A Malala Yousafzai e a  Kailash Satyarthi  viene assegnato  il premio Nobel per la pace. Malala è una diciassettenne ragazza pakistana che, pur così giovane, si batte già da tempo per il diritto allo studio delle ragazze ed è per questo che i talebani del suo paese, due anni fa, hanno tentato di ucciderla. 
 
Kailash è indiano e si batte contro la piaga del lavoro minorile da cui ha salvato ottantamila bambini reinserendoli nella società dopo averli sottratti alla schiavitù.
Sono passati 80 anni da quando, era l’8 novembre 1934. A Luigi Pirandello, siciliano di Girgenti (oggi Agrigento), venne assegnato il premio Nobel per la letteratura. 
 
Sicuramente gli avrebbe fatto piacere sapere che dopo tanti decenni un filo conduttore avrebbe unito lui e una ragazza di appena diciassette anni nell’amore per la cultura. Sì, perché la cultura rende liberi e Pirandello lo sapeva bene.
 La targa con l’assegnazione del Nobel per la letteratura a Pirandello 

 La targa con l’assegnazione del Nobel per la letteratura a Pirandello 

 
A lui dobbiamo un patrimonio letterario, artistico di immenso valore e con certezza possiamo affermare che, in ogni parte del mondo in cui la sua opera è conosciuta, almeno una volta al giorno viene citato, sia esso un teatro, un convegno, una trasmissione radiofonica o televisiva, un articolo di giornale, un post su facebook o in qualunque angolo in cui spira anche un semplice venticello culturale.
 
La vita, le opere e il pensiero del grande drammaturgo sono noti più o meno a tutti i suoi ammiratori ed estimatori, e sono ancora oggi tantissimi, ma meno conosciuta è la casa romana in cui abitò dal 1933 e nella quale il 10 ottobre 1936, a soli due anni dal ricevimento del Nobel, morì.
 
Di ritorno da Berlino e Parigi dove visse per un certo periodo si trasferì in un villino datato intorno al 1910 in via Antonio Bosio già via Alessandro Torlonia, al numero civico 13b circondato da un rigoglioso giardino.
 La villa con giardino in cui abitò il celebre scrittore e drammaturgo 

 La villa con giardino in cui abitò il celebre scrittore e drammaturgo 

 
Si accede all’appartamento attraverso la porta d’ingresso in cima ad alcune rampe di scala. Il salone è ampio e luminoso grazie a delle grandi vetrate che si affacciano su due lati opposti della casa. I mobili, in  parte in stile fiorentino, sono gli stessi che già nel 1910 arredavano le precedenti abitazioni: una scrivania, due librerie a vetrina, due savonarola. Altri arredi, quali un grande divano, poltrone, ancora una scrivania e alcune scaffalature sono in stile razionale. Il tavolino su cui è poggiata la macchina da scrivere, protagonista insieme a Pirandello di tante fotografie, una fra tante è quella scattatagli da innumerevoli fotografi in occasione della notizia del conferimento del Nobel, posa obbligata che finì col detestare.
 
Un enorme, bellissimo lampadario di Murano illumina tutto l’ambiente quando è buio. La camera da letto, non troppo grande, essenziale, ricorda un quadro di Van Gogh. Ad arredarla sulla sinistra un letto singolo appoggiato al muro, un comodino, di fronte una toilette in radica di noce, accanto ad un balcone che si apre su una terrazza che un tempo si affacciava sui pini di Villa Torlonia, su cui sono poggiate due fotografie di Marta Abba e un orologio da tavolo. A destra un piccolo armadio, secondo l’uso di quegli anni, e sull’esterno dell’anta appeso ad una gruccia, la divisa della Reale Accademia d’Italia e sulla poltrona accanto all’armadio, lo spadino e il cappello. 
 
In un’altra stanza, in una cassaforte, è custodito il prezioso attestato che testimonia il meritato conferimento. La medaglia d’oro manca: la donò Luigi alla patria quando venne richiesto a tutti i cittadini italiani di privarsi dei loro gioielli per darli alla nazione.
 
Una stanza dell’appartamento è riservata dal 1961 all’Istituto di Studi Pirandelliani e sul Teatro Contemporaneo. 
 
Lì, sono stata accolta, un giorno della appena trascorsa estate da Dina Saponaro e Lucia Torsello, dipendenti dell’Istituto che mi hanno fatto da “cicerone”, illustrandomi i preziosi ricordi, la biblioteca, i quadri appesi alle pareti dipinti dal figlio Fausto, uno dei più importanti pittori del ‘900 italiano.
 
L’emozione di trovarmi nella casa dove visse e poi morì il grande letterato, figlio della mia stessa terra, la Sicilia, e l’orgoglio della condivisione insieme alla struggente malinconia di leggere, scritta di suo pugno, sul calendario da tavolo che segna mercoledì 9 dicembre, l’ultimo suo appunto, l’ultima sua nota: “Sempre a letto”, non trovano parole per essere descritte.
 
E mi sembrava di trovarmi lì, quel giorno, quel maledetto 10 dicembre che Corrado Alvaro così magistralmente ha descritto:
 
“Noi entrammo in quel suo studio, ed era pieno di gente, ma di gente agitata, in piedi, convulsa, curiosa, che fumava, si chiamava, parlava ad alta voce, come se il padrone di casa l’avesse invitata a un ricevimento e tardasse a entrare…Entrai nella camera dove egli giaceva. Era come abbandonata, c’era quel silenzio sterminato sul lenzuolo che lo copriva delineando quel corpo di “povero cristo”…E di là, nello studio, quel chiacchiericcio da ricevimento, come aspettando che egli apparisse…Il giorno seguente, la nebbia infradiciava gli ultimi fiori secchi di quel giardinetto dietro a quel cancello di via Antonio Bosio. Un povero cavallo attaccato al carro dei poveri era fermo sulla strada bagnata…La bara di abete tinto da poco con una mano di terra bruna, fu collocata sul carro, e i pochi amici rimasero fermi davanti al cancello a vederlo partire verso gli alberi brumosi in fondo al viale”.
 

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