New York, Philadelphia, Los Angeles, Roma, Agrigento, Bonn, Lisbona, Palermo, Salonicco, Johannesburg, Dublino, Lovanio, Monaco di Baviera, Zurigo, sono solo alcune delle città in cui, nel corso di quest’anno, è stata o verrà ricordata la nascita di Luigi Pirandello avvenuta 150 anni fa, il 28 giugno 1867 nella città siciliana di Agrigento. Un tour planetario che rivela l’attualità del messaggio pirandelliano.
Insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934, per la sua produzione, le tematiche affrontate e l’innovazione del racconto teatrale, è considerato tra i maggiori drammaturghi del XX secolo.
Per questo importante anniversario, spettacoli teatrali e musicali, iniziative editoriali, conferenze, gemellaggi, curati su scala internazionale dal Ministero degli Esteri, invitano a “considerare l’opera pirandelliana come luogo di negoziazione culturale, un terzo spazio attraverso cui guardare al mondo contemporaneo e alla cultura occidentale. La sua produzione letteraria risulta uno spazio privilegiato all’interno del quale alcune “certezze vengono messe in discussione, da quella di poter giungere a verità uniche e valide per tutti gli individui e tutte le culture, a quella di poter fare ricorso a schemi interpretativi del mondo fissi e strutturati su delle verità rivelate e indiscutibili.”
A 150 anni dalla sua nascita e a 81 dalla sua scomparsa, la presenza letteraria di Luigi Pirandello risulta più viva che mai e, in prospettiva storica, ancor più chiara e incombente, perché il secolo che si è chiuso, e il tempo presente che viviamo, continuano a sperimentare i temi più amari e sovversivi della sua arte. Ciò che allora sembrarono tematiche sperimentali sono divenute materia vivente, esistenziale, per chi abbia un contatto privilegiato con l’io, con il proprio pensiero.
La vita, la realtà, la storia della società, gli usi, i costumi, vennero da lui disarticolati, smontati uno per uno per capirne i meccanismi interni, ciò che li muove, in ciò apparentandosi, ma sul piano squisitamente letterario, all’analisi che nel contempo Sigmund Freud conduceva sui meccanismi della psiche.
Il grande drammaturgo siciliano portava nel suo bagaglio culturale gli esiti di un romanticismo decadente, i problemi legati allo scontro col padre (colto da lui in flagrante adulterio), l’Eros e Tanatos della sua terra millenaria difficile, il superamento dei problemi esistenziali legati a una tormentata giovinezza, tra la vita rigorosa di studente universitario a Bonn e la ritrovata libertà nella scrittura conquistata a Roma, e una maturità impegnativa.
Tramontati da tempo gli ideali della società positivista, si apriva per l’uomo l’abisso, il vuoto, l’acuta e dolorosa consapevolezza dell’incertezza. Furono, i suoi, tempi di guerre sanguinose, di dittature feroci, disumane: noi che oggi viviamo in una società globalizzata partecipi di ogni guerra che succede nel mondo, incapaci di percepire il nostro domani, assediati da un clima di diffusa paura per un futuro che poco ci appartiene, possiamo vedere nei suoi drammi, nei romanzi, nelle sue novelle l’opera di un profeta che aveva vissuto e fatto rivivere nei suoi molteplici personaggi, nelle loro vicende, nella loro lucida follia, l’incertezza, l’illusione della realtà.
Disagi economici, un difficile rapporto con la politica, gli insuccessi prima, la gloria internazionale poi, hanno segnato la vita di Luigi Pirandello, a partire dal dramma vissuto dalla moglie Antonietta Portolano, precipitata nella follia dopo il fallimento della solfatara che aveva inghiottito la sua dote, fragile creatura che si perde nello smarrimento e nell’allucinazione rompendo ogni legame con la realtà. Anche lui sta per perdersi e annegare nella disperazione, pensa al suicidio, ma lo trattiene il pensiero dei figli ancora piccoli.
La scrittura diviene il suo rifugio, scrive di notte vegliando la moglie, con quella prosa scabra ed essenziale capace di arrivare alle radici del vivere, del dolore, della verità. Scrive, capitolo dopo capitolo, assoluti capolavori come “Il fu Mattia Pascal”, dove il suicidio si compie sì, ma nell’azione romanzesca, portando la letteratura in una dimensione mai osata o immaginata.
La scrittura si fa necessaria, impellente, diventa inquisizione incessante del vivere. L’usura della vita si stratifica, congela illusioni e smentite, mentre i suoi personaggi corrono tutti verso la stasi e l’immobilità per un eccesso di coscienza, trasferendo nella realtà il senso cristallizzato dell’esperienza.
Rivolte soffocate, libertà impedite, sensi interdetti concorrono a condensare la propria carica finchè esplodono con cupa violenza. La vitalità incontenibile, anche se contratta ed esasperata dei personaggi pirandelliani, in perpetuo conflitto con la realtà, la società, il destino, trova a volte le energie represse, le voci sepolte, altre volte si contrae ed esaspera operando all’interno una tragica involuzione e il conseguente precipizio nella follia. Quella stessa realtà che – dice in “Uno, nessuno e centomila” uno dei suoi personaggi riportandone il pensiero – “non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi se vogliamo esserci e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma discontinua e infinitamente mutabile. La facoltà di illudersi che la realtà di oggi sia la sola vera, se da un lato ci sostiene, dall’altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà di oggi è destinata a scoprircisi illusione domani”.