Trent’anni dopo l’intuizione di Giovanni Paolo II, Assisi è  tornata ad essere la capitale mondiale della pace e del dialogo secondo lo spirito del poverello che, nel momento più cruciale della V Crociata, decise di partire  con un gruppo di 12 compagni per il Campo dei Crociati attendati nei pressi di Damietta, in Egitto. Missione: incontrare il Sultano Malik-al-Kamil, nipote del famoso  Saladino e capo dell’esercito musulmano. Qui, secondo quanto ci tramanda Tommaso da Celano, predicò contro il ricorso alle armi e sostenne la necessità della pace. 
 
L’incontro e l’amicizia tra Francesco e un sovrano illuminato sono divenuti da allora segno e simbolo della possibilità degli uomini di incontrarsi senza ricorrere alle armi e alla violenza in nome di Dio.
 
Oggi, in tempi di terrorismo, conflitti, migrazioni forzate, e in un mondo flagellato da una “terza guerra mondiale a pezzi”, secondo la nota definizione dell’attuale Papa, è stato il Santo Padre Francesco a riproporre proprio ad Assisi la strategia del dialogo.
 
Più di 500 leader religiosi, capi di Stato, Nobel per la Pace si sono riuniti  nella città umbra per l’Incontro “Sete di pace. Religioni e culture in dialogo”, organizzato dalle Famiglie francescane, dalla diocesi di Assisi e dalla Comunità di Sant’Egidio. All’inaugurazione è intervenuto anche il presidente della Repubblica Mattarella. 
Fra i leader religiosi ricordiamo la folta rappresentanza musulmana, il patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo, il rabbino capo di Tel Aviv Tsrael Lau, il primate anglicano Justin Welby, il capo supremo del Buddismo Tendai. 
 
Presenze che testimoniano la grande  l’adesione allo “spirito di Assisi”, un impegno che ha dato un forte apporto al riavvicinamento tra le religioni e non solo. Perché lo spirito di Assisi è soprattutto  la risposta ai fondamentalismi e alla violenza  attraverso  la vittoria, non facile, su quello che Papa Francesco ha definito “il paganesimo  dell’indifferenza”.  
 
Ponendosi sulla scia dei suoi predecessori e dello spirito di San Francesco, il Pontefice ha detto: “Senza sincretismi e senza relativismi abbiamo pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri” e poi: “Ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda”, che ogni forma di violenza non rappresenta “la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione” (Benedetto XVI, Intervento alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, Assisi, 27 ottobre 2011). Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!”.
 
Poi ha aggiunto nella sua intensa meditazione: “Implorano pace le vittime delle guerre che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi, implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e migrare verso l’ignoto spogliati di ogni cosa… essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di  chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità  con cui cambia canale in televisione”.
 
Francesco è tornato ad Assisi dopo la breve visita di agosto e dopo la visita del 4 ottobre 2013  in occasione dell’VIII Anniversario  del Perdono di Assisi concesso da Onorio III. 
Quest’estate, il Papa aveva citato la frase che secondo la tradizione avrebbe pronunciato San Francesco: “Voglio mandarvi tutti in Paradiso”. Come? Attraverso il perdono: “Il perdono di cui San Francesco si è fatto canale qui alla Porziuncola – aveva detto Papa Francesco -continua a generare Paradiso ancora dopo 8 secoli. In questo Anno Santo della Misericordia diventa ancora più evidente  come la strada del perdono possa davvero  rinnovare la Chiesa e il mondo”. 
 
Nel richiamo agli stessi principi di pace e perdon, nasce spontaneo un confronto fra il Santo medievale e Papa Francesco  soprattutto  perché l’attuale  Papa è il primo nella storia della Chiesa ad aver assunto il nome di Francesco. 
 
I nomi, si sa, hanno una loro misteriosa essenza e per i Papi un significato, una risonanza  che affondano le radici in una tradizione millenaria. L’italo-argentino Jorge Mario Bergoglio ha “osato” assumere il nome del poverello d’Assisi, esempio di umiltà e di totale dedizione a Dio, che in duemila anni di storia nessun Papa aveva scelto. 
Nome forse troppo impegnativo da portare in un’Istituzione criticata dallo stesso Santo per lo sfarzo dei cerimoniali e le derive  temporali che hanno spesso caratterizzato la Curia romana nel corso dei secoli. Ma in questo nome c’è qualcosa di dirompente, una promessa, una domanda che scuote tutta Chiesa ed espone chi lo porta a significati e compiti difficili. 
 
Messaggio e programma, profezia di cambiamento e di rinnovamento. Nel nome si coglie un segnale che vuol accogliere e ascoltare l’appello di milioni di uomini accomunati da un destino di miseria di fronte a una concentrazione di enormi ricchezze nelle mani di pochissimi. 
 
Guardando la figura di San Francesco con gli occhi della  storia, ciò che balza agli occhi sono le azioni e le scelte. Francesco d’Assisi individuò subito il problema delle disuguaglianze tra i ricchi e i poveri. 
 
Ed è questo il primo elemento che li unisce: la difesa dei poveri e la lotta contro il denaro e gli eccessi in una società in crisi dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma oggi, assieme alla ricerca smodata della ricchezza, si assiste anche ad una sempre più evidente domanda di spiritualità e questo può avvenire attraverso una rilettura ed una messa al centro del Vangelo delle origini. Ciò che lega fortemente Papa Bergoglio al Santo di Assisi è proprio il suo continuo richiamo al Vangelo. 
 
Altro importantissimo aspetto che lega i due Francesco è la tematica dell’ecologia, tema che parla in modo significativo al nostro tempo. San Francesco, in un momento in cui  si affermavano le città, contrapponeva la natura e la strada, promuoveva la predicazione “in via”. Portando tutto al mondo d’oggi, sono quelle periferie che tanto stanno a cuore a Papa Francesco. 
 
Si intravede in questo nome una sfida, un programma, una bandiera che può diventare chiave interpretativa per l’attuale missione di evangelizzazione della Chiesa, delle sue relazioni con il mondo e con le altre religioni.  
 
Francesco d’Assisi fu soprattutto il profeta in cui  Innocenzo III vide la possibilità di un  grande movimento di rinnovamento. 
Non è certo un caso che Papa Bergoglio, nella sua prima omelia ai Cardinali durante la messa di ringraziamento “Pro Ecclesia” abbia parlato di movimento come dinamica di cambiamento, “movimento nel cammino, nell’edificazione della Chiesa, nella confessione, di “camminare, edificare, confessare”. 
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