(Ph © Dirk E Ellmer| Dreamstime.com)

Lohengrin è un’opera da cui emerge tutta la potenza della musica di Wagner: operazione perfettamente sotto la direzione musicale del Maestro Alejo Pérez e del regista David Alden.Le magnifiche scene di Paul Steinberg, la bravura del coro diretto da Jan Schweiger non hanno affatto impedito agli artisti di tirar fuori la loro forte personalità. Nel ruolo del titolo, il tenore serbo Zoran Todorovich ha dato vita a un personaggio credibile, così come il basso-baritono americano Craig Colclough ha dato vita a un ottimo Telramund. Il soprano lettone Liene Kinča e il soprano svedese Iréne Theorin hanno esibito oltre a una grande maestria vocale un’eccellente capacità attoriale che gli spettatori hanno potuto percepire soprattutto quando le due donne, Elsa e Ortrud si affrontano. C’è anche un po’ di Italia in questa produzione di Lohengrin: stiamo parlando del bravissimo baritono Vincenzo Neri.

Ci parli del ruolo che interpreta, del suo percorso, di sé. 

Interpreto Heerrufer un ruolo che annuncia il re, organizza un poco la scena. Dice quello che viene fatto e prepara il pubblico e poi nel secondo atto spiega come si evolve la situazione. Non è fisso come personaggio e lo si può interpretare in tante maniere e, per il regista David Alden, è una persona cattiva, che non si spaventa. Lui nella storia mantiene la sua posizione da trent’anni, già col re precedente: insomma, non muore mai. 

Come giudica questo ruolo?

È una parte che mi piace molto interpretare: quest’opera dura quattro ore e mezza e io sono il primo a cantare, è davvero emozionante condividere la scena con ottanta persone.

Le sue origini? 

Mio padre è italiano, mia madre è tedesca. Io sono nato ad Amburgo, dunque sono italiano e tedesco. 

Quando è cominciata la passione per l’opera?

Mio padre aveva dei dischi a casa e ascoltava sempre la musica e così pure io da piccolo: il cd di “Don Giovanni” e anche “Il flauto magico”. A quattro anni già le conoscevo a memoria; poi da bambino ho cominciato a cantare come soprano. Una cosa particolare è che dodici anni fa ho interpretato la parte da bambino ne “Il flauto magico” insieme a Thorsten Grümbel, che qui fa la parte del re e ci siamo ritrovati dopo tanti anni. 

Dove si è formato?

Ho studiato con il maestro Binge a Lubecca. Si comincia ad amare l’opera, però, in famiglia.

Quando questa passione è diventata un mestiere, sono cambiate le aspettative?

Sì e no. Per me non mi sento che lavoro: certo, a volte ci sono giorni e serate in cui avverti particolarmente la stanchezza, ma per la maggior parte è gioia di stare sul palco.

I prossimi impegni?

Prossimamente sarò Marcello ne “La Bohème” poi Danilo ne “La vedova allegra”, poi “Hänsel e Gretel” in cui impersonerò il padre.  

L’opera preferita?

“Don Giovanni”: in “Lohengrin” le parti più belle sono i duetti – fra Telramund e Ortrud e poi fra Elsa e Lohengrin – e mi piace riascoltarle sempre. Però, devo ammettere che neanche la mia parte è male.


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