Uscire dai ricordi in bianco e nero delle vecchie foto per entrare in un mondo colorato fatto di profumi fascinosi e di immagini che sanno sì d’altri tempi, dei tempi andati, ma che si aprono agli occhi di chi, curioso, vuole riconoscersi almeno in uno qualunque di quei ricordi o vuole impossessarsene perché sconosciuto alla sua memoria.
E in questa simbiosi di riappropriazione o appartenenza ecco venire fuori un libro. Compendio, raccolta di un lavoro certosino che, attraverso documenti di varia natura, si ripropone, ci ripropone una Palermo operosa, ricca di attività imprenditoriali, dove impresa era il buon gusto, il necessario, l’eccentrico, il raro ma anche e sopratutto la cultura.
Dove cultura non si fermava all’accezione di erudizione, ma travalicandone i confini, sperimentava nuove conoscenze, nuove tecnologie, nuove imprese, nuove forme di lavoro.
“Profumo d’altri tempi a Palermo” di Gesualdo Adelfio e Francesco D’Attardi per le edizioni ExLibris per La Zisa Comunicazione e magistralmente stampato dalla DPSItalia s.r.l. di Balestrate in provincia di Palermo nel novembre 2012 è tutto questo, è un tuffo nel passato non lontanissimo che si trasforma in esplorazione nel mare dei ricordi e della conoscenza.
Circa 300 pagine di notizie, informazioni acquisite attraverso ricerche approfondite tra i volumi delle biblioteche palermitane, quella regionale, quella del Museo Pitrè, la Storia Patria, l’Archivio di Stato non tralasciando, esaurito il lavoro di topi di biblioteca, la ricerca attraverso le fonti direttamente interessate, un lavoro documentale di notevole spessore e precisione che soltanto la passione inarrestabile degli autori ha potuto svolgersi per regalare ai lettori, agli appassionati, ai collezionisti un libro di indiscutibile piacevolezza e valore, oltre che storico-artistico.
Diviso per tematiche, è ricchissimo di immagini che riproducono in gran parte i calendarietti di proprietà dei due autori/collezionisti. Non mancano le riproduzioni di ricevute, fatture, menù, tabelle, insegne, marchi, preventivi di banchetti, fotografie di oggetti, stemmi, ritratti di famiglia, strumenti per la preparazione di alcune medicine, medaglie, bottiglie, cartoline e tanto, tanto altro materiale.
La storia, dunque, vista e raccontata. Ma non solo, anche spiegata e illustrata. Bellissimi i colori che sembrano venir fuori come freschi di stampa, eppure alcune riproduzioni sono riconducibili agli ultimi decenni dell’ ‘800.
Se nella premessa di Adelfio e D’Attardi viene raccontata la storia delle tipografie palermitane, il secondo capitolo è dedicato all’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891. Vera fucina di talenti che non mancarono di esporre le loro merci, le loro aziende, le loro attività ma anche sviluppo di fantasie e collaborazioni di grandi artisti per gli oltre ottomila espositori.
E gli autori già da queste prime pagine, oltre alle sapienti notizie sull’evento, ci mostrano una serie di documenti che altrimenti difficilmente potremmo conoscere.
Si comincia così a percorrere anche attraverso le illustrazioni di alcuni dipinti e schizzi dell’epoca, il Liberty, che tanto lustro ebbe ad opera di artisti come Giovanni Boldini, ritrattista delle più belle e importanti nobildonne dell’epoca che ci ha lasciato più di un ritratto di Donna Franca Florio, bellissima moglie di Ignazio jr, che tanto slancio diede alla cultura e alla internazionalizzazione di Palermo.
Non mancano i dipinti dei saloni di Villa Igea, fatta costruire dai Florio, attribuiti a Ettore De Maria Bergler, altro grande artista dell’epoca.
Procedendo nello sfogliare le pagine di “Profumo d’altri tempi a Palermo”, il richiamo di alcune immagini fa l’occhiolino e non si può evitare di soffermarsi a leggere, per esempio, il Calendario astronomico commerciale datato 1873 o le fatture dei Brangi (stabilimento tipografico e cartoleria) del 1888 con fregio lo stemma sabaudo ma che nel 1890 portava anche, sotto lo stemma, l’immagine di Porta Felice che si trova alla fine di Corso Vittorio Emanuele, a Palermo, e guarda il mare.
Oggi, sarà per la crisi finanziaria che già da alcuni anni soffoca l’economia, ma l’editoria locale incontra non poche difficoltà ad affermarsi e a mantenere viva l’industria libraria che poté vantare, il secolo scorso, imprenditori quali Remo Sandron che pubblicò pure diversi calendarietti o Roberto Bemporad il quale, pur essendo fiorentino, nel 1910 rilevò la libreria Reber di Palermo, facendone un punto di riferimento per l’editoria di tutto il meridione d’Italia.
Il libro continua con una dotta e infinita serie di illustrazioni e notizie su altre realtà tipografiche con una dovizia di materiale da ingolosire qualsivoglia collezionista ma anche chi, o per conoscenza diretta o perché si approccia per la prima volta a queste realtà imprenditoriali, non può che rimanere affascinato da tutto un mondo ormai scomparso ma che, grazie anche ad Adelfio e D’Attardi, resterà per sempre nella storia di una città che, in quanto a ricordi e imprese importanti, non è certamente seconda a nessuna.
Ma Palermo è famosa in tutto il mondo per la sua gastronomia, per i suoi dolci. E le pasticcerie non si fecero mancare la pubblicità che veicolava attraverso i calendarietti. Il centro storico era disseminato di caffé, american bar, pasticcerie e a volte la storia delle città venne, se non fatta proprio all’interno di questi locali, almeno raccontata tra una fetta di cassata siciliana e un frutto di martorana, sorbendo un gelato al pistacchio e cannella o sorseggiando un bicchierino di rosolio o di vino marsala di produzione delle immancabili cantine Florio.
Nel 1873 – raccontano gli autori – la “cassata” fu presentata con gran successo all’Esposizione di Vienna dopo che la pasticceria Gulì, sostituì alla pasta frolla con cui le monache la confezionavano, il pan di spagna, più soffice e la arricchì pure di frutta candita, vera specialità della ditta pasticcera.
Anche le ditte farmaceutiche si servivano degli almanacchi per la loro pubblicità e così pure le profumerie. Alcune oggi inesistenti, hanno costituito dei veri luoghi di incontro per signore in cerca di fragranze nuove e sempre più accattivanti, sicuro passaporto per varcare i confini di inafferrabili scapoli da sposare.
Nella rassegna non mancano i riferimenti e le documentazioni relative alle testate giornalistiche palermitane, allora numerose, ma delle quali oggi rimane solo un ricordo, tranne per Il Giornale di Sicilia, che vanta più di 150 anni e che ancora oggi viene stampato e distribuito.
Infine, non possiamo non citare i calendarietti dei barbieri, quelli profumati al patchouli, che davano il batticuore a quei giovani ragazzi che, omaggiati dal “figaro” di fiducia, ben presto se ne vedevano privati dai padri, condotti alla scoperta del loro possesso proprio grazie all’intenso profumo che emanavano.
Immagini di donne, modelle, attrici, in abiti succinti e in pose languide e ammiccanti, mostravano un mondo fatto di illusioni e di speranze di un irraggiungibile possedimento, appagato soltanto dall’inebriante profumo emanato da quei foglietti racchiusi in bustine di carta velina trasparente e tenuti insieme da un cordoncino di seta sfioccato.
Oggi quelle immagini possono far sorridere per la loro ingenuità, ma sono un tenero spaccato di vita che conserva intatto il suo fascino.
Il libro andato in stampa a un anno di distanza da “Profumo d’altri tempi” degli stessi autori e per la stessa casa editrice ma che ci raccontava una realtà non soltanto palermitana, è uno spaccato della vita di una città, Palermo, che fu operosa, che fu felicissima e non soltanto come spesso è stata così definita in relazione al periodo che la vide splendente grazie a Ignazio e Franca Florio.
Palermo fu felicissima per tutto il tempo che il commercio, l’artigianato, le industrie – e non ultima quella culturale – fiorirono nella città.
Quello che ne è venuto fuori, insomma, è un libro da consultare, per ricordare, una Palermo che non c’è più e che è bene mantenere in vita almeno attraverso i ricordi di chi -almeno in parte- l’ha vissuta e che – io credo – ha il dovere di tramandare alle nuove generazioni.
Per ricordare, per non dimenticare che il presente, e ancora di più il futuro, non si possono comprendere se non si ha una conoscenza del passato, della storia, della propria storia che è quella delle cose semplici, delle cose di ogni giorno, di quella che è la quotidianità che appartiene a tutti e che tutti possiamo riconoscere.
Consideriamo questo libro, dunque, come un vecchio album di fotografie di famiglia in cui non riconosciamo tutti i parenti ma ci sarà sempre qualcuno della nostra stessa famiglia che sarà sempre pronto a raccontarcene la vita, magari arricchendola di commenti, di aneddoti e, perché no? di altre immagini finite magari in un cassetto, forse aperto soltanto nella memoria di chi racconta e che ne ha condiviso un’epoca.