Grotta Eremo, San Michele, Riti sacri, religiosità popolare, cultura italiana, tradizione italiana
Devozione e riti di purificazione nella grotta dell’Eremo di San Michele Arcangelo a Liscia (Ph. Lattanzi)
La  religiosità è un sentire innato nell’uomo. Sin dalla preistoria si intuisce che deve esistere qualcosa che va oltre il materiale e il quotidiano: il ciclo delle stagioni, il morire autunnale e il rinascere primaverile della vita nei campi spinge a sentire l’esistenza di una possibile vita oltre la morte.    
                                                    
Come mostrano le statuette della dea Madre Terra, trovate nelle tombe del periodo Neolitico, l’uomo placa il disagio della morte con la speranza della rinascita. Per questo l’uomo plasma dall’argilla figure femminili che simboleggiano colei che dona la vita e le pone accanto ai defunti.      
  Statuine che testimoniano il culto della Dea Madre in Abruzzo 

  Statuine che testimoniano il culto della Dea Madre in Abruzzo 

                                                                           
Col passare dei secoli questo profondo bisogno di divino che è dentro di noi emerge ed assume forme esteriori diverse, dando vita a divinità e dei di vario genere. Ogni civiltà prende quelli della precedente li riadatta e ne aggiunge di nuovi, cambia loro funzione o aspetto esteriore seguendo una sorprendente continuità logica e storica. Gli Italici dai culti preistorici e da loro i Romani  fino all’arrivo della parola di Gesù. E così i rituali pagani vengono riadattati spesso localmente, dando vita a tradizioni e culti cristiani di grande suggestione.
 
Sin dalla prima diffusione del  Cristianesimo nelle terre d’Abruzzo le nostre genti sono state pervase da un intenso fervore religioso e da una fede profonda, strettamente legata ai semplici ritmi e alle esigenze quotidiane della vita di un popolo composto per lo più da contadini e pastori.  
 La grotta di san Michele Arcangelo con la fonte miracolosa 

 La grotta di san Michele Arcangelo con la fonte miracolosa 

 
Chiese, opere d’arte sacra, eremi, sono le tante testimonianze materiali che questa forte spiritualità ci ha lasciato.          
                                       
Di esse la traccia più emozionante è rappresentata dai riti:  cerimonie e gestualità giunte ai nostri giorni immutate nei secoli, protette gelosamente dalle popolazioni  e  rivissute da giovani ed anziani con intensità.     
 
Sono il fuoco, l’acqua, la pietra, ma anche gli animali a divenire gli strumenti attraverso i quali la fede si manifesta materialmente e il pellegrino mostra la sua devozione chiedendo la vicinanza di Dio.
  San Venanzio a Raiano e la cella del Santo (Ph. Lattanzi) 

  San Venanzio a Raiano e la cella del Santo (Ph. Lattanzi) 

 
Tra questi  l’acqua è  l’elemento fondamentale per l’esistenza di ogni forma di vita sulla terra sia animale che vegetale. Sin dalla prima presenza dell’uomo  essa è stata uno dei fattori che hanno ritmato gli spostamenti dei nomadi e la scelta del luogo per stabilirsi. Accampamenti e villaggi venivano sempre posti in luoghi sicuri, ma necessariamente vicini all’acqua, sorgenti, fiumi. E l’agricoltura dei primi gruppi di uomini preistorici, quelli che da cacciatori nomadi divennero stabili contadini, ruotava attorno alla  disponibilità di acqua.
 
Le popolazioni italiche, ma soprattutto i romani, svilupparono dei veri e propri culti dell’acqua. Realizzando templi con fontane e vasche. Nel cristianesimo l’acqua assume ruoli simbolici fondamentali, il sacramento del battesimo  amministrato da San Giovanni al giovane Gesù nel fiume Giordano ne è la principale testimonianza.   
 
I RITI DELL’ACQUA – Acqua  come purificazione, acqua come segno di nascita,  sorgenti come fonti di vita. Una società di contadini e pastori come è stata per millenni quella abruzzese fino  agli anni più recenti, ha fatto dell’acqua l’elemento centrale di culti e tradizioni religiose molto forti, sviluppatesi soprattutto attorno agli eremi delle montagne. Spesso ai Santi eremiti è attribuito il miracolo di aver fatto sgorgare l’acqua dalla roccia e ad essa vengono riconosciute dalla devozione popolare peculiarità guaritorie e benefiche. Si va in pellegrinaggio per bagnarsi in quelle acque e guarire nel corpo e nell’animo.
 
 IL  RITO  DI  SAN  MICHELE  A  LISCIA – Tra i molti eremi abruzzesi legati all’acqua, suggestivi per i luoghi e i riti che vi si compiono, vi è il santuario di San Michele Arcangelo a Liscia nell’entroterra vastese che protegge una grotta con una sorgente naturale. 
 
La leggenda racconta che un mandriano di Palmoli, portando la sua mandria al fiume per l’abbeverata, notò un torello che scompariva ogni giorno per ritornare solo a sera. Incuriosito decise di seguirlo e scoprì, con grande sorpresa, che l’animale arrivava fino  a una grotta nascosta nella vegetazione e lì si inginocchiava in adorazione di San Michele. Preso da devozione il pastore si inginocchiò e l’Arcangelo compì il miracolo di far sgorgare l’acqua per dissetarlo.
 
La  grotta è tuttora meta di grandi pellegrinaggi che giungono qui da tutto l’Abruzzo e anche dal Molise, due volte l’anno si ripete l’antico rito di bere l’acqua che sgorga dalla grotta ritenuta miracolosa. Partecipano a questo  rito  molti  pellegrini, di ogni età, provenienza ed estrazione sociale, entrano nella grotta in fondo alla chiesa, impugnano il tradizionale mestolo in rame e bevono un sorso d’acqua attinta dalla suggestiva sorgente naturale sulla quale aleggia la tradizione del miracolo. 
 
La devozione popolare risulta ufficializzata fin dal Seicento quando i D’Avalos, fecero costruire davanti alla grotta una chiesetta  nella quale è esposta la statua del Santo. L’8 maggio e il 29 settembre i fedeli compiono  emozionanti rituali: toccano le pareti della roccia e ci strofinano contro fazzoletti e oggetti sacri, poi bevono l’acqua di sorgente che gocciola dalle stalattiti, ritenuta rimedio efficace contro i vari mali. 
 
Il santuario è legato alla religiosità dei pastori, poiché qui passano alcuni dei tratturi che dall’Abruzzo portavano le greggi in Puglia e viceversa. 
 
S.VENANZIO  A  RAIANO – Un altro suggestivo eremo si  trova nell’aquilano poco distante  da Raiano. La chiesa è dedicata al giovane Venanzio che, convertitosi  al Cristianesimo  si ritirò in questi luoghi. Nel 259 fu arrestato e martirizzato. Al culto di questo martire, ancora oggi molto sentito dai fedeli che qui accorrono da tutto l’Abruzzo, si lega un’antica tradizione che vuole riconoscere in alcuni segni sulla roccia le impronte del Santo. La festa di San Venanzio  si celebra il 18 maggio. I pellegrini, ripercorrendo le orme della vita del Santo, si sdraiano su quella che si crede sia l’impronta lasciata dal suo corpo, detta letto di San Venanzio, poi prendono posto sul sedile di Santa Rina per ottenere la guarigione dai mali fisici.    
                     
Dalla loggia esterna che si affaccia sul fiume parte la Scala Santa, scavata nella roccia che porta fino all’acqua del fiume e viene percorsa in salita dai pellegrini. Questi gesti rituali sono legati all’evocazione della discesa agli inferi, dai quali si risale purificati, ma anche alle pratiche religiose per mezzo delle quali i pellegrini invocano la guarigione dai loro mali. Un esempio è l’immersione degli arti doloranti o malati nelle acque del sottostante fiume Aterno e la benedizione dei malati con l’acqua miracolosa di San Venanzio.
 

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