(Ph Jenna Hamra da Pexels)
“…Sera dopo sera la cerimonia in chiesa, il rito affollato di suoni, luci, odori, figure, colori. Si snodava in questo modo la novena, si procedeva atto dopo atto, verso la conclusione del gioioso dramma, verso il Natale, l’apertura del sipario, l’apparizione del Bambino, il fulgore d’ogni luce, il dispiegamento d’ogni canto, il concerto delle campane.
Diciamo d’un remoto Natale in un paese ai piedi dei Nebrodi, nella piana fitta d’ulivi e d’aranci, il mare di fronte con le Eolie fantasmatiche all’orizzonte e le boscose colline alle spalle, l’immenso Etna in fondo di nevi e caligini.
C’era stata, già prima, tutta l’ansia, c’era stato il travaglio per preparare in casa il presepe. La ricerca di sugheri, legni, pietre, vetri, stagnola, cartoni, tutta l’ossatura del favoloso teatro, l’apparato di monti, valli, anfratti, fiumare, gole, grotte, la primigenia, la nuda creazione di un ritaglio del mondo…”
Sono parole che appartengono al testo “Un remoto e un recente presepe” scritto da Vincenzo Consolo (1933-2012), scrittore siciliano, conosciuto e apprezzato in molti Paesi europei.
Un modo, il suo, di descrivere il Natale, affondando nei caldi anfratti della memoria, dove il ricordo si fa poesia e il “paese ai piedi dei Nebrodi…il mare di fronte con le Eolie…” non può che farci pensare al suo di paese, Sant’Agata di Militello in provincia di Messina dove Consolo nacque e dove tornava spesso pur vivendo a Milano.
Continua la sua descrizione, con dovizia di particolari, delle suggestioni che quella rappresentazione umana della nascita di Gesù suscita nel cuore di ogni fedele e di ogni attento osservatore che vi identifica la vita rurale e semplice del popolo di una piccola comunità che è composto da contadini, artigiani, pescatori.
E riconosce i luoghi sacri della divina nascita nel deserto, negli ovili, nella masseria, nei mulini, nella città sullo sfondo, nella grotta, negli angeli che la sovrastano. E poi ci sono il biancospino, i prati, le siepi, ulivi, palme, cascate d’acqua, laghi argentati. Il cielo è un blu trapunto di stelle, ma è di carta e la cometa “at-traversa tutto il teatro”.
È stato un lavoro compiuto da amorose mani quello della preparazione del presepe e ora fanno bella mostra di sé le statuine dei pastori uscite dalle fornaci della vicina Santo Stefano di Camastra e su una Betlemme di cartapesta una vecchina filava la lana, le pecore al pascolo erano guidate da un pastorello, c’era pure lo “spaventato” del presepe – figura immancabile e quanto mai emblematica – e, non ultimi ma immancabili, il bue e l’asinello.
Ma i veri protagonisti, Giuseppe e Maria ancora in attesa della nascita del bambinello Gesù, sono chini sulla mangiatoia e vi resteranno per nove giorni perché tanti ne occorrono affinché si concluda il trionfo, affinché venga alla luce il Bambinello.
Ma sono tanti i presepi che Consolo visitò, stupendosi ogni volta e chiedendosi, talora, se fossero appartenuti a cristiani oppure fossero arabi per quella babele di luoghi, colori, lingue, epoche rappresentati in ognuno di essi. Ogni volta, però, la risposta era la stessa: era in Sicilia, terra di tante culture, di tante storie, di tanti soli, di tanti colori.
Dovunque, però, il messaggio è lo stesso, da Betlemme a Palermo, amore e pace, da sempre e per sempre.
Da quando San Francesco d’Assisi nel 1223 fece la prima rappresentazione del presepe, così tramanda la tradizione, e in Sicilia fu diffuso dai padri Gesuiti, il suo valore simbolico non è cambiato o venuto meno.
È il villaggio contadino e pastorale, quello povero, che fa da felice contorno alla nascita di Gesù che nacque in una mangiatoia riscaldato dal semplice fiato del bue e dell’asino.
Molti artisti si sono cimentati nel corso dei secoli nell’elaborazione più o meno semplice, più o meno sofisticata del Natale.
Il presepe ha così assunto forme di arte elevata e a tal proposito non possiamo non citare quelli costruiti in corallo tipici del trapanese, i cui livelli artistici sono noti in tutto il mondo e la loro richiesta non vede sosta. Sono molto antichi e altrettanto pregiati quelli in cera: la Sicilia vanta da secoli una grande e importante tradizione di “cirari” o ceroplasti e, oltre alla classica figura del Bambinello, sono famose le “Scaffarate” o “Scarabattole”, che racchiudono in teche o bacheche di vetro “Sacre famiglie” realizzate in cera.
Un presepe in cera, realizzato da Anna Fortino (1673-1749), fu regalato a Filippo V di Spagna e al Museo Nazionale di Messina, si trova un altro presepe in cera datato intorno al 1700, realizzato da Giovanni Rosselli.
Realizzata in calcare duro e presente in una delle facciate della Chiesa di Santa Maria di Betlemme, a Modica in provincia di Ragusa, datata XV-XVI secolo, conosciuta come la “Lunetta di Berlon”, rappresenta una natività dalle tinte molto semplici. All’interno della chiesa, invece, si trova un presepe dalle grandi dimensioni realizzato da una ditta di Caltagirone, città delle ceramiche.
Nel 1576, certificato da un atto notarile, fu commissionato ad uno scultore di cui non si conosce il nome, la creazione di alcuni pastori da inserire nella chiesa di San Bartolomeo, a Scicli, in provincia di Ragusa. Dopo un violento terremoto che abbatté la chiesa in cui si trovavano le statue, vari rimaneggiamenti delle sculture e il rifacimento del tempio non consentono di stabilire le esatte dimensioni delle opere scultoree.
A Catania, il presepe settecentesco di proprietà del barone Scamacca, è composto da circa trenta personaggi che possono essere divisi in due gruppi, quelli di colore, sicuramente di provenienza orientale e quelli di origine locale che rappresentano contadini e pastori.
Fra le tradizioni appartenenti al Natale sono da ricordare le Novene, rappresentazioni drammatico-musicali che celebrano la natività con la gioia e la passione  della musica. Sono spesso dei privati che le commissionano e si svolgono all’interno delle loro abitazioni o presso una vicina edicola votiva.
A Monreale, in provincia di Palermo, sono gli zampognari che girano per le vie della cittadina normanna inondandole di suoni caratteristici del loro strumento “a chiave”, mentre a Licata, in provincia di Agrigento, si usa la zampogna “a paio”.
Se oggi il vischio, di tradizione nordica, addobba le nostre case, un tempo era la pianta di nocciolo che cullava perfino Gesù Bambino.
Saranno, come sempre, i dolci ad accompagnare per tutto il mese di dicembre i giorni di festa che, iniziati il giorno 8, termineranno a gennaio, dopo l’Epifania lasciando in bocca il sapore dei mustaccioli, del buccellato, dei nucatoli, della cubaita e, specie nella provincia di Palermo, dello sfincione, una pizza dalla pasta alta e soffice ricoperta di sarde salate, cipolla, salsa di pomodoro e cacio cavallo (formaggio salato e saporito). Di certo non mancheranno il panettone e il pandoro, infiltrazioni di altre regioni italiane ormai adottate anche dai siciliani.
Ma poiché il Natale è festa religiosa che richiama particolarmente alla fratellanza, all’unione e all’amore, concludiamo riportando le parole di Madre Teresa di Calcutta che, in quanto ad amore, ha ancora da insegnare molto a tutta l’umanità:
“È Natale!
È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro.
È Natale ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società.
È Natale ogni volta che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.
È Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri.”
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