi di anastilosi (tecnica di restauro con la quale si rimettono insieme, ad uno ad uno, tutti gli elementi originali di una costruzione distrutta, per esempio dopo un terremoto).
 
Questa tecnica si è potuta utilizzare con successo nei templi di Selinunte, tra i più grandi e importanti del mondo, perché i resti, in linea di massima, si erano conservati in buone condizioni).
Il parco archeologico copre una superficie di circa quaranta ettari e si può idealmente dividere in cinque aree: tre colline, Gaggera ad ovest, Mannuzza a nord ove sorgeva l’antico abitato e la collina orientale. Al centro con templi e fortificazioni l’acropoli e, infine, le necropoli.
 
L’Acropoli è un altopiano calcareo che confina a sud con uno strapiombo sul mare mentre a nord va restringendosi a formare quasi un trapezio. Circondata da mura più volte restaurate e in parte modificate che comprendono cinque torri e quattro porte. 
 
La città era attraversata da due importanti strade centrali perpendicolari tra di loro che a loro volta formavano un reticolo ordinato di vie minori sempre intersecate tra di loro e si distanziavano di trentadue metri ciascuna.
Ancora incerta, invece, è la collocazione dell’Agorà che alcuni studiosi sostengono trovarsi nella parte settentrionale del centro abitato.
 
Sull’Acropoli si trovano i resti di numerosi templi di ordine do-rico. Del tempio O e del tempio A rimangono pochi resti. Si può ammirare ancora oggi nel tempio A un pavimento a mosaico che rappresenta la dea punica Tanit, un caduceo (bastone alato, simbolo della medicina, spesso presente nelle insegne delle farmacie), il sole, una corona e una testa di bue che fanno ritenere che il suo uso fosse di natura religiosa o abitativa.
 
Poseidon oppure Atena, Dioscuri oppure Apollo, erano gli dei a cui si presume fossero dedicati rispettivamente il tempio O e il tempio A.
Più a nord si incontra il tempio C preceduto da un Sacello (area recintata sacra) dove venivano conservate le offerte dei fedeli. 
 
Opere di restauro hanno consentito la rimessa in posizione di un buon numero di colonne e la scoperta di decorazioni di terracotte policrome che rappresentano personaggi mitologici e religiosi che si trovano al Museo Nazionale Archeologico di Palermo.
Alla sua destra il tempio B, piccolo ed in pessime condizioni, edificato intorno al 250 a.C. Poco prima dell’evacuazione della città.
 
Ancora si trovano il tempio D e il tempio E e poi ancora quello delle “piccole metope”, il tempio Y, che mostrano una sfinge di profilo, la triade costituita da Latona, Artemide e Apollo, il rapimento della ninfa Europa (figlia di Agenore, re dei Fenici). 
Visitando la collina orientale si incontrano altri tre templi, il più importante dei quali è il tempio E le cui colonne sono state rialzate tra il 1956 e il 1959. 
 
Parecchie scalinate caratterizzano l’edificio mentre diverse metope sono ben conservate e ci consentono di comprendere i modi di vivere la loro religiosità e l’appartenenza alla divinità che in questo caso è Hera (Giunone per i latini).
Il tempio F è il più antico e il più piccolo dei tre e all’interno si rilevano finte porte dipinte di cui non si conosce il significato e il senso.
 
Il tempio G è il più grande di Selinunte e uno dei più grandi del mondo greco, lungo poco più di 113 metri, largo 54,05 metri e alto circa 30. Costruito in vari stili dall’arcaico al classico rivela la sua incompiutezza nella mancanza di scanalature in alcune colonne e nel ritrovamento di sezioni di colonne a circa 10 km di distanza, alle Cave di Cusa.
 
Tra la gran quantità delle sue rovine si intuisce un peristilio di 8 colonne (lato corto) per 17 (lato lungo) di cui una sola si trova in posizione eretta per un intervento di ricomposizione del 1832 chiamata “lu fusu di la vecchia” che certamente ha contribuito a rendere il tempio particolarmente riconoscibile tra gli altri. Al suo interno fu ritrovato il torso di un gigante morente o ferito e un’iscrizione chiamata “Grande Tavola Selinuntina” di notevole importanza.
 
Si pensava che fosse intitolato ad Apollo per un’iscrizione trovata ma, a seguito di studi più approfonditi, lo si attribuisce a Zeus.
Sulla collina Gaggera si incontra il santuario dedicato alla dea della fertilità, Dèmetra Malophòros. In esso si trovano testimonianze di contemporaneità di culti: greco e punico.
 
Alcune necropoli, infine, circondano Selinunte: Buffa, con fossa votiva triangolare; Galera Bagliazzo nelle cui tombe sono state ritrovate suppellettili di stili diversi tra loro e nel 1882 è stata portata alla luce la statua intitolata “Efebo di Selinunte”, visitabile al Museo di Castelvetrano; Pipio Bresciana e Manicalunga Timpone Nero è il nome della necropoli più grande del territorio e vi sono testimonianze di inumazioni ma anche di cremazioni.
 
Il contatto che i Selinuntini ebbero con le popolazioni endemiche dei Siculi, degli Elimi e anche dei Cartaginesi, hanno reso la loro arte figurativa originale, pur snodandosi in poco più di 250 anni di vita, prima che fossero costretti ad abbandonare il territorio.
 
Resta comunque impressionante la vista de “lu fusu de la vecchia” perché ci riporta alla memoria favole di un’epoca contemporanea che non ha nulla in comune con quello della colonna sopravvissuta “in piedi”, se non la possibilità di credere che ciò che ci sopravvive ha più valore di ciò che l’uomo riesce a distruggere.

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