Il treno si prende comodamente da Roma, avendo cura di sistemare il prezioso mezzo ciclabile nell’apposito vano bagagli. Una volta giunti alla stazione Celano- Ovindoli, non rimane che la scelta di percorrere il tratto di strada che collega le due cittadine in autobus o facendo uso della forza delle gambe, per arrivare infine sulla pista ciclabile più alta d’Italia: il circuito dell’Altopiano delle Rocche.
È una scelta di fondo, quella che alberga in chi ama pedalare sulle strade del Mondo: quella di conoscere il territorio non solo con gli occhi, ma anche con l’olfatto. Conoscere l’Italia assaggiando sulla propria pelle il calore del sole o la doccia naturale dovuta alle piogge.
Ma qualunque scelta si voglia fare, nel raggiungere l’Altopiano delle Rocche, vale la pena iniziare dal Castello Piccolomini di Celano.
“…E di notte com’era calmo e lucente il lago, simile a una striscia d’argento, sotto le finestre del palazzo, alla luce della luna piena, mentre il vecchio castello gettava lunghe ombre sul paese addormentato”.
Erano intrisi di romanticismo quelli che Edward Lear fissò sulla Illustrated Excursions in Italy nel 1846. Versi consegnati alla Letteratura e capaci di disegnare con l’alfabeto, le emozioni che suscita questa antica fortezza costruita, nel suo nucleo, da Federico II di Svevia durante l’assedio del 1223. Rinforzato una prima volta nel 1392 su commissione di Pietro Berardi, conte di Celano, il castello venne rimaneggiato nei secoli successivi per giungere fino a superare in epoca contemporanea, con gravi danni, il disastroso terremoto del 1915.
Con una cinta muraria interrotta da undici torri a scudo e cinque rotonde, dotato di un ponte levatoio che consente di superare un fossato, il Castello è dotato di due ingressi, uno dei quali protetto da una caditoia. Ospita la sede della Soprintendenza dei Beni artistici e architettonici della Regione Abruzzo, il Museo della Preistoria e il Museo d’Arte Sacra della Marsica.
Archiviata la visita al borgo, dopo essersi soffermati sulle varie chiese e aver raggiunto le “gole di Celano”, si punta su Ovindoli per inforcare la ciclabile che mette in comunicazione la cittadina con Rocca di Mezzo e Rocca di Cambio, in un anello posto mediamente a 1300 metri di altitudine, racchiuso tra le dorsali del Velino e del Sirente e iscritto nel perimetro del Parco Regionale Naturale.
Sono 30 chilometri di pista pianeggiante su un terreno di natura carsica che con le sue acque alimenta le sottostanti Grotte di Stiffe. La pavimentazione stradale ricoperta di ghiaietto permette di usare tutte le bici ad eccezione di quelle da corsa, ma non è certamente la velocità l’obiettivo da inseguire su questo straordinario altopiano, circondato da prateria.
Siamo nel cuore della natura italiana, nel luogo in cui furono girati diversi film storici e mitologici e nel quale il suono del vento diventa compagno di viaggio.
Dopo aver attraversato la frazione di Rovere si arriva a Colle di Mezzo, comune fondato nel 1000 e abitato in epoca romana dalla popolazione italica degli Equi. La zona è caratterizzata da doline, inghiottitoi e grotte: merita una visita l’Inghiottitoio di Terranera, noto come Pozzo Caldato, attraverso il quale le acque si disperdono per poi riapparire nelle Grotte di Stiffe.
Posto alle pendici del Monte Rotondo, l’abitato di Colle di Mezzo ospita la Festa del Narciso nel mese di maggio e permette di scegliere tra due itinerari escursionistici di rara bellezza naturale. Sul versante settentrionale si estendono i Piani di Pezza, mentre sulla strada che porta a Secinaro è situata l’Anatella (una fonte ai margini delle pendici boschive del Monte Sirente).
Rocca di Cambio, con i suoi 1.434 metri di altitudine è il comune più alto dell’Appennino e nel suo territorio ospita la stazione sciistica di Campo Felice. Il terremoto del 2009 ha danneggiato gravemente l’Abbazia di Santa Lucia, monumento nazionale mentre la Chiesa Madre della Ss. Annunziata è stata riaperta al culto dei fedeli un anno dopo il sisma.
È tempo di tornare ai confini di Rocca di Mezzo per poi intraprendere la strada in direzione Secinaro. Non è però l’abitato il punto focale di questa scelta.
La pedalata terminerà a mezza strada nella valle in cui si adagia l’altipiano Prati del Sirente (a quota 1100 metri di altitudine), ai bordi di un specchio d’acqua conosciuto da secoli come “il laghetto”, usato da cavalli, mucche e pecore e da cinghiali, volpi e faine come abbeveratoio.
Parte integrante paesaggio incontaminato, il lago con le sue acque limpide ha attratto sul finire del XX Secolo un gruppo di scienziati, i quali scoprirono l’origine meteoritica del lago. Il violento impatto sarebbe avvenuto con molta probabilità tra il III e IV Secolo d.C. dopo che l’attrito con l’atmosfera terrestre aveva incendiato il corpo celeste.
Osservando le sponde del lago si comprende che gli uomini dell’epoca videro scendere una palla di fuoco con una scia luminosa dal cielo di Roma alle pendici del Sirente. Sono gli anni in cui a Roma il futuro imperatore Costantino si apprestava a sconfiggere le armate nemiche.
E lo studioso Eusebio da Cesarea descrisse la cometa vista da Costantino ventisei anni dopo.
“Ho ritrovato – spiega Edoardo Alonzo, ex direttore del Parco del Velino Sirente – testi che parlano di un tempio della dea Sicinna e di una lunga e fiammeggiante scia di luce. E nei pressi del lago c’è una collinetta dove si trovano pietre disposte come resti di una antica costruzione, che potrebbe essere identificata come il tempietto della dea”.
Facendo un passo indietro nel tempo, torniamo al 28 ottobre del 312 dell’era cristiana nella piana di Saxa Rubra dove le truppe dell’imperatore Costantino affrontarono le truppe di Massenzio, per contendersi la supremazia su Roma.
Nelle cronache dello storico dell’epoca, Eusebio di Cesarea, Costantino disse che verso la metà del giorno, quando il sole cominciò a declinare, di aver visto con i propri occhi in cielo, più in alto del sole, il trofeo di una croce di luce sulla quale erano tracciate le parole “In hoc signo vinces”.
Fu pervaso da grande stupore, e insieme a lui tutto il suo esercito che, galvanizzato dal messaggio celeste, sconfisse e annientò i nemici a Ponte Milvio.
L’anno seguente Costantino promulgò l’Editto che permetteva ai cristiani di professare liberamente la propria fede, dando così inizio all’avvento del Cristianesimo.
Alla luce del ritrovamento scientifico di fine XX secolo, è probabile che il meteorite che ha formato il laghetto di Secinaro fosse proprio quel corpo celeste visto a Roma poco prima che Costantino affrontasse l’esercito di Massenzio.
Secondo i ricercatori il grosso masso incandescente precipitò alla velocità di 20 km al secondo: da Roma alla piana sirentina ci sono 80 km. Sarebbero dunque bastati 4 secondi per coprire tale distanza prima di esplodere.
Possiamo immaginare l’oggetto celeste apparire in cielo come un puntino luminoso che cresce a vista d’occhio fino a diventare una specie di cometa con una grande scia luminosa, e precipitare infine verso le montagne esplodendo come una grossa palla di cannone. Il boato si avvertì probabilmente nelle valli circostanti e terrorizzò uomini e animali. Forse si formarono anche valanghe che franarono contro la boscaglia a valle.
“Scoppiarono molti incendi e ci furono certamente vittime, ma il tramonto della storiografia romana ne cancellò ogni testimonianza”, spiega lo studioso Edoardo Alonzo.
“Esisterebbe – dice ancora – un testo della fine del IX secolo nel quale si parla di fiamme dal cielo e di grandi distruzioni, racconti tramandati dalla tradizione popolare del luogo. Altre approfondite indagini dovranno fornire maggiori certezze su un evento eccezionale verificatosi tanto lontano nel tempo e di cui non esistono testimonianze dirette”.
Storia, scienza e leggenda si uniscono in questo piccolo specchio d’acqua invitando ad assaporare il meglio della Natura e di questo altopiano sospeso nel tempo. Un tuffo nel tempo e nelle acque, per poi tornare in sella e sulla ciclabile, pronti a gustare i piatti tipici di una terra vocata all’ovicoltura per poi tornare nel vortice della vita quotidiana.