“The secret of Joy” di Max Bartoli, il cortometraggio ambientato nel fantastico mondo di Re Artù realizzato a Hollywood, ha coinvolto professionisti italiani, americani e inglesi, con l’obiettivo di raccogliere fondi da devolvere al The Kids Cancer Research Foundation di San Luis Obispo in California e ad altri due ospedali europei, oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica sul cancro pediatrico. 
 
Com’è nato il progetto e com’è riuscito a coinvolgere tanti nomi importanti?
Qualche giorno prima mia moglie ed io avevamo ricevuto la triste notizia che un’altra coppia di amici aveva perso il proprio bambino di 4 anni a causa del neuroblastoma. 
Fabiola ed io avevamo parlato spesso della necessità di fare qualcosa. Come film-maker decidemmo di produrre un corto per riportare il sorriso sul volto dei bambini malati, utilizzandolo al tempo stesso come uno strumento per la raccolta di fondi. 
 
Sapevamo che il progetto sarebbe stato ambizioso e costosissimo e avremmo dovuto bussare a molte porte, ma l’idea non ci ha spaventato. A quel punto abbiamo iniziato a chiamare tutti i nostri amici a Hollywood, in Italia e in Inghilterra. Con nostra sorpresa tutti hanno detto di sì senza pensarci due volte. 
 
Una volta incassato il “sì” di nomi importanti abbiamo rivolto la nostra attenzione alle grandi società come la Red, la Technicolor, Hammerhead Prods. Red ci ha risposto nel giro di 12 ore, accettando di fornirci 2 Red Dragon con un pacchetto completo per un mese gratis! 
 
Il film ha vinto numerosi premi al Los Angeles Independent Film Festival Awards e in altre rassegne negli Stati Uniti.
Fino ad ora “Joy” ha vinto 10 premi tra Los Angeles, La Jolla, Houston e l’Arizona ed è entrato in finale al Los Angeles CineFest. Altri premi: Miglior Corto per famiglie al 49° Worldfest di Houston, Miglior Corto, Miglior Regia, Migliori Effetti Speciali e Miglior Colonna Sonora al Los Angeles International Film Festival Awards, Menzione al merito e un Premio Speciale all’Accolade International Competition. 
 
La settimana di proiezioni nella multisala Laemmie 7 a Hollywood ha fatto registrare il tutto esaurito e l’intero incasso, quasi 10 mila dollari, è stato interamente donato alla Kids Cancer Research Foundation di Frank Kalman.
 
Nel cast ci sono, tra gli altri, Doris Roberts (vincitrice di 4 Emmy), Maria Conchita Alonso (Predator 2), Jack Betts (Spider-Man), il production designer e art director Giles Master (Angels and Demons, The Mummy, The Da Vinci Code). Com’è stato lavorare con loro?
Lavorare con i grandi è sempre facile se arrivi sul set preparato. Ed io lo sono sempre. Sono un maniaco della preparazione e della pre-produzione, due cose diverse anche se spesso si sovrappongono temporalmente. L’ho imparato lavorando in pubblicità ed è una lezione che non ho mai dimenticato. 
 
Doris e Maria Conchita sapevano già come lavoravo e non hanno avuto problemi ad accettare. Sul set sono state meravigliose. Mai un momento di insofferenza e ti posso garantire che stare in un costume medievale per 8 ore sotto 30 riflettori è stancante soprattutto a 90 anni! 
 
Giles non mi conosceva ma dopo un primo appuntamento mi ha dato fiducia. Lavorare con lui è stata un’esperienza fantastica. Difficile da descrivere. Sempre pronto a trasferire l’idea del regista in dettagli fondamentali sul set e a risolvere problemi prima ancora che il regista se ne accorga. Perfetto stile inglese. Un vero gentleman.
 
Anche le case di produzione hanno fatto la loro parte.
Un aneddoto interessante la dice lunga su come funzioni Hollywood, è quello che ci è accaduto con la Technicolor in Paramount. 
Con il primo cut in mano, Fabiola ed io siamo andati a trovare due nostri amici, Mike Rizzuto (producer e numero 2 delle vendite in Technicolor) e Scott Milan (vincitore di 4 Oscar e nominato 9 volte).
Alla fine della proiezione Mike ci ha semplicemente detto: “Max, Fabiola, sarei onorato se poteste considerare Technicolor come la vostra Post-House”. 
Fabiola ed io ci siamo guardati, poi timidamente gli ho fatto notare che l’onore sarebbe stato il nostro ma che il nostro budget non ce l’avrebbe permesso. “Non dovete preoccuparvi di soldi, lasciate che ci pensi io” è stata la sua riposta. Eravamo sbalorditi. Technicolor ci ha messo a disposizione due premi Oscar per la post e ci ha regalato 100 mila dollari di lavoro. 
Hollywood funziona così: tutti vogliono entrare e tutti arrivano chiedendo, sono rarissimi i casi in cui qualcuno riesca ad ottenere qualcosa. Se ci arrivi donando qualcosa, in molti, moltissimi, ti risponderanno donando a loro volta! Il budget di “Joy” è stato di 500 mila dollari, di cui 400 ci sono stati dati con sponsorizzazioni. 
 
“The Secret of Joy” è un progetto dal cuore italiano?
Sì. A parte la mia regia e metà della sceneggiatura, sono italiani anche costumi, trucco e parrucche firmati da Andrea Sorrentino, gli storyboard di Antonio De Luca, l’art direction di Marco Menegaldo e Riccardo Massironi, la co-produzione di Edoardo Di Silvestri ed Erika Bowinkel e le straordinarie musiche dell’amico fraterno Gianluca Cucchiara. Nel cast, a rappresentarci in modo eccelso, c’erano Silvia Baldassini e Massi Furlan.
 
La colonna sonora, firmata da Gianluca Cucchiara, ha vinto il premio come migliore canzone originale al Los Angeles International Film Festival Awards. Quanto è stato importante il lavoro di Cucchiara per la riuscita del cortometraggio?
Adoro lavorare con Gianluca Cucchiara. Oltre ad essere un compositore e un orchestratore straordinario (non lo dico io ma William D. Brohn, uno dei più grandi orchestratori di musical del mondo), Gianluca è una delle migliori persone che io conosca. Ha un cuore grande quanto il suo talento. Con lui condividiamo un’esperienza unica e irripetibile che davvero pochi possono dire di aver fatto: a 18 e 22 anni eravamo a Broadway a fare le audizioni per un nostro musical “MacGregor”, poi rappresentato Off-Broadway nel settembre 1995. Da allora siamo sempre stati molto legati. 
 
Quando Fabiola ed io abbiamo deciso di fare “Joy”, Gianluca è stata una delle prime persone che abbiamo chiamato. Senza la sua musica questo corto non sarebbe la stessa cosa.

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