Finalmente! Era ora che i collezionisti Franco D’Attardi e Gesualdo Adelfio avessero un luogo in cui esporre in maniera sistematica e appropriata i loro “tesori”.
 
Mi spiego. I due amici da anni raccolgono, meglio collezionano, oggetti che fanno parte del passato di chi ha già trascorso un lungo periodo della propria vita. Sulle loro preziose raccolte hanno pure pubblicato due libri di successo e amanti del collezionismo e semplici appassionati di antichità ne hanno fatto testi da consultare e da sfogliare con l’amore di chi rivede il proprio passato o quello degli antenati, propri e non.
 Calendarietti profumati, una vera trasgressione retrò 

 Calendarietti profumati, una vera trasgressione retrò 

L’occasione di esporre ancora una volta le proprie raccolte, e questa volta in apposite bacheche, divise per soggetti e inavvicinabili da mani troppo “curiose”, è arrivata dall’Università di Palermo. Sede prestigiosa, dunque, quella che ha ospitato le collezioni di D’Attardi e Adelfio: il padiglione Tineo dell’Orto Botanico di Palermo. Una cornice di grande prestigio che ha già richiamato un foltissimo numero di appassionati e curiosi. 
 
Ben 56 le vetrine colme di oggetti del passato, di “cose d’altri tempi”; ed è con questo nome che la mostra si è proposta al pubblico palermitano e ai turisti. È stato possibile ammirare raccolte di giocattoli, scatole, macchinine, penne biro e stilografiche, oggetti sacri, giornali palermitani a partire dall’800, calendarietti, carri trionfali, santini, macina caffè.  
 
E poi ancora ditali, oggetti per il cucito e il ricamo, ventagli pubblicitari, salvadanai di ogni genere e foggia, anche quelli dati dalle banche per “fidelizzare” clienti in erba; infatti, era dalle scuole che partiva l’iniziativa di dare a ciascun bambino un salvadanaio trattenendo, però, in banca la chiave, cosicché si era costretti ad aprire un libretto di risparmio per accedere a quanto nel frattempo raccolto inserendo nella fessura le monete o, raramente, qualche cartamoneta.
 Il primo numero del giornale La Forbice andò in stampa il 9 maggio del 1848 e racconta di una Palermo culturalmente vivace 

 Il primo numero del giornale La Forbice andò in stampa il 9 maggio del 1848 e racconta di una Palermo culturalmente vivace 

Un bell’insegnamento al risparmio, anche se a tutto vantaggio dell’istituto di credito che acquisiva sempre nuovi clienti. 
 
Sicuramente alla maggior parte di quelli che in quegli anni furono bambini, la vista di questi oggetti affascinanti ha fatto tornare alla mente tanti ricordi. Chi, ad esempio, non ha tentato di tirar fuori qualche monetina dal proprio salvadanaio aiutandosi con la lama di una coltello? Quante caramelle mai comprate per l’impossibilità a compiere l’ardua impresa! 
 
E quanta nostalgia per gli ingenui desideri non soddisfatti e quanto sbalordimento per lo sfrenato consumismo che oggi dilaga nella società.
 
Ogni oggetto una storia e tante se ne potrebbero ascoltare dalla voce dei collezionisti. Oggetti appartenuti alla propria famiglia che hanno il sapore della nostalgia più forte che per altri appartenuti a chissà chi. 
Nel visitare la mostra non ci si può esimere dal ricercare tra gli oggetti qualcuno che ci sia più familiare perché appartenuto all’infanzia, perché magari ha fatto parte di uno spaccato di vita conosciuto, condiviso o solo raccontato quando si era bambini. 
 La collezione di penne, stilografiche e pennini d’epoca di D’Attardi conta mille esemplari 

 La collezione di penne, stilografiche e pennini d’epoca di D’Attardi conta mille esemplari 

Le macchinine, i soldatini di piombo, il monopattino – chi non ne ha mai posseduto uno?- e poi ancora il camion dei pompieri, il pallottoliere, il cow boy, il macina caffè della nonna o i ventagli dove veniva pubblicizzato un prodotto, le scatole di latta o di cartone divenute spesso forzieri per lettere d’amore segrete. 
 
Dove sono andati a finire i ricordi? Forse nelle nostre modernissime case non troviamo più questi oggetti che fanno ormai parte della storia dei tempi passati ma rivederli è sempre un sollievo per l’anima, anche per chi, data la giovane età, non ne ha mai visti. 
 
Sono i giovani che dovrebbero avere la fortuna e il privilegio di rincontrare tutto ciò che fa parte del nostro, del loro passato perché possano dare un senso compiuto al loro presente, per comprenderlo meglio, per riscoprire il valore delle piccole cose. Il valore del “desiderato”, del costruito con le proprie mani.
 
Tra il fai da te, nella vetrina del cucito, fa bella mostra di sé una camicia da notte ricamata “a punto Rinascimento” appartenuta alla madre di Gesualdo Adelfio che, con orgoglio, ce l’ha mostrata, ricordandoci che un tempo erano le fanciulle ad allestire il proprio corredo, a ricamarlo per mostrarlo con orgoglio nei giorni precedenti il matrimonio alla futura suocera e agli invitati. Oggi, ma già da tanto tempo, il corredo, sempre che ancora lo si prepari sin da piccole, lo si acquista già confezionato e, magari, “griffato”.
 
Che dire poi della rassegna dei calendarietti profumati, i più noti dei quali, quelli dei barbieri perché li omaggiavano nei periodi festivi in cambio di una lauta mancia, erano per gli adolescenti il primo approccio con la sensualità e per il loro genitore una trasgressione per vantare con gli amici qualche avventura mai vissuta, ma solo immaginata o per solitarie illusioni di approcci passionali.
 
Vedere esposte pagine di vecchi giornali che si stampavano a Palermo, anche nell’ ‘800, “La Forbice”, ad esempio, il cui primo numero andò in stampa il  9 maggio 1848, ci mostra una città culturalmente vivacissima ancor prima che la famiglia Florio che diede tanto lustro e tanti stimoli culturali al capoluogo siciliano, nel 1900 mettesse in stampa il giornale “L’Ora” che sopravvisse sino al 1992.
 
Franco D’Attardi racconta a L’Italo-Americano come ha avuto inizio la sua storia di collezionista: “Tutto è cominciato nel 1959, ero studente ginnasiale, e un compagno mi vendette una Pelikan, la famosa marca tedesca di penne stilografiche, di colore verde e nero”. 
 
Oggi la sua collezione di “stilografiche” conta mille esemplari tra i quali c’è una “rouge e noir” acquistata nel 1982 che segnò l’inizio della passione per il collezionismo. Il corpo realizzato in resina è nero come il cappuccio al cui apice, però, è arancione; il pennino è un simple 20. 
 
La prima stilografica, dunque, si chiamò Rouge et Noir e montava un pennino Simplo 20, in seguito la fabbrica fu assorbita dalla Montblanc negli anni ’30. Montava un pennino in oro bianco e giallo Simplo con la scritta 4810. Ancora oggi le Montblanc usano lo stesso pennino con la medesima scritta che fa riferimento all’altezza espressa in me-tri del Monte Bianco nelle Alpi Graie. La Montblanc nasce dunque dalla Rouge et Noir.
 
Un altro racconto che ci sorprende  riguarda i salvadanai. 
 
Uno di questi, in ghisa pesantissima, soprannominato “mangia soldi” perché ingoia le monete, è rappresentato da un “lepreschaun”, una sorta di gnomo, personaggio della letteratura irlandese. Questa specie di spaventevole folletto tiene tra le gambe un maialino; agendo su una levetta posta dietro le sue spalle, il maialino spinge la moneta precedentemente posta sul muso, apre la bocca, esce la lingua e ruba la moneta. È datato 1882.
 
Ma la storia non finisce qui perché ogni oggetto della mostra tenuta all’Orto botanico racconta una storia, allegra o triste che sia, ma è lo specchio di altre epoche, di altri mondi che, per fortuna, vivono ancora nei cuori di molti di noi. A noi resta il compito si tramandarli ai posteri, a chi non c’era.
 
Ognuno di noi, più fortunato, che ha vissuto o che comunque ha conosciuto questi fantastici oggetti, potrà dire: “Io c’ero”. Grazie allora a Franco D’Attardi e a Gesualdo Adelfio perché hanno fatto e continuano a fare della loro passione la nostra me-moria storica.
 
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