Aveva compiuto 87 anni il 2 gennaio scorso Pina Patti Cuticchio, madre di Mimmo puparo famoso ormai in tutto il mondo e attore “a tempo perso” che ha calcato il tappeto rosso della 68a mostra d’arte cinematografica di Venezia dove il film Terraferma per la regia di Crialese che lo ha visto recitare, ha ricevuto il Premio speciale della giuria ed era stato scelto a rappresentare l’Italia come “Miglior film straniero” per concorrere agli Oscar 2012.
 
A Pina Patti, sua madre, aveva dedicato più di un libro il figlio Mimmo e in “Guida all’opera dei pupi” – 25 anni di attività del teatro dei pupi S. Rosalia di Mimmo Cuticchio, la dedica alla madre così recita: “… a mia madre Pina, per avermi dato le radici”.
 
Omaggio del figlio a una madre, a una grande donna che oltre ad avere generato ben 7 figli, era la madre dei pupi, dei personaggi dell’opera. Sposatasi all’età di quindici anni con Giacomo, conosciuto come puparo quando lui era appena diciassettenne, amò con lui il suo lavoro, la sua arte, i suoi personaggi di legno, latta e stoffa.

 Pina Patti

Fu così che di giorno il teatro era la loro, la sua casa e di sera si trasformava nuovamente in teatro dove, tra un mischiarsi delle parti, dei personaggi, la vita diventava rappresentazione e le scenografie, i cartelloni diventavano gli arredi, le tende di una casa dove era difficile distinguere la realtà dal sogno, dalla poesia.
 
E i pupi facevano da spettatori, da infermiere, da levatrici perché presenti ai parti di Pina, come persone di famiglia, intime, silenziose, affettuose, coi loro sguardi attoniti, con le loro braccia legate a fili di metallo, prigione e insieme libertà di espressione, la stessa del puparo.
 
Nella prefazione del libro “Tra le tele dell’Opra”, a cura del giornalista e critico teatrale Roberto Giambrone, con testi di Mimmo Cuticchio, di Guido Di Palma docente di storia della regia e storia dello spettacolo e Anna Maria Ruta, studiosa di letteratura e arte siciliana, Mimmo racconta che la madre di tanto in tanto ama dire che nella sua vita aveva visto l’inferno, il purgatorio e il paradiso.
 
E, in effetti, la sua vita non è stata tra le più semplici. Quindicenne, bellissima, capelli e occhi neri e curiosa; conosce Giacomo, appena diciassettenne, all’interno di un androne dove aveva improvvisato un teatrino di pupi e si innamora di lui e dei suoi pupi.
 
Da poco sposati lui parte militare e lascia l’attività e la moglie incinta della primogenita. Un bombardamento distrugge la loro casa e i pupi vengono sepolti sotto le macerie. Giacomo la porta via, ad Augusta in provincia di Siracusa sul monte Cipollazza, dove si trova la sua caserma.
Intanto, sbarcati gli americani in Sicilia, anche Augusta viene bombardata così trovano riparo in una caverna, bassa da non poterci stare in piedi, ma era un luogo sicuro e lontano dalle schegge dei bombardamenti.
  L’arrivo di Angelica a Parigi

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Ma la situazione diventava ogni giorno più pericolosa tra ronde naziste, cani, bombe e persone che per molto poco o per paura erano pronte a fare la spia. Tra percorsi a piedi e qualche passaggio sulle jeep degli alleati raggiungono Palermo. Appena in tempo per far nascere il primo figlio: è una femmina.
Decidono di riaprire l’attività con i pochi pupi che avevano lasciato in casa della madre di Pina ma poco dopo – si preferisce andare al cinema piuttosto che al teatrino dell’opera dei pupi – decidono di fare i teatranti girovaghi e nei paesi dell’entroterra trovano un pubblico più interessato e attento. Per i paesani devono passare ancora almeno venti anni per prendere le abitudini dei cittadini.
 
Passano gli anni e intanto nascono altri sei figli dei quali si prende cura insieme agli altri “figli”, i pupi, che fanno parte della famiglia. Così cuce, risistema, ripara i vestitini che nei combattimenti si rovinano.
Ma il suo compito non finisce qui. Prende posto alla cassa insieme ai suoi figli ed è la prima volta che una donna entra a far parte , e ufficialmente, del mondo dell’opra, sino ad allora di esclusivo dominio maschile.
 
La sua presenza, intanto, incoraggia i mariti a portare le mogli a vedere gli spettacoli, cosa anche questa sino ad allora riservata a un pubblico maschile.
Pina Patti non si limitò a prendere posto alla cassa, la sua più grande rivoluzione consistette nel diventare parte attiva nella creazione degli spettacoli. Cominciò a dipingere “scacchi”, cartelloni, sia quelli usati come fondale, sia quelli che si appendevano alle piazze dove si svolgeva la rappresentazione per anticiparne il tema.
 
Erano a Palermo gli artisti che li dipingevano e per Giacomo era una fatica e una perdita di tempo prendere la corriera ogni volta che occorreva. Pina, sua moglie, gli propose di farli lei. Il marito non acconsentì: era una lavoro da uomini e lei, tra l’altro, era ignorante e ci voleva cultura per dipingere quei cartelloni.
 
Allora usò uno stratagemma per convincerlo a lasciarla fare: scesa a Palermo comprò il materiale occorrente e, forte dell’esperienza accumulata osservando i maestri, prova e riprova, riuscì e preparare dei quadri. Al marito disse che le tele che lei aveva dipinto di nascosto erano state portate da un pittore e solo dopo che il marito le apprezzò e le mise in mostra, gli rivelò che l’autrice era proprio lei.
Da qual momento divenne la “pittrice” ufficiale della compagnia teatrale Cuticchio. Addirittura alcuni forestieri volevano acquistare dei pezzi autentici firmati da lei.
 
Le sue opere, adesso che l’UNESCO ha riconosciuto l’opera dei pupi patrimonio dell’umanità e la famiglia non dorme più sulle tavole dove sino a pochi minuti prima si era svolta una battaglia e qualche eroe era morto e qualche dama era in lacrime, sono di supporto alle storie che il figlio Mimmo porta in scena, girando per il mondo, dove è apprezzato insieme al sogno che, grazie anche alle immagini poetiche della madre, le sapienti pennellate dal sapore naif sanno dare.
E sono così tanto apprezzate le pitture di Pina Cuticchio che una Madonna è stata persino posta su un altare.
 
Ma tornando un attimo indietro, nel 1969 Giacomo e Pina aprirono quello che sarà il loro ultimo teatro, a Palermo, l’Ippogrifo ed erano soprattutto i turisti stranieri ad assistere alle loro rappresentazioni. Tra gli altri suoi meriti, quello di avere sempre incoraggiato i figli a continuare l’attività del padre e vi è riuscita con alcuni di loro.
 
A Pina Patti Cuticchio va anche il grande merito di avere sciolto un tabù, di avere rovesciato le parti, di avere affrancato le donne dei pupari dalla schiavitù di vivere soltanto nelle vesti e nelle parti che la chanson de geste assegnava loro: eroine, maghe, donne di discutibili costumi, principesse delicate e quant’altro la fantasia maschile volesse proiettare nelle proprie rappresentazioni.
 
Non più donne esclusivamente “regine” della casa, del focolare domestico mentre gli uomini curavano il contatto con l’esterno. Già lo stare alla cassa denotava una gestione del patrimonio di famiglia e conoscenza di tasse, contributi, ecc. Figurarsi dipingere cartelloni e, addirittura come faceva Pina, creare, usando una nuova tecnica da lei stessa inventata, oggetti, sculture di animali, teste di giganti leggerissime e di pregevole fattura.
 
Con Pina Patti Cuticchio scompare una parte della Sicilia, un’anima siciliana che è insieme semplicità e cultura, fantasia per un’arte che è sempre viva e che speriamo non troverà mai un sipario calato sul palcoscenico primordiale, bisogno essenziale dell’animo umano: il gioco.

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